L'editoriale della domenica. "La guerra continua...", il messaggio di Netanyahu
Aggiornamento: 29 dic 2024
di Maurizio Jacopo Lami

Negli ultimi otto giorni Israele ha scatenato una serie impressionante di incursioni aeree in Libano. A Beirut si sono contati quattro pesanti attacchi, l'ultimo dei quali ieri, 23 novembre, ha demolito un palazzo di otto piani in pieno centro città e provocato una strage: almeno 20 vittime e 66 feriti. Un bilancio destinato a salire, perché ci sono numerose persone non ancora estratte dalle macerie.
L'incursione di ieri, tuttavia, non è riuscita nell'intento di eliminare Mohammed Abu Ali Haidar, ritenuto il capo delle operazioni nell'ala militare di Hezbollah. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, Haidar "è sopravvissuto", a differenza di Mohamed Afif, il capo delle relazioni pubbliche di Hezbollah, che per via dell'impressionante decimazione dei quadri dell'organizzazione integralista, si comportava come il vicecapo di Hezbollah. In proposito, nemmeno Hamas, pur con oltre 17.000 caduti sul campo, ha perduto così tanti dirigenti.
Di Afif si ricorda il recente duetto a distanza con un ufficiale dell'Idf, dalla sua dichiarazione al termine di una agitata conferenza stampa - "gli israeliani non riusciranno a spaventarci" - e la lugubre replica di un ufficiale di Tel Aviv - "non vogliamo spaventare nessuno: semplicemente lui ha il sangue in testa" -, espressione israeliana che equivale al nostro "morto che cammina". La cronaca ha confermato il profetico epilogo: Afif è stato colpito all'interno di un edificio di una zona residenziale di Beirut, in pieno centro, assai lontano dai punti in cui abitualmente trovano rifugio i dirigenti Hezbollah.
Tragico destino comune a numerosi ufficiali dei reparti militari e a quelli di collegamento, "neutralizzati" in Siria. Si pensi che a Palmira, la famosa città con importanti monumenti del passato, i missili israeliani hanno distrutto un'intera caserma di miliziani di Hezbollah e milizie filo siriane, tra cui iracheni e afgani sciiti che si erano offerti di combattere in Siria contro i rivoltosi sunniti (la complessità del Medio Oriente sfida anche l' immaginazione più sfrenata). L'attacco, il più pesante attacco avvenuto finora in Siria, ha provocato la morte di oltre novanta persone, fra cui quindici Hezbollah.
La spiegazione dei numerosi attacchi aerei israeliani eseguiti in queste ore, specie a Beirut e nella valle della Bekaa, da sempre il bastione principale degli Hezbollah in Libano, è in fondo semplice: Israele ha forze armate perfettamente organizzate, ma di piccole dimensioni. Quindi, per poter essere realmente efficace, deve colpire per prima, perché non è in grado di coprire in tempi rapidi tutti i possibili punti di contrattacco del nemico. Una strategia tutt'altro che segreta, ma resa nota dal manuale degli obiettivi militari dello IAf, l'Aviazione militare israeliana: "una delle funzioni principali dell'aviazione militare è quella di poter colpire i comandanti delle formazioni nemiche. Grazie alla precisione dei blitz Israele può ridurre lo svantaggio dell'inferiorità numerica".
Ma c'è anche un altro punto da considerare: incalzato dal mandato d'arresto internazionale, Benjamin Netanyahu - "preso dalla sua sopravvivenza personale e politica", è uno dei commenti di Haaretz - non vuole far finire una guerra che ha sostanzialmente vinto. Perché in Libano le cifre rispetto al nemico giurato Hezbollah, il "martello dell'Iran rivelatasi uno stuzzicadenti", definizione di Kennet Roth, specialista militare sul Medio Oriente, sono eloquenti: tremilacinquecento militanti morti su un totale di trentamila; Nasrallah, il capo assoluto che negli anni aveva acquistato un'autentica fama di invincibilità, eliminato e con lui i suoi successori, insieme con tutti gli ufficiali superiori dell'unità Radwan, l'élite dell'esercito integralista creata dopo la guerra del 2006.
Fra questi, Ibrahim Aqil, il comandante della formazione, che aveva radunato l'intero stato maggiore di Radwan in un bunker sotterraneo nel cuore del quartiere Dhayeh, dopo aver abbandonato la valle della Bekaa, senza immaginare che il mitico Mossad stava controllando ogni sua mossa. Ne derivò un colpo davvero micidiale con la morte di ben 45 ufficiali, i quadri migliori dell'organizzazione. Un colpo che era stato preceduto appena due giorni prima dall'incredibile operazione dei cercapersone, più di 4mila persone colpite da un'esplosione provocata da una carica inserita in ogni apparecchio. Annientato lo stato maggiore della Radwan, tutto è andato in discesa per l'esercito di Tel Aviv in Libano, cui Benjamin Netanyahu ha aggiunto il suo cinismo di vecchia volpe della politica: è volato a New York, al palazzo delle Nazioni Unite, non per parlare di pace, ma per distrarre il nemico e porre fine al mito di Nasrallah. E dei suoi epigoni.
Da quel momento, sono cominciati i frenetici attacchi contro le postazioni missilistiche di Hezbollah che hanno portato alla distruzione di oltre il settanta per cento dei missili. Ce ne sarebbe abbastanza per ipotizzare una tregua e risparmiare centinaia di vite umane, di civili innocenti. Ma Netanyahu non s'arresta. L'unica cosa che "arresta" sono gli aiuti umanitari verso la Striscia di Gaza: camion con cibo ed medicinali bloccati dai suoi soldati. Così, quei palestinesi che non muoiono sotto le bombe, creperanno di fame, di stenti e di malattie.
A Netanyahu la libera docenza in disumanità... Del resto, vuole continuare la guerra per i soliti due motivi: passare alla Storia come lo statista che ha distrutto tutti i nemici di Israele e allontanare da sé la resa dei conti con gli elettori e con quella parte di Israele che vorrebbe ritornare ad essere fino in fondo un Paese democratico e non sottoposto a un regime di guerra.
Come scrive con triste ironia l'autorevole Jerusalem Post, "Il Medio Oriente continua ad essere un posto tranquillo".
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