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Gaza: il suo futuro di pace rimane un rebus complicato 

di Michele Corrado  


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Dopo la sospensione delle operazioni israeliane all’interno della Striscia e la restituzione degli ostaggi ancora vivi, (quello dei corpi dei defunti è in corso), è possibile delineare la situazione ed i possibili sviluppi futuri. Partiamo da una prima e semplice considerazione: il piano israeliano consistente nello sgombero dei palestinesi dalla Striscia e la conseguente annessione del territorio non ha conseguito l’obiettivo. Nelle intenzioni del governo Netanyahu la guerra doveva risolvere definitivamente il problema della minaccia costantemente espressa dalle milizie palestinesi nei confronti dello stato d’Israele. Se il piano fosse stato portato a termine avrebbe comportato lo sradicamento di Hamas dal territorio che gli ha da sempre consentito di operare e rigenerarsi.

Ora, alla luce delle dichiarazioni del presidente Donald Trump, il piano americano va in tutt’altra direzione e confida nella trasformazione di Hamas in forza di polizia e nella ricostruzione della Striscia secondo modalità occidentali. La sicurezza di Israele sarebbe poi garantita da una fascia di territorio occupata da una Forza di Interposizione internazionale da realizzarsi all’interno della stessa Striscia.

In sintesi, Israele deve accontentarsi di aver ribadito la sua superiorità militare concretizzatasi nella parziale distruzione delle infrastrutture e delle abitazioni di Gaza e nel forte logoramento dei miliziani che, privi dei loro sostegni internazionali, non ha alcuna possibilità di sopravvivenza, se non nel breve periodo.

Concettualmente, è stata condotta una rappresaglia su larga scala (in tutta la Striscia e nei confronti dei residenti) e si è risolta la questione degli ostaggi. Si prospetta inoltre la possibilità di una ricostruzione globale della Striscia che comporta notevoli investimenti e possibilità di sviluppo per il territorio.

Se gli accordi seguiranno il loro corso è possibile che in tempi brevi (settimane?), si possa giungere alla realizzazione delle varie fasi del piano americano che vedrebbero il dispiegamento di un Contingente internazionale di Interposizione e Forze di Polizia palestinesi (più o meno supportate da assetti internazionali), per il controllo interno della Striscia. Ovviamente Hamas dovrebbe essere smantellata in quanto milizia combattente e tutte le sue risorse offensive (armamenti, equipaggiamenti, ecc.), consegnate ad una autorità internazionale.

Per fare ciò è necessario che tutte le parti in causa accettino la Forza di Interposizione e le regole di ingaggio siano condivise e concordate. È una soluzione temporanea, ma è quanto al momento gli attori internazionali (non i palestinesi e gli israeliani), hanno deciso di fare. Questo tipo di Operazioni di Peacekeeping sterilizzano situazioni conflittuali, ma, sia chiaro, non le risolvono. Del resto, il problema medio-orientale si trascina dalla ricostituzione dello Stato di Israele, cioè dal dopoguerra, ed ha sviluppato al suo interno effetti sempre più complessi politici e sociali. Inquadrando in una prospettiva storica quanto avvenuto negli ultimi due anni non è comunque difficile ipotizzare che sia questo nuovo episodio a mettere la parola fine a un conflitto perenne in tempi che noi stimiamo ragionevoli.

 

 


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