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Il prezzo della vendetta di Netanyahu non è illimitato

Aggiornamento: 1 nov 2023

di Vice

Dal 7 ottobre, dall'attacco di Hamas a Israele, attacco che oggi in una intervista al Corriere della Sera, uno dei leader dell'ala militare dell'organizzazione, Ghazi Hamad, giustifica con la necessità di richiamare l'attenzione del mondo sulla condizione del popolo palestinese, oppresso e mortificato, l'ennesimo giorno dopo è una cronaca di devastazioni e di morte nella Striscia di Gaza, i cui abitanti hanno oramai la certezza di essere precipitati sotto la soglia della sopravvivenza.

E' il prezzo della vendetta stabilito dal premier di Israele Benjamin Netanyahu, principale responsabile politico degli eventi degli ultimi vent'anni che hanno alimentato l'odio tra i due popoli. E per Netanyahu, i palestinesi non devono pagare in una soluzione unica, ma a rate, la cui scadenza è a totale discrezione del suo governo i cui tempi potrebbero anche coincidere con un genocidio. Paradossalmente, avallato dalla stessa Hamas che non offre spiragli di pace.

Così a Gaza non si lesinano bombardamenti quotidiani portati con raffinatezza chirurgica dall'aviazione di Tel Aviv, così raffinati alla ricerca di tunnel scavati da Hamas da squartare indistintamente corpi di terroristi come quelli di civili innocenti. Per contrasto, alla popolazione si nega cibo e medicinali, mentre l'erogazione di energia è sempre affidata al caso, con tutto ciò che ne consegue. Non sarebbe una sorpresa, se a breve Gaza dovesse ritrovarsi schiacciata da un'altra terribile emergenza umanitaria per lo scoppio di un'epidemia, a causa del basso livello di igiene sanitaria in cui è precipitata. Con un solo impianto di desalinizzazione, che funziona solo al 5% della capacità, mentre tutti e 6 gli impianti di trattamento delle acque reflue non sono operativi per mancanza di carburante o elettricità, la situazione dei servizi igienico-sanitari sicuri a Gaza "sta per diventare una catastrofe", ha dichiarato la direttrice del Fondo dell'Onu per l'infanzia, Russel.

Domandarsi se Gaza sia diventata un campo di concentramento sa di persino di retorica, se non fosse con estrema certezza una vergogna per l'umanità, un discredito per l'autorevolezza delle Nazioni Unite, per la cultura umanistica dell'Europa e per tutti coloro che si sono impossessati a proprio uso e consumo del marchio della democrazia, democrazia svilita alla stregua di uno spot pubblicitario o commerciale, ma deprivata dei suoi valori in cui vogliamo credere per non vedere crollare anche la speranza.

Stanotte, le forze armate israeliane hanno bombardata il campo profughi di Jabalya, nel nord della Striscia di Gaza. Non un campo profughi qualunque. In questa guerra asimmetrica, di simmetrico vi è il ricorso alla simbologia da una parte e dall'altra. E Jabalya è il luogo simbolo della prima Intifada, della prima rivolta, che scoppiò nel 1987, per poi dilagare a Gaza, infiammare la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Il ministero della Sanità di Gaza, citato da Al Jazeera, ha dato la cifra di almeno 100 morti, mentre Hamas è arrivata a quadruplicarla. E dalle agenzie, è emerso, secondo più testimoni, che l’aviazione israeliana ha fatto ricorso ad una “cintura di fuoco”, ovvero un bombardamento serrato lungo un’intera catena di edifici, “facendone crollare almeno una ventina”. Una strage che si estesa ad altri due campi profughi, con un bilancio di circa 50 morti.

Quanto sangue occorrerà ancora versare per convincere che la collera è un virus dilagante che non ha antidoti se non la saggezza dell'uomo?





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