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"Procreazione Medicalmente Assistita" in Italia e in Piemonte: una corsa ad ostacoli per i diritti

di Rosanna Caraci


Nonostante la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) sia stata inclusa nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) a partire dal 30 dicembre scorso, in Piemonte il percorso per le coppie infertili o affette da patologie genetiche rimane ancora lungo, complesso e per molti versi inaccessibile. Attualmente, sono circa 700 le coppie in attesa della prima visita presso le strutture sanitarie pubbliche regionali.

La PMA, riconosciuta oggi come prestazione sanitaria garantita dal Servizio Sanitario Nazionale, dovrebbe essere erogata gratuitamente o con un ticket compreso tra i 100 e i 300 euro. Una cifra decisamente più accessibile rispetto ai 5.000 euro in media richiesti nel settore privato. Tuttavia, l’adeguamento della rete sanitaria piemontese ai nuovi standard previsti dal Ministero della Salute si sta dimostrando più lento del previsto.

Il problema maggiore riguarda le liste d’attesa, che in alcuni casi superano i sette mesi già solo per accedere alla prima visita specialistica. A Torino, tra l’Ospedale Sant’Anna e il Maria Vittoria, si contano attualmente oltre 500 coppie in attesa. A Fossano sono circa 97, ad Asti 60 e a Novara 42. Numeri che delineano un quadro critico e destinato a peggiorare, se si considera che l’effettivo avvio del trattamento può richiedere fino a due anni.

Il fattore tempo, in un ambito in cui l’età media delle donne che si rivolgono alla PMA è di circa 37 anni, non è un dettaglio trascurabile. Il ritardo nell’avvio del percorso può compromettere significativamente le probabilità di successo del trattamento, generando ulteriore frustrazione e stress per le coppie che spesso riconoscono nella PMA l’ultima possibilità per diventare genitori e creare così una famiglia.

Il ritardo del Piemonte diventa ancora più lampante se si confronta la realtà fotografata con quella di altre regioni italiane, come la Lombardia o l’Emilia-Romagna, dove i percorsi di accesso alla PMA pubblica sono stati strutturati e potenziati già da anni, ben prima dell’adeguamento formale ai LEA.

Il tema dell’accesso alla fecondazione assistita si intreccia oggi anche con le più recenti evoluzioni giurisprudenziali. La Corte Costituzionale ha recentemente stabilito l’incostituzionalità del divieto di riconoscimento di figli nati attraverso PMA all’estero da coppie omosessuali femminili. Una pronuncia che impone al legislatore e alle amministrazioni regionali una riflessione più ampia sulla tutela dei diritti delle famiglie, nella loro molteplicità di forme. La politica, quella che dovrebbe tener conto dei cambiamenti sociali, è in ritardo rispetto alle reali necessità dei tempi che cambiano e si evolvono nei loro bisogni, spesso ingabbiata da ideologie politiche di una parte o dell’altra che, insieme a farraginose lungaggini burocratiche, creano un combinato disposto esplosivo.


La Legge 40/2004 e le sue evoluzioni

Associazioni, operatori sanitari e famiglie continuano a mobilitarsi per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di rendere la PMA un servizio davvero accessibile, efficiente e non discriminatorio. Proprio in quest’ottica, si moltiplicano incontri pubblici e momenti di confronto, come quello svoltosi ieri a Torino presso il Centro Culturale Lombroso, dove storie personali di coppie che hanno iniziato il percorso o che ancora attendono di intraprenderlo si sono confrontati con gli operatori sul campo e la politica.

La Legge 40 del 2004 ha rappresentato il primo tentativo organico di regolamentare la PMA in Italia. Inizialmente, la legge prevedeva restrizioni significative, tra cui il divieto di fecondazione eterologa e la limitazione della crioconservazione degli embrioni. Tuttavia, diverse sentenze della Corte Costituzionale hanno progressivamente smantellato queste restrizioni. Nel 2014, la Corte ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, aprendo la possibilità per le coppie di utilizzare gameti donati. Più recentemente, una sentenza ha stabilito l'illegittimità del divieto di riconoscimento del figlio nato da PMA all'estero da parte di entrambe le madri in una coppia omosessuale, segnando un ulteriore passo verso l'inclusività e il riconoscimento dei diritti delle famiglie omogenitoriali.


Costi: il confronto  tra pubblico e private

Secondo i dati del Registro Nazionale della PMA, dal 2005 al 2022 sono stati effettuati 109.755 cicli di trattamento, con un aumento significativo rispetto ai 63.585 cicli del 2005. Nel 2022, i bambini nati da PMA rappresentavano il 4,25% del totale delle nascite in Italia, rispetto all'1,22% del 2005. In totale, si contano oltre 217.000 bambini nati grazie a queste tecniche. L'età media delle donne che accedono alla PMA è aumentata da 34 anni nel 2005 a 37 anni nel 2022, con un incremento significativo nella fascia over 40, che rappresenta il 33,9% degli accessi. Questo dato evidenzia l'importanza di garantire tempi di accesso rapidi ai trattamenti, considerando la diminuzione della fertilità con l'avanzare dell'età.

L'inclusione della PMA nei LEA ha portato a una riduzione significativa dei costi per le coppie. Nei centri pubblici, i trattamenti sono gratuiti o prevedono un ticket che varia da 100 a 300 euro. Tuttavia, le lunghe liste d'attesa spingono molte coppie a rivolgersi a strutture private, dove i costi sono decisamente più elevati. 

Per una fecondazione omologa, i costi nei centri privati variano tra i 3.500 e i 7.000 euro, mentre per una fecondazione eterologa si può arrivare a spendere tra i 5.000 e i 9.000 euro, a seconda della provenienza dei gameti. In alcuni casi, soprattutto per donne sopra i 40 anni, il costo complessivo può raggiungere i 40.000-45.000 euro, considerando la necessità di più cicli di trattamento.


Disparità territoriali e carenza di strutture.

In Italia, esistono 333 centri di PMA, di cui 98 pubblici, 20 privati convenzionati e 215 privati. La distribuzione di queste strutture è disomogenea, con una maggiore concentrazione nel Centro-Nord e una carenza significativa nel Sud e nelle isole. Questa disparità territoriale costringe molte coppie a spostarsi in altre regioni o all'estero per accedere ai trattamenti, aumentando ulteriormente i costi e lo stress associato al percorso di PMA.

Nonostante i progressi normativi e l'inclusione della PMA nei LEA, le criticità nell'accesso ai trattamenti, soprattutto in alcune regioni come il Piemonte, impongono un cambio di passo altrettanto veloce quanto i tempi e I bisogni della società moderna.

È fondamentale che le istituzioni regionali e nazionali investano nella creazione e nel potenziamento delle strutture pubbliche, garantendo tempi di attesa compatibili con le esigenze biologiche delle coppie e riducendo le disparità territoriali.

Solo così sarà possibile rendere effettivo il diritto alla genitorialità per tutte le coppie italiane, andando oltre preconcetti anacronistici o addirittura religiosi, secondo i quali cercare un figlio attraverso la PMA è farlo a tutti i costi, in un accanimento quasi contro natura e che mette a confronto il diritto di una coppia ad avere un figlio a quello del figlio stesso come se i due non potessero incontrarsi in uno solo: il diritto alla felicità.

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