"Intesa" Trump-Putin: ora tocca all'Europa la prossima mossa
- Stefano Rossi
- 4 mar
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di Stefano Rossi

L’annuncio di Trump di aver sospeso gli aiuti militari all’Ucraina, che segue il rapido deterioramento dei rapporti tra l’amministrazione americana e quella ucraina, è solo uno dei sintomi più evidenti della fine di un’epoca in cui gli Stati Uniti hanno tentato di governare il mondo tramite la produzione di due beni pubblici globali: la stabilità monetaria e la sicurezza militare. L’Europa arriva preparata solo in parte al nuovo scenario.
Di fronte alla crisi del dollaro aperta negli anni ’70 da Nixon con la dichiarazione di non convertibilità del dollaro in oro, l’Europa ha reagito costruendo un mercato comune e una moneta unica.
La fine dell’egemonia del dollaro come moneta globale è oggi un fatto storico che sta giungendo a maturazione, e che sarà probabilmente accelerato dalla necessaria fase inflattiva che si aprirà per la necessità di svalutare l’enorme debito pubblico americano che è in buona parte in mano alla Cina.
L’Europa si fa trovare storicamente pronta alla fine dell’egemonia del dollaro, perché si è preparata per tempo ed è oggi in grado di garantire la stabilità della propria moneta. Gli Stati membri, fin dagli anni Settanta del secolo scorso, hanno compreso che soltanto unendo le proprie monete avrebbero potuto difendere sé stessi e tutti i cittadini europei e così hanno fatto, costruendo un percorso durato decenni e culminato con l’accelerazione dettata dalla riunificazione tedesca.
Lo stesso non si può dire per il tema della sicurezza. Sarebbe sciocco sorprendersi oggi della fine dell’egemonia americana nel campo della sicurezza internazionale. Le avvisaglie del tramonto statunitense sono sotto gli occhi di tutti da anni, se non decenni. Fu Obama per primo, nel 2016, a parlare degli europei come “free riders” della sicurezza della NATO. Il ritiro dall’Afghanistan (2021) ha sancito il disimpegno statunitense dai teatri di guerra non strategici per i propri interessi nazionali, mentre le continue richieste agli europei di contribuire maggiormente alle spese militari della NATO facevano presagire che il “dividendo della pace” stava giungendo al termine.
Qui le responsabilità dei governi nazionali sono notevoli, perché hanno preferito cullarsi nel sogno di un’Europa intangibile da problemi di sicurezza esterna, piuttosto che fare i conti con una realtà che cambiava radicalmente. Non solo con l’annessione illegale della Crimea, ma addirittura con l’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, nessun significativo passo avanti è stato fatto per creare strumenti efficaci di difesa a livello europeo – passi avanti che dovevano essere fatti dai governi nazionali, i quali mantengono il controllo delle forze militari. Ciò che le istituzioni europee potevano fare (aiuti finanziari e di armamenti all’Ucraina, sanzioni contro la Russia) è stato fatto, ma non è sufficiente.
Le nuove minacce richiedono che l’Unione costruisca gli strumenti per la propria autonomia strategica (inclusa la propria difesa). Se gli USA si sposteranno sull’ “asse del male” – per usare un termine da loro creato – come oggi appare, guardando il voto alle Nazioni Unite del 24 febbraio quando si sono schierati con Russia, Corea del Nord, Bielorussia (insieme a Israele e Ungheria, non dimentichiamo), è evidente che l’Unione Europea sarà vista da loro come un nemico. Attenzione, non i singoli Stati europei, che la Russia (e ora l’America di Trump) provano a dividere concedendo qua e là qualche favore, o tramite il sostegno politico e finanziario dei partiti nazionalisti e di estrema destra. L’Unione Europa è il vero nemico comune di Trump e di Putin. Non a caso entrambe le potenze cercano di evitare le interlocuzioni con i rappresentanti europei, nel tentativo di delegittimarli, favorendo quelle con i singoli governi.
Ma se gli interessi di qualche governi possono saltuariamente essere allineati a quelli delle potenze imperiali che si affermano nel nuovo disordine globale, deve essere chiaro che l’Europa rinuncia alla propria libertà e alla capacità di autodeterminarsi, se non si unisce.
Il governo italiano non sembra averlo capito bene, perché continua a privilegiare i propri rapporti bilaterali con gli Stati Uniti rispetto all’impegno comune dell’UE a costruire una garanzia di sicurezza in Ucraina. La strategia di tenere il piede in due scarpe, con l’assicurazione che se le cose si mettono male possiamo elemosinare l’aiuto del potente di turno, sembrerà forse molto scaltra nel paese di Machiavelli ma, oltre a essere moralmente discutibile, due guerre mondiali dovrebbero averci insegnato dove conduce.
Oggi non dobbiamo cadere nel bias cognitivo di pensarci un continente intoccabile. Le fortune nella storia vanno e vengono, e il fatto che per 80 anni gli Stati membri non siano stati toccati da conflitti su larga scala e abbiano potuto dedicarsi a migliorare il tenore di vita dei propri cittadini non è una legge eterna – anzi è una felice eccezione nella storia degli ultimi duemila anni. Gli europei devono rendersi conto che in questi 80 anni, la pace tra gli Stati membri è stata garantita dall’integrazione europea, mentre la sicurezza “esterna” è stata garantita dalla NATO. Se la garanzia della NATO viene meno, l’Europa deve costruire la propria: i singoli Stati non sono più in grado di farlo.
Per queste ragioni, oggi è il momento di agire. Ognuno deve fare la sua parte. I decisori politici devono avere coraggio e visione, iniziando da subito a costruire un sistema europeo di difesa comune. I cittadini possono far sentire la loro voce con forza, iniziando dalla partecipazione alla grande mobilitazione annunciata per il 15 marzo.
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