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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Israele e Palestina ostaggi dell'odio

Aggiornamento: 8 ott 2023

di Maurizio Jacopo Lami


Guerra. Quella vera , feroce, senza limiti, che riduce la già esile fiammella di una speranza di riconciliazione. Tra Israele e Palestinesi è scoppiato l'ennesimo conflitto che rischia di essere molto più grave dei precedenti. Il bilancio è funereo: almeno 300 morti a Israele con quasi 1900 feriti, una parte in gravi condizioni, e alcune centinaia di persone prese in ostaggio da Hamas. Dall'altra parte, il ministero della Sanità di Gaza resoconta di oltre 250 vittime e circa 1.800 feriti. Amnesty International ha subito alzato l'attenzione sulla difesa dei civili sollecitando sia le forze armate israeliane che i gruppi armati palestinesi a proteggere le vite degli innocenti. In una nota, la segretaria generale di Amnesty International Agnés Callamard, nell'esprimere la sua preoccupazione per il numero di civili uccisi a Gaza, in Israele e nei Territori palestinesi occupati, ha chiesto "a tutte le parti coinvolte di rispettare i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario ed evitare ulteriori bagni di sangue, sollecitando le forze armate israeliane e i gruppi armati palestinesi a compiere ogni sforzo per proteggere le vite dei civili. Ma lo spirito umanitario che anima il pacifismo internazionale è costretto oggi a rincorrere una guerra scoppiata per tre fondamentali motivi visti da una prospettiva d'interesse proprio: il movimento politico, che Israele definisce terroristico, di Hamas è diventato un immenso deposito di armi da scaricare sui "sionisti" che opprimono il popolo palestinese; il governo di Netanyahu persegue da anni una politica intransigente che ha fatto della sicurezza anche il perno della sua stessa esistenza, concedendo spazio illimitato all'estremismo di destra e religioso di Israele, sostenendo con ogni forma gli insediamento di nuovi coloni nelle terre palestinesi occupate; l'attuale scenario geopolitico internazionale è talmente sovraccarico di crisi e focolai di guerre locali da rendere complicato una forma di mediazione autorevole. Alla "tempesta al-Aqsa" come Hamas ha definito il massiccio lancio di missile che ha martellato una ventina di località dello Stato di Israele, le Forze armate di Tel Aviv hanno replicato con l'operazione "Spade di ferro" per colpire le rampe missilistiche sulla striscia di Gaza. Ma non si tratta di una contromisure semplice da attuarsi: Hamas ha appreso dall'esperienza combattente di questi anni per mimetizzare al meglio le sue postazioni militari.

Di qui, l'ipotesi realistica che il primo ministro Netanyahu non si fermerà alla risposta di un giorno. Del resto, la guerra è ripresa con pari vigore all'alba di oggi, 8 ottobre, con colpi di mortai lanciati dal Libano meridionale sull'avamposto del monte Dov, di cui si è attribuita la paternità l'organizzazione paramilitare sciita libanese Hezbollah, e l'immediato risposta al fuoco dell'artiglieria dell'IDF che ha utilizzato anche un drone per distruggere le infrastrutture nemiche. Intanto, in previsione dell'intensificarsi dei combattimento, proseguono le misure di protezione della popolazione civile: stamane, l'esercito di Tel Aviv ha cominciato l'evacuazione dei residenti israeliani che vivono fino a quattro chilometri dal confine con Gaza.

La tempesta è soltanto all'inizio e a concorrere all'esplosione della violenza vi è la situazione di ostaggio in cui si ritrovano entrambi i contendenti. Hamas lo è della sua stessa e inattesa potenza di fuoco con cui in forma diretta e subliminale ora promette di liberare dal gioco dell'oppressione israeliana il popolo palestinese. Un'attesa epifanica che costerà cara agli abitanti di Gaza.

Il primo ministro Netanyahu e il suo governo sono insieme all'intero Israele ostaggio della loro supponenza che li ha fatti precipitare in un fallimento storico, dopo aver ridotto i margini di democrazia nel Paese in nome della sicurezza. Ora, però, Israele ha scoperto una tragica verità: una democrazia malata non assicura la sicurezza, ma soltanto la perdita di quei principi e valori su cui si è fondato 75 anni fa lo Stato di Israele.

Netanyahu ed il suo ministro della difesa Galant, come è stato già scritto [1] sono sulla graticola per il sorprendente fallimento dell'intelligence. Una parte per il tutto dell'immaginario collettivo: il Mossad, il leggendario servizio segreto d'Israele cui si iscrivono soltanto successi e si dedicano film e serie televisive, è stato letteralmente aggirato dalla disinformazione palestinese. In realtà, del disastro sono corresponsabili lo Shin Bet o Shabak (sicurezza interna-frontiere) e l'Aman (servizio segreto militare), entrambi alle prese con gravi dissidi interni che ne hanno indebolito le capacità d'azione. Rimane un crollo verticale inaccettabile per il cittadino comune. Avrà le sue analisi. E avrà la narrazione giustificatoria di chi, come nella fiaba del "lupo al lupo", ha abbassato la guardia dinanzi alle reiterate e quotidiane minacce di Hamas che ieri, però, hanno avuto l'effetto di un fulmine. Haniyeh, il leader di Hamas, sa che facendo così, attaccando per davvero, non solo dovrà sopportare la furia di Israele, ma diventa un "sangue in testa". Secondo un' espressione israeliana, usata spesso dal Mossad, "il sangue in testa" indica chi sta per morire. I tentativi di convivenza per quanto precari fra Israele e Hamas sono, o almeno sembrano, rovinati per sempre o per lo meno per un periodo lungo (la locuzione "per sempre" non esiste nel vocabolario del Medio Oriente che non assicura né vittorie, né sconfitte definitive). Come una tela di Penelope ogni evento è sempre superato dall'evento successivo . Ora l'evento di ieri ha superato quello del tentativo di pace avviato da Stati Uniti e Arabia Saudita con gli altri regimi arabi per una soluzione palestinese. Una costruzione politica-militare che mirava a emarginare l'Iran sciita, antagonista religiosa dei sunniti, principale sponsor di Hamas. Ma, il "taglio delle ali", dell'estremismo non è riuscito, né in Palestina, né in Israele, dove Netanyahu dovrà concedersi ai falchi del Parlamento, a coloro che sostengono che "non c'è nessuna speranza di pace con i palestinesi. Loro vogliono la nostra distruzione, nient' altro che questo". Certo è che nel giorno successivo alla commemorazione della guerra di Yom Kippur, a cinquant'anni dall'attacco a sorpresa di Egitto e Siria contro Israele che lo fece davvero vacillare, la storia si è riproposta, anche se con altri soggetti e forme. In cielo non c'erano aerei da combattimento Mig di fabbricazione sovietica, ma deltaplani dai motori silenziosi a beffare i radar israeliani. Anche qui la storia si ripete nel promuovere la fantasia rispetto alle tecnologie più evolute e sofisticate.

Recita il Talmud: "Se un malvagio viene verso di te per ucciderti, alzati e uccidi per primo". Israele continuerà a farlo e cercherà di annientare gli abitanti della striscia di Gaza, secondo una logica umana distruttiva.

Come diceva Erasmo da Rotterdam: "la maggior parte dell'umanità indugia alla follia e quindi sono le peggiori cose che hanno successo".


Note

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