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Michele Corrado

Israele-Gaza: operazioni militari e processo per genocidio

Aggiornamento: 12 gen

di Michele Corrado*

 


Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, in una intervista di un paio di giorni addietro, ha elencato quali sono gli obiettivi dello sforzo militare nella Striscia di Gaza: “Eliminare Hamas, recuperare tutti gli ostaggi, assicurarci che Gaza non costituirà mai più una minaccia per Israele”.

In questo scarno enunciato è contenuto tutto quello che Israele, come Stato sovrano, sta facendo e farà nel prossimo futuro, indipendentemente dalle riserve espresse dagli Stati Uniti attraverso il suo Segretario di Stato Antony Blinken (oggi al Cairo), dalle posizioni dell'Onu, del processo per genocidio alla Corte internazionale dell'Aja cui Tel Aviv ha replicato seccamente che si tratta di accuse prive di fondamento ed ha definito il Sudafrica, promotore dell'iniziativa, "il braccio giudiziario" di Hamas che continua, dopo 97 giorni di guerra, a farsi scudo con gli ostaggi. L'azione militare, ha aggiunto Israele, è rivolta contro l'organizzazione terroristica e non contro la popolazione civile. Per contrasto, vi sono i numeri che indicano oltre 23 mila morti palestinesi e la situazione al collasso nei rifornimenti alimentari e nelle condizioni igienico-sanitarie in cui si dibatte la popolazione di Gaza.

Su questo drammatico scenario si cala la visione strategica con i relativi obiettivi di Israele che possiamo riassumere in tre punti.


1.Eliminare Hamas. Significa distruzione fisica dei componenti di questo movimento, delle sue infrastrutture e delle sue risorse logistiche; e non solo all’interno della Striscia. È quello che le Forze Armate israeliane stanno facendo, ma vista la conformazione fisica della Striscia, il numero imprecisato dei miliziani ed il loro utilizzo di una vasta rete di tunnel sotterranei, richiede tempi e risorse nettamente superiori ad operazioni militari in campo aperto. Va poi aggiunto poi che le tattiche di impiego delle Forze israeliane vogliono che il numero delle loro perdite sia minimo. Ciò richiede tempi maggiori per lo svolgimento delle singole azioni. Tale prima fase è quella cruciale affinché le successive (che possono essere condotte anche in concomitanza), possano portare al conseguimento dei successivi obiettivi.


2.Recuperare tutti gli ostaggi. Significa non abbandonare queste persone al loro destino e cercare in ogni situazione la loro localizzazione ed il loro recupero. Questa è la forma mentis, che insieme alla salvaguardia dell’integrità fisica dei suoi combattenti, caratterizza il modus operandi delle Forze israeliane e ne rinsalda la loro straordinaria coesione. Ovviamente non sempre ciò va a buon fine, come i tre ostaggi abbattuti da fuoco amico, ma lo stress dei combattimenti nei centri abitati non sempre è gestibile come si vorrebbe. Inoltre, questo obiettivo è funzione del raggiungimento del primo, che una volta conseguito porta automaticamente al conseguimento del secondo.


3.Assicurarci che Gaza non costituirà mai più una minaccia per Israele. Significa che non si dovranno ricreare quelle condizioni che hanno permesso le incursioni del 7 ottobre scorso; inoltre, quel “mai” comunica la volontà di risolvere in maniera definitiva qualunque tipo di minaccia possa esprimere Gaza. Questo è il vero “end state” di tutta l’operazione militare in corso. È l’obiettivo più complicato e controverso da raggiungere. Togliere la minaccia che la Striscia di Gaza costituisce solo per il fatto che esista, significa sgomberarla dalla popolazione che vi risiede. Storicamente, molti sono gli esempi in proposito, ma nel caso specifico, l’Egitto (unico paese confinante che potrebbe accoglierli), non pare sia disponibile a questa soluzione; i precedenti storici, la situazione contingente, pone, almeno nell’immediato, di trovare una soluzione alternativa.


Il rischio escalation militare

Il problema sta nella naturale connivenza degli abitanti della Striscia con strutture terroristiche che hanno come solo obiettivo la distruzione di Israele. È quindi gioco forza, per Israele, (non avendo una profondità territoriale che possa permettergli di “assorbire” azioni ostili palestinesi), estirpare tali organizzazioni, evitare che possano rinascere, inculcare nelle popolazioni palestinesi il concetto di una non “belligeranza” contro Israele. Il controllo diretto di quel territorio rimane l’unico mezzo immediato per gestire il fenomeno. Ma con tutte le implicazioni sui rapporti politici in Medio Oriente, il rischio di escalation militare (sono di oggi raid aerei di Usa e Gran Bretagna sullo Yemen contro gliu Houthi) e il giudizio della comunità internazionale sempre più tiepido verso lo Stato di Israele.  

Secondo la vulgata corrente, il governo Tel Aviv in tale contesto gode dell’appoggio totale o quasi della popolazione e con tale consenso è deciso a risolvere definitivamente la questione di Gaza. Vedremo nei prossimi mesi come si evolverà la situazione, ma sicuramente sarà un processo lungo e doloroso come lo è stato fino ad oggi; anche perché per Israele, se continua a prevalere il tipo di politica che l'ha contraddistinto negli ultimi venti anni, non vi sono alternative.

 

*Col. in Ausiliaria Esercito Italiano

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