Lampedusa, la notte del ricordo "3 ottobre 2013: 368 migranti annegati"
di Libero Ciuffreda*
Il 3 ottobre di undici anni fa, a poche miglia dall'isola di Lampedusa, si verificò il naufragio di un barcone, partito dalla Libia, con a bordo centinaia di migranti. Immediata fu la sensazione dell'ennesima tragedia del mar Mediterraneo, ma di proporzioni immani. Le vittime accertate furono 368 e circa 20 dispersi presunti; 155 i superstiti, di cui 41 minori. Secondo le dichiarazioni di alcuni sopravvissuti, il barcone avrebbe imbarcato 518 persone, in massima parte eritrei. All'indomani del naufragio, dinanzi allo spaventoso bilancio, l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affermò: "Provo vergogna e orrore; è necessario rivedere le leggi anti-accoglienza" e il governo italiano proclamò una giornata di lutto nazionale. In Eritrea, dopo la strage, la dittatura di Isaias Afewerki vietò l'affissione dei manifesti funebri con i nomi delle vittime.
In risposta all'ennesima ecatombe in mare, il commissario europeo per gli affari interni Cecilia Malmström sollecitò l'Unione europea a incrementare le attività di ricerca nel Mediterraneo con pattuglie di soccorso e intervento dedicate a intercettare le imbarcazioni di migranti attraverso l'agenzia Frontex, dichiarando: "Facciamo in modo che ciò che è accaduto a Lampedusa sia un campanello d'allarme per aumentare il sostegno e la solidarietà reciproca, e per evitare tragedie simili in futuro". Dal numero delle successive tragedie che si sono registrate al largo delle coste italiane e non, non pare sia stata ascoltata con le dovute attenzioni e convinzioni.
Stanotte l'isola di Lampedusa si è fermata e raccolta attorno al monumento che ricorda il dramma di quelle vite spezzate insieme con la speranza di un'accoglienza solidale e generosa. Il racconto per la Porta di Vetro di Libero Ciuffreda.
In pochi minuti la piccola piazza con il memoriale del naufragio si riempie. Tantissimi giovani, anche anziani, colori della pelle diversi: neri, bianchi, olivastri. Le lingue diverse: arabo, francese, inglese, italiano, afrikan, dialetto lampedusano. Tutti in silenzio. Sono le 3 di notte e nessuno sembra aver sonno. Questo silenzio è come se facesse rivivere le grida soffocate dalle onde del mare che in pochi minuti ne inghiottì 368. Qualcuno fotografa, qualcun altro fa rimbalzare sui social la diretta live. Ciò che colpisce è la capacità di questo luogo di frenare la corsa della tua vita..., una sorta di pietra d'inciampo.
Prima una piazza insignificante dell'isola, vicino all'ufficio postale, in questo momento pare un luogo sacro.
Un santuario senza pareti e senza altare, che induce a riflettere, ad abbracciarsi.
Giovani e anziani, bianchi e neri... un unico grande abbraccio.
Le lacrime frutto delle intense emozioni rigano il viso.
Alcuni ragazzi li senti singhiozzare, altri cercano di "frenare" il pianto, ma non possono legare il cuore.
Alcuni sopravvissuti tornano ogni anno: li riconosci.
Il loro volto si trasforma, sembrano gridare di nuovo aiuto, aiuto e ancora aiuto.
Sì, perché nel "mare spinato" di Lampedusa ancora si muore.
Il Molo Favarolo, questa lingua di terra, approdo di speranze e di sogni, ancora si riempie di disperati.
La piazza ora si stringe intorno al monumento.
Qualche parente, un padre e una madre, vanno a cercare su quella spirale di lettere il nome del proprio congiunto, del proprio figlio perduti.
Sì perché il 3 ottobre 2013 erano giovani, cotti dal sole e indeboliti dalle torture, dalla fame e dalla sete, smarriti nel buio di un'alba che 368 di loro non vedranno... così le vittime di oggi.
Anzi, oggi quando non muoiono nei lager tunisini o libici che noi contribuiamo a finanziare, quando non finisco in fondo al mare, queste giovani vite, ricche di speranze e di sogni, vengono prese e disperse nei vari hot spot dell'Italia e tra poco in Albania: gli occhi "puliti" occidentali non devono vederli.
Sono le 3.15 un gruppo di ragazzi ridona la voce ai disperati:
"Siamo rimasti in mare tanto tempo, tanto tempo, troppo tempo, l'acqua era fredda. Il buio si è preso tutto. Abbiamo perso il nostro nome tra le onde".
Li chiamano per nome, uno ad uno ed erano, solo in quella notte, 368 i morti annegati.
Ognuno di noi né afferra uno, lo stringe nel proprio cuore e promette a sé stesso che domani farò la mia parte:
almeno uno devo salvarlo, devo tirarlo fuori dalle onde e dal buio delle nostre coscienze indifferenti...dalla disperazione.
Ti salverò da ogni malinconia perché voglio avere cura di te, risuona questa notte la canzone di Battiato.
Anche il sindaco Filippo Mannino ci dice che non possiamo dimenticare.
Quest' isola interroga le nostre coscienze. È un'isola che accoglie, che salva, che strappa dal mare, che accende una luce
Nel buio dei nostri egoismi.
Vito Fiorino, ancora scosso dalle grida di quella notte, con la sua barca riuscì a salvarne molti, ricorda che queste persone, questi 368 martiri della politica, rivivono questa notte, ci guardano dritto negli occhi, ci implorano, ci perforano l'anima.
Sono passati 11 anni, ma ogni anno, ogni volta che ci ritroviamo, è come se ridessimo un nome e una voce a ciascuno di loro.
*Membro del Consiglio della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia
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