L’inazione politica su Gaza e Palestina è negligenza criminale
- Gianni Alioti
- 6 ago
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La posizione del Sindacato internazionale
di Gianni Alioti

Colpevole il periodo estivo (nel nord del mondo) o, forse, anche una qualche “negligenza” tra le proprie fila, la pur coraggiosa e, finalmente, risoluta presa di posizione della Confederazione internazionale dei sindacati (ITUC) sulla pulizia etnica contro i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania da parte dello Stato d’Israele, è restata in ombra e sotto-traccia a livello mediatico.
La ITUC rappresenta oltre 190 milioni di persone, organizzate in 344 centrali sindacali presenti in 171 paesi dei cinque continenti, tra cui in Italia la CGIL, la CISL e la UIL. La lettera aperta del suo segretario generale Luc Triangle[1], un belga già dirigente di industriAll Europe (il sindacato europeo dell’industria) e proveniente dalla CSC (la confederazione belga di matrice cristiana) è rivolta ai Capi di Stato e ai leader politici mondiali. Ma è anche un appello alla solidarietà internazionale e all’azione diretta dei propri sindacati affiliati, qui e ora.
"Come sindacati, la nostra lotta per la pace, la giustizia e la democrazia non si ferma ai confini nazionali. La nostra solidarietà non è retorica; deve essere attiva e visibile. Abbiamo un ruolo da svolgere per garantire che le grida provenienti da Gaza e dalla Cisgiordania non vengano soffocate dall'apatia politica", ha affermato Luc Triangle in un’intervista.
Ignorata dai media
In Italia la lettera del 31 luglio 2025 è stata resa pubblica solo nel sito web della CGIL, ma non ha avuto altri echi. E, soprattutto, non ha trovato riscontro in dichiarazioni e/o prese di posizione dei sindacati confederali italiani affiliati né, tantomeno, azioni conseguenti.
Eppure, anche in queste settimane, motivi per fare pressione nei confronti del Governo e/o di una multinazionale come Leonardo, il cui controllo azionario è in mano pubblica, per sospendere qualsiasi trasferimento di sistemi d’arma e di tecnologie a uso militare verso Israele, ce n’erano molte. Così come per richiamare le istituzioni italiane al rispetto delle normative della Legge 185/90 e dei trattati internazionali firmati sul controllo delle importazioni, esportazioni e transito di materiali d’armamento destinati a paesi in conflitto armato e/o che non rispettano i diritti umani fondamentali.
Come nel caso dei due cannoni navali super rapidi da 76mm prodotti a La Spezia nello stabilimento Leonardo che, come hanno segnalato i portuali del Calp (collettivo autonomo lavoratori portuali) di Genova, stazionano da ieri nelle banchine del Ponte Eritrea al terminal GMT del Gruppo Steinweg, in attesa di essere imbarcati sulla nave «Bahri Yanbu» della compagnia saudita Bahri.
Le iniziative dei portuali
La nave, proveniente dal porto USA di Baltimora-Dundalk, farà scalo in questi giorni nel porto di Genova per caricare i due cannoni navali 72/62 Oto e un container da 20” con gli accessori per l’assemblaggio, con destinazione Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti (EAU). Un paese che, per essere al fondo della classifica nel rispetto dei diritti umani e per essere ancora impegnato nei teatri di conflitto armato in Yemen, in Libia e in Sudan, non dovrebbe essere tra i destinatari di esportazioni di armamenti prodotti in Italia.
Ed è proprio sull’inazione politica su Gaza e Palestina (e sulle forniture d’armi) che si scaglia nella sua lettera il segretario generale di ITUC, definendola “una negligenza criminale”.
Nella lettera si afferma che “[…] Il mondo sta assistendo a un orrore che sfida ogni comprensione. I confini dell'umanità sono stati da tempo oltrepassati, le linee rosse sono state calpestate. La guerra a Gaza e la repressione in corso in tutta la Palestina devono finire […] “.
Luc Triangle chiede, in sintesi, cinque azioni essenziali:
1. L’immediata cessazione di tutte le forniture di armi a tutte le parti.
2. Un cessate il fuoco immediato e un accesso umanitario senza ostacoli a Gaza.
3. Il rilascio di tutti gli ostaggi e i prigionieri politici.
4. La fine dell'estremismo e dell'occupazione come precondizioni per la pace.
5. Un percorso giusto e immediato verso una vera soluzione a due stati, incluso il riconoscimento di uno stato palestinese sovrano e autonomo.
A sostegno di queste richieste la ITUC sollecita i propri sindacati affiliati e le loro strutture di rappresentanza di categoria e nei luoghi di lavoro di:
A. diffondere la lettera sui propri strumenti di comunicazione (siti web, riviste, newsletter, social ecc.) e sui media nazionali
B. incoraggiare il dibattito e la discussione tra i propri iscritti sulla responsabilità dei sindacati in tempo di guerra e ingiustizia
C. fare pressione affinché i propri Governi blocchino qualsiasi esportazione e transito di armamenti verso Israele e in tutto il Medio-Oriente.
Note
[1] Il testo della lettera di Luc Triangle Segretario Generale CS
Cari Capi di Stato, di Governo e Istituzioni Internazionali, il mondo sta assistendo a un orrore che sfida la comprensione. I confini dell'umanità sono stati da tempo oltrepassati, le linee rosse sono state calpestate. La guerra a Gaza e la repressione in corso in tutta la Palestina devono finire ora. Il conflitto Israele-Palestina dura da generazioni, ma dopo gli atroci attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023, siamo entrati in un nuovo e devastante capitolo. Quell'attacco è stato un'atrocità. Tuttavia, la punizione collettiva inflitta a milioni di palestinesi in risposta è un crimine di portata storica. A quasi 22 mesi dall'inizio di questa guerra, più di 60.000 persone sono morte, tra cui più di 15.000 bambini. I 2,1 milioni di palestinesi a Gaza affrontano la fame e i bombardamenti indiscriminati. Altri tre milioni di persone in Cisgiordania subiscono quotidianamente umiliazioni, violenze e una sistematica campagna di confisca di terre ed espansione degli insediamenti. Eppure, a parte le forti dichiarazioni e le proteste globali, il mondo politico rimane paralizzato, a guardare questa catastrofe umanitaria in corso come se avesse le mani legate. Questa non è diplomazia. Questa non è neutralità. Questa è complicità. L'inazione politica di fronte a queste atrocità non è altro che negligenza criminale. Le opzioni sono molteplici e disponibili nel quadro del diritto internazionale. La comunità internazionale deve agire ora. I sindacati di tutto il mondo chiedono un'azione immediata e continua. 1. Fermare tutte le forniture di armi a tutte le parti in causa ora I governi che hanno armato questo conflitto in passato o oggigiorno sono corresponsabili dell'orrore. Tutti i governi devono smettere di alimentare questa guerra con armi sempre più numerose e pesanti. Ogni bomba, ogni proiettile aggiunge benzina sul fuoco e autorizza gli estremisti a commettere crimini di guerra. Tutti i bombardamenti indiscriminati e gli attacchi contro i civili devono cessare. 2. Cessate il fuoco e accesso umanitario illimitato ora Ogni giorno, civili innocenti a Gaza sono uccisi o sepolti sotto le macerie dai bombardamenti mentre cercano lontano cibo per sopravvivere. Nel luglio 2024, ho visitato il valico di Kerem Shalom da Israele a Gaza. Ho visto che l'infrastruttura è proprio lì. È perfettamente attrezzata per organizzare la consegna di cibo e aiuti a Gaza, eppure ciò non avviene. La fame continua a causa di decisioni politiche, non di limiti logistici. La fame viene usata come arma di guerra. I responsabili di tale crimine devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni secondo il diritto internazionale. La comunità internazionale deve esigere e imporre un cessate il fuoco immediato e la consegna senza ostacoli di cibo, acqua e forniture mediche a Gaza. Qualsiasi altra cosa è complicità. Libera traduzione dall’inglese di Gianni Alioti 1 3. Rilasciare tutti gli ostaggi e i prigionieri politici ora Prendere in ostaggio i civili è un crimine di guerra. Ho incontrato una donna israeliana tenuta prigioniera da Hamas per quasi due mesi. La sua storia è stata straziante. Molti degli ostaggi erano voci progressiste, residenti di kibbutz, attivisti per la pace. Ora vengono usati come pedine in un gioco brutale. Allo stesso tempo, migliaia di palestinesi sono detenuti nelle prigioni israeliane senza un giusto processo. La maggior parte non ha mai visto un giudice. La detenzione senza processo, soprattutto su così larga scala, viola i diritti fondamentali e alimenta un'ulteriore radicalizzazione. La giustizia deve essere applicata equamente e a tutti. 4. Riconoscere la Palestina, porre fine all'occupazione e interrompere il commercio con gli insediamenti illegali ora Una soluzione a due stati è stata la strada concordata dal 1967. Ma il riconoscimento dello Stato di Palestina non deve essere una ricompensa alla fine dei negoziati. È una precondizione per l'inizio di un vero processo di pace. È sempre più chiaro che l'attuale governo israeliano non vuole vivere a lato di una Palestina autonoma e indipendente. Dopo aver distrutto Gaza, sradicato l'intera popolazione e ampliato gli insediamenti, cosa rimarrà della Palestina una volta finito l'orrore? Come risolveremo e invertiremo la rotta degli insediamenti illegali, delle aggressioni quotidiane dei coloni, delle intimidazioni e delle umiliazioni dei palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est? Le aziende e i governi che beneficiano dei legami con gli insediamenti perpetuano la loro esistenza. 5. Rafforzare la democrazia per raggiungere la pace ora In Cisgiordania ho assistito alla triste realtà dell'occupazione: infiniti posti di blocco, violenza dei coloni e un regime di segregazione che evoca i giorni più bui dell'apartheid sudafricano. Israele rende impossibile all'Autorità Nazionale Palestinese di governare e perseguire l'autonomia politica ed economica. Questo vuoto viene colmato dagli estremisti. Hamas è un'organizzazione terroristica. L'omicidio di massa di 1.200 civili e la presa di 250 ostaggi sono stati un crimine contro l'umanità. Ma anche il governo israeliano sotto il Primo Ministro Netanyahu ha scelto la strada dell'estremismo. L'uccisione di oltre 60.000 abitanti di Gaza, tra cui migliaia di bambini, e la fame di un'intera popolazione sono indifendibili. Hamas non sarà sconfitto da Netanyahu. Hamas sarà sconfitto dal popolo palestinese, se gli verrà data la speranza di un futuro libero e pacifico, con posti di lavoro dignitosi e sicurezza sociale ed economica. Nel maggio 2024 in Cisgiordania ho visto in prima persona come il sostegno ad Hamas cresca all'ombra dell'occupazione, dell'insicurezza, dell'umiliazione e della povertà. I palestinesi hanno bisogno di autonomia. Hanno bisogno di diritti. Hanno bisogno di riconoscimento. Israele chiede giustamente garanzie di sicurezza, e questa richiesta deve essere soddisfatta. Ma la pace non può essere costruita sulla sottomissione. Anche in Israele, molti sanno che questa guerra non può portare alla pace e alla stabilità. Cittadini coraggiosi continuano a protestare contro il loro governo, chiedendo un'altra via, basata sulla pace, non su una guerra senza fine. L'attuale leadership in Israele e Hamas hanno bisogno l'una dell'altra per rimanere al potere. La loro guerra è la loro strategia di sopravvivenza. 6. Come CSI e come sindacati in tutto il mondo, dobbiamo agire ora. Siamo solidali con i nostri affiliati e con le altre organizzazioni democratiche, sia in Palestina sia in Israele, le quali continuano a sostenere la pace e la riconciliazione in mezzo a enormi avversità. Dobbiamo costruire ponti tra l'Histadrut israeliano e il PGFTU palestinese. Dobbiamo dire la verità al potere e al popolo. Dobbiamo fare pressione su imprese e governi affinché agiscano. Dobbiamo promuovere la riapertura del mercato del lavoro israeliano ai lavoratori palestinesi e rispettare i loro diritti. Dobbiamo lavorare per una vera soluzione a due stati, con una Palestina democratica, sovrana ed economicamente sostenibile che viva in pace e uguaglianza accanto a un Israele democratico che rispetti i diritti di tutti i suoi vicini. La guerra deve finire ora e la giustizia deve iniziare. Tutti abbiamo delle responsabilità. L'inazione è complicità.













































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