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Non sparate sulla Croce Rossa... anzi, arruolatevi

di Emanuele Davide Ruffino e Anna Maria Costantino


Il 5 dicembre si celebra la 37 ° Giornata mondale del volontariato (International Volunteer Day) data prescelta dalla risoluzione 40/212 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1985.

Un’occasione per non parlare solo di quello che i volontari fanno per gli altri (argomento su cui si sono scritti e si potrebbero ancora scrivere un’infinità di pagine) ma sui problemi che attanagliano il settore ed il cui superamento è indispensabile per garantirne il funzionamento dell’intera società.



Storia a presente


L’importanza del lavoro della Croce Rossa, da quando fu fondata nel 1863, dopo gli orrori vissuti sui campi di battaglia di Solferino nella II Guerra d'Indipendenza italiana, sono ampiamenti noti, tant’è che nel linguaggio comune ha preso piede l’espressione “è come sparare sulla Croce Rossa” per indicare quanto sia facile colpire chi non può o non accenna neanche a difendersi. Negli ultimi tempi però quest’espressione viene sistematicamente violata e non solo sui campi di battaglia sparsi per il mondo, ma, anche, nelle nostre città, tanto che l’imperativo etico di non colpire chi fornisce soccorsi, comincia a perdere di significato.

Durante il periodo del lockdown non sono stati pochi gli episodi di ostilità, non solo verbale, nei confronti delle ambulanze letteralmente inseguite da facinorosi. Parimenti deleterie sono le incombenze burocratiche che rallentano e sfiancano, nel tempo, anche le migliori intenzioni. Sono questi i fattori che non invogliano a prestare servizio come volontari in quella che forse è la più filantropica istituzione che l’uomo sia mai riuscito a concepire.

Il profilo del volontario

Il soggetto che rinuncia al suo tempo libero o ad un periodo di riposo per dedicarsi ad aiutare gli altri coltiva profonde motivazioni, ma queste, se sistematicamente frustrate, finiscono per spegnere ogni entusiasmo: c’è da chiedersi perché attività la cui utilità è ampiamente riconosciuta dalla stragrande maggioranza, trova nella prassi quotidiana così tanti ostacoli. Sicuramente l’esempio dei volontari (nella foto un gruppo di volontari dell'Ospedale San Luigi di Orbassano, Torino, durante una iniziativa, nella scorsa estate) rappresenta un comportamento che, se riscuote ammirazione, genera anche un senso di rimprovero che, per molti, si trasforma nella necessità di trovare un difetto, una scusa, per non partecipare alla gara di solidarietà. Il busillis è interpretare come, al crescere delle pretese nei confronti delle associazioni di volontariato, sono sempre meno quelli disposti a offrire la propria disponibilità.

Secondo l'ISTAT il numero di volontari stimato in Italia ha raggiunto la cifra record di 6,63 milioni di persone: un esercito. Tanta buona volontà dovrebbe trovare attenzione e il rafforzamento delle condizioni legislative e culturali perché queste forze possano esprimersi al massimo livello. Il non riconoscimento del lavoro dei volontari provoca, come effetto più o meno immediato, una riduzione delle forze, generando una pericolosa spirale in quanto la minor disponibilità induce ad una minor attività (o una minore attenzione alla qualità del servizio) e, di conseguenza, a minori riconoscimenti. A farne le spese però sono le persone che hanno maggior bisogno dell’azione del volontariato.


L’anamnesi del problema

I mesi della pandemia hanno messo a dura prova l’attività dalle associazioni di volontariato a sostegno delle fasce vulnerabili e non solo per le fatiche sopportate. La necessità di volontari qualificati, portatori di identità e di valori forti, negli anni purtroppo cominciata a venuta meno; negli ultimi periodi il numero dei volontari, in molte realtà, si è più che dimezzato, sostanzialmente per due ordini di fattori. In primis il poco riconoscimento verso un ruolo che, per anni, ha accompagnato il senso del volontariato, visto sempre più, come una minaccia per alcuni ambienti ed un contrasto per alcune opportunità di lavoro. In realtà, il servizio se non offerto dal volontariato, raramente viene sostituito con strutture organizzate in altro modo e con persone stipendiate: semplicemente non viene più erogato.

In particolare, il volontariato ha perso riconoscimento tra i giovani. Non a caso è sempre più raro trovare soggetti sotto i 30 anni che dedichino parte del loro tempo alle attività di volontariato (i soccorritori operanti nei vari settori, concordano nel dire che un tempo, quando si soccorreva qualcuno, si veniva ringraziati; oggi si corre il rischio di essere denunciati per presunti ritardi, quasi che ci si debba trovare sul posto prima che l’evento avverso si sia avverato)). A ciò si aggiunge il fatto che ai giovani si richiedono attività di alto livello, senza coinvolgerli nel processo decisionale. Il volontariato non è un’alternativa: fare il volontario è una missione.









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