La Resistenza a Giaveno: 1944, "il Novembre di terrore" nazifascista
- Ferruccio Marengo
- 23 nov 2024
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Aggiornamento: 23 nov 2024
di Ferruccio Marengo
Due date emergono ancora oggi dalla memoria dei Valsangonesi: la prima è quella del maggio ’44, il ‘Maggio di sangue’ del primo grande rastrellamento condotto dai nazifascisti, che costò la vita a molti partigiani della Valle; la seconda è quella del novembre ’44, il ‘Novembre di terrore’, quando il secondo grande rastrellamento colpì soprattutto la popolazione civile. E domani, domenica 24 novembre, a 80 anni di distanza, i Giavenesi ricorderanno ancora una volta questa seconda data con una serie di manifestazioni pubbliche che, a partire dalle 14, si svolgeranno nel capoluogo e in alcune delle borgate che ne furono loro malgrado protagoniste.

Uccisioni, saccheggi e violenze degli occupanti
Era il 27 novembre ’44, quando due colonne tedesche, provenienti dalla Valle di Susa e dalla Val Chisone, attaccarono la Valle del Sangone con l’obiettivo d’imbottigliare nel fondovalle le formazioni partigiane. Mentre ciò avveniva, la Resistenza stava affrontando uno dei suoi momenti più difficili. In previsione del secondo inverno di guerra i comandi avevano trasferito in pianura la maggior parte degli effettivi. Le forze rimaste in Valle avrebbero dovuto adottare un atteggiamento esclusivamente difensivo, appoggiandosi ai numerosi rifugi e depositi ben occultati nei boschi e nelle zone più impervie della Valle.
La tattica difensiva si rivelò efficace: il 27 novembre, frazionate in piccoli distaccamenti, le formazioni partigiane riuscirono abbastanza agevolmente a sfuggire all’accerchiamento, gli scontri furono limitati e le perdite contenute.
Mancato il loro obiettivo primario, i nazisti rivolsero la loro aggressività contro la popolazione civile. La Valle fu ‘sigillata’ e alla popolazione fu imposto il coprifuoco. Il 28 novembre i tedeschi iniziarono a incendiare le borgate e pennacchi di fumo si alzarono, ben visibili, tra Giaveno e Cumiana: erano le case di Provonda, Mollar dei Franchi, Pian Paschetto e Tetti Via che andavano a fuoco. Nei centri di fondovalle, drappelli di soldati, nei quali c’erano anche italiani, entrarono nelle case sfondando le porte che non venivano loro aperte, perquisirono, malmenarono gli occupanti, spaccarono i mobili e rubarono cibo, scarpe, vestiti, denaro e oggetti preziosi. Fu un saccheggio.
Nelle borgate sospettate di dare aiuto ai partigiani molti civili furono uccisi sul posto: a Provonda vennero fucilate due giovani sorelle; alla borgata Ceca un ragazzo di quattordici anni, sua madre, sua zia e un’altra anziana parente, morirono bruciati vivi del rogo della loro casa. ‘Il rastrellamento di novembre – dirà una testimone – l’hanno fatto più su di noi, sui civili, che sui partigiani. Entravano nelle case, bruciavano, rubavano. Si vedeva che per loro non faceva differenza, partigiano o no, qui ormai eravamo tutti ribelli’. In quei giorni, nel territorio Giaveno, furono uccisi la maggior parte dei cinquanta civili caduti durante l’intero periodo della Resistenza.
Il 30 novembre, sulla piazza di Giaveno, vennero fucilati 17 partigiani, alcuni dei quali presi dalle carceri di Torino. Come in altre occasioni, la popolazione fu costretta ad assistere all’esecuzione e i corpi degli uccisi furono lasciati in piazza fino al giorno successivo.
Il fondamentale aiuto della popolazione civile
Il 1° dicembre, mentre i reparti tedeschi si accingono a lasciare la Valle, successe un fatto imprevisto. Forse per un errore di comunicazione, gli Alleati effettuarono un grande lancio nella zona a monte di Maddalena: il cielo si riempì di centinaia di paracadute con casse di armi, munizioni, viveri e abiti.
La colonna tedesca, appena partita, risalì in Valle, riprese il rastrellamento e, con esso, tornarono le uccisioni, i saccheggi e gli incendi. Altre borgate – Prafieul, Chiarmetta, Alpe Colombino, Prese Vecchie, Borgata Re – furono messe a ferro e fuoco. Centinaia di civili furono fermati e sottoposti a interrogatori. Alcuni vennero arrestati e tradotti in carcere: tra questi anche i parroci di Trana e Maddalena, e altri preti della Valle.
Negli stessi giorni, tedeschi e fascisti decisero di impiantare presidi permanenti nei maggiori centri della Valle e intensificare le azioni rastrellamento. Questo mise in difficoltà la rete difensiva partigiana. Alcuni rifugi e depositi vennero scoperti e una parte delle forze partigiane ancora in Valle decise di scendere in pianura scivolando fra le maglie degli occupanti. Lo fecero, in molti casi, con l’aiuto della popolazione locale, che ben conosceva i sentieri e i boschi della Valle. Franco Nicoletta, comandante partigiano della Valle, dirà che ‘se non ci fossero stati i civili, forse non avremmo superato la crisi. Noi comandanti tenevamo i contatti, eravamo sempre in movimento da un nucleo all’altro, ma senza la popolazione non sarebbe bastato’.
Proprio quella popolazione terrorizzata dai tedeschi e dai fascisti trovò ancora una volta la forza per aiutare i ‘suoi’ Partigiani. Mesi di convivenza e di lotte avevano cementato un rapporto che non poteva essere infranto, nato da una storia comune e da un patrimonio di valori costruito insieme fra difficoltà inimmaginabili.
Una storia destinata a trasformare la memoria della Valle, che ancora oggi, dopo ottant’anni, è uno dei tratti fondanti della sua identità.













































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