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In vista della Conferenza sul futuro dell’Europa

Aggiornamento: 6 apr 2023

di Michele Ruggiero


Le tensioni sul bilancio europeo post-Brexit, emerse dopo il Vertice straordinario del Consiglio europeo del 20 febbraio, per l’ennesima volta non offrono granché spazio alla fantasia. Sono tensioni, infatti, che rimandano e ripropongono il vero nodo politico-istituzionale dell’Ue: il suo essere né carne, né pesce, il suo essere confederazione di stati che però vogliono mantenere piena sovranità su tutto. Quindi, per definizione, l’esatto opposto di una federazione che per agire come tale deve esercitare un ruolo di primo piano su materie strategiche, in primis quella finanziaria, sulla condivisione di regole comuni, per esempio la fiscalità, sulla costruzione di politiche di prospettiva su esteri, economia, ambiente, occupazione giovanile e non, difesa. In altri termini, intaccare o almeno scalfire, la sempre rivendicata sovranità decisionale e operativa che impedisce la nascita di una piattaforma comune di intenti nell’interesse dei cittadini europei e non solo a favore di lobby o gruppi di pressione. Non deve stupire, dunque, se alla proposta di una sostanziale riduzione del bilancio dell’Unione Europa sia seguita la reazione piccata del Presidente dell’Europarlamento, David Sassoli. La posizione di Sassoli, del resto, visualizza nitidamente quello che è il vulnus persistente nel quadro istituzionale europeo: la forbice che si è dilatata tra interessi nazionali e interessi comunitari, con i primi che si sono imposti “ideologicamente” con quel combinato disposto d’acciaio che salda la crisi economica alla questione migranti. Con queste premesse, Bruxelles si ritrova obtorto collo a subire una politica di retroguardia che costringe i “federalisti” a ripartire sempre da un passo indietro, mai in avanti, per sostenere la prospettiva di un’organizzazione compiutamente federale (l’utopia degli Stati Uniti d’Europa), che potrebbe “curare” la riluttanza dei 27 stati dell’Unione a credere fino in fondo nello spirito europeista, peraltro disatteso anche da numerosi leader europei. Eppure, a dispetto di ciò, il 2020 si presenta con il piede giusto per rivitalizzare il progetto politico europeo. Il 9 maggio prossimo si avvierà la Conferenza sul futuro dell’Europa, tanto caldeggiata dal presidente francese Emmanuel Macron alla vigilia delle elezioni europee, e successivamente fatta propria dalla nuova Presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen. I risultati attesi dalla Conferenza, secondo più osservatori, sono ambiziosi: rifondazione dell’assetto politico e istituzionale dell’Ue, revisione dei Trattati fondamentali, centralità della società civile. In realtà, più che di ambizione, si dovrebbe parlare di necessità, di ineludibile passaggio per restituire credibilità al progetto europeo. A cominciare dalla riproposizione della centralità del rapporto con la società per riformare l’Unione Europa. Proprio su quest’ultimo punto, il 15 gennaio scorso, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che ribadisce la centralità del ruolo dei cittadini all’interno della Conferenza: un’indicazione chiara di metodo che vuole rendere quanto più possibile partecipato il percorso della Conferenza. Nonostante ciò, le incognite, le perplessità e i rischi sul tappeto sono tanti. Ad esempio: la Conferenza avrà o non avrà un obiettivo effettivamente “costituzionale”? E a questo obiettivo seguirà l’orientamento federalista dei fondatori dell’Europa, oppure l’epilogo sarà quello finora conosciuto di rafforzare, una volta di più, l’impianto intergovernativo alla radice dei malfunzionamenti e inerzie che frenano la costruzione della Casa d’Europa? E ancora. In che misura, inoltre le famiglie politiche europee rappresentate a Bruxelles potranno incidere nelle decisioni rispetto alle rappresentanze e agli interessi degli Stati? L’incognita maggiore, però, riguarda la capacità di riformare l’Ue senza disperderne il patrimonio di valori acquisito. Sebbene spesso dimenticato, il 2020 è anche il ventesimo anniversario della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Giova ricordare che non si tratta di una semplice dichiarazione di principi, ma di un testo reso vincolante per gli Stati dall’articolo 6 del Trattato di Lisbona, che molti non esitano a definire la vera costituzione dell’Ue. Di essa, nel dibattito politico europeista preparatorio alla Conferenza, si sente parlare con toni troppi flebili per riposizionare gli Stati. Un segnale preoccupante, giacché, se è indubbiamente necessario mettere mano alla macchina istituzionale europea, è altrettanto urgente non manipolarne o ometterne valori e progetto politico originari.

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