"Il cammino delle donne. Percorsi di fede nella storia valdese"
di Piera Egidi Bouchard
In tutto il mondo protestante il 31 ottobre di ogni anno è ricordato per l’anniversario dell’affissione delle 95 Tesi sulla porta della Cattedrale di Wittemberg da parte di Lutero, che segnò l’inizio della Riforma, e viene celebrato nella domenica più vicino a tale data. Quest’anno l’occasione era ancora più significativa per le chiese valdesi, poiché si ricordavano gli 850 anni dalla nascita del movimento valdese che, nato come movimento pauperistico e itinerante intorno al 1174, come è noto aderì alla Riforma nel 1532. La chiesa valdese di lingua italiana a Zurigo ha perciò voluto celebrare questi anniversari invitando Piera Egidi Bouchard – domenica 3 novembre - a un culto e a una conferenza su “Il cammino delle donne-Percorsi di fede nella storia valdese”, esponendo nel contempo anche un’ampia mostra con pannelli dedicati a queste figure di donne nella storia .
Quella di Zurigo è una significativa comunità costituita di emigrati italiani – ora di seconda e terza generazione -, di cui in particolare si occuparono due donne: la pastora Giovanna Pons, recentemente scomparsa, che fu tra le prime tre studentesse iscritte negli anni ’50 alla Facoltà valdese di Teologia, poi impegnata nella discussione per l’istituzione del pastorato femminile, che fu promulgato nel 1962 (e che dette alla stessa Piera Egidi Bouchard la testimonianza del suo lavoro sociale con i nostri emigrati nel libro curata per l’Istituto Gramsci di Torino “Il cuore della memoria”), e Elena Fischli-Dreher (1913-2005), che in questa comunità fu presidente del Concistoro, attiva nel movimento pacifista fondato dal teologo Leonard Ragaz e sua moglie Clara, dopo essersi trasferita a Zurigo da Milano, dove fu attiva nella Resistenza (medaglia d’Oro) salvando i partigiani in quanto infermiera e trovando nascondigli a molti, tra cui Ferruccio Parri. Fu anche la prima donna eletta nel dopoguerra a una carica pubblica, come Assessora all’Assistenza a Milano. C’è un lungo percorso tra e con le donne, dunque, in questa comunità, che spiega l’invito rivolto all'autrice del saggio presentato alla conferenza, di cui pubblichiamo una sintesi, rimandando il testo completo a https://drive.google.com/file/d/1B2USHeVXg3fs37sd6T2Hmvi8GoC3S0A1/view?usp=drive_link.
Della nascita del movimento valdese non si sa quasi nulla, neppure con certezza il nome del suo fondatore (in latino Valdesius o Valdius); neanche se fosse - come tramandato - un ricco mercante, e neppure la data della sua conversione, avvenuta tra il 1173 e il 1176. Certamente, nonostante i molteplici racconti, la sua fu una decisione di tipo spirituale, come problema di coerenza evangelica: donò i suoi beni ai più miseri e iniziò una vita di povertà, imparando a predicare sulla Scrittura, che aveva fatto tradurre in volgare parlato, secondo quello che secoli dopo dai Riformatori fu chiamato il “libero esame”: principio per cui essi riconobbero la chiesa valdese come “Mater Reformationis”, origine della Riforma. I seguaci di Valdo, laici di tutte le condizioni sociali – uomini e donne -, volevano vivere “come gli Apostoli”, poveramente, come movimento itinerante, e predicando liberamente “secondo la grazia che Dio ci ha fatta”. Lo scontro con la gerarchia avvenne proprio sul tema della predicazione, che usurpava le prerogative del clero, e il Concilio di Verona li condannò (1184).
Del ruolo delle donne non si sa quasi nulla, dal Medio Evo fino ai secoli seguenti, se non che anch’esse predicavano, e che per questo furono perseguitate, secondo i verbali dell’Inquisizione, dai quali si deducono alcune poche notizie su di loro, non ricordate perlopiù coi nomi, bensì in genere come “moglie di”, ”figlia di”. L’adesione dei valdesi alla Riforma (1532) vide prevalere una concezione tratta dall’apostolo Paolo per cui le donne dovevano tacere durante le assemblee (I Corinzi 14,34). Durante il dibattito teologico sul pastorato femminile tanti secoli dopo, però (1948-1962), prevalse il versetto di Paolo (Galati 3,28) che nella chiesa non esistono né Giudeo, né Greco, né schiavo, né libero, né maschio, né femmina.
Lungamente, così, la donna valdese fu confinata nel ruolo famigliare, ma abbiamo notizie che già nel XVII secolo esse potevano chiedere al Sinodo la separazione o il divorzio, anche dal coniuge pastore, o esigere il mantenimento per i figli nati fuori dal matrimonio. E i pastori già dalla adesione alla Riforma si maritavano. A differenza dei cattolici, infatti, il matrimonio è una scelta etica e un impegno, ma non un “sacramento”, cioè un segno della grazia divina, poiché i sacramenti sono solo due, quelli tramandati dai Vangeli in quanto testimoniati nella vita di Gesù stesso: Battesimo e Santa Cena. E le donne valdesi probabilmente erano a conoscenza di questo diritto di parità, derivata da un’istruzione religiosa comune, come nota la più grande scrittrice contemporanea valdese, Marina Jarre.
Nel 1848 i valdesi ottennero dal re Carlo Alberto di Savoia le libertà civili, e fu loro permesso di lasciare il “ghetto” delle Valli, e dopo l’unità d’Italia fu fondato un “Comitato di evangelizzazione”, a cui aderirono soprattutto delle giovani ragazze, le coraggiose “maestrine” delle Valli valdesi, che andarono ad aprire scuole e ad insegnare in tutta Italia, in particolare nel Sud. La loro lingua era il patois occitanico e il francese, lingua di cultura usato in chiesa, anche l’italiano, e non capivano il dialetto dei luoghi dove erano mandate, e spesso erano isolate, come “straniere”, “diverse”, “eretiche” contro cui il prete del paese mette in guardia le famiglie. Abbiamo le lettere al Comitato che descrivono la difficile condizione della loro missione, e quella delle popolazioni, dei bambini a loro affidati e delle famiglie. Ma sono raccontati anche i piccoli successi nell’insegnamento, gli affetti per i bambini, e soprattutto la loro profonda fede religiosa. Quel lavoro di alfabetizzazione fu importantissimo: la maestra non era una missionaria mascherata da insegnante, era “missionaria in quanto maestra”. La lettura della Bibbia era importante nella prassi didattica, ma di principi religiosi si parlava nelle “scuole domenicali”, ben distinte dalle altre.
Per arrivare a conoscere compiutamente la vita e il ruolo di alcune donne, dobbiamo arrivare tra la fine del 1800 e i primi del 1900, incontrando figure come Lidia Poèt – prima avvocata d’Italia – o, nella Resistenza, donne impegnate nell’aiuto ai partigiani nelle Valli valdesi occupate dai nazisti come Marcella Gay, Vera Long, Frida Malan (che fu anche dopo la Liberazione Assessora al Comune di Torino, impegnata nell’YWCA, presidente della Commissione Pari Opportunità della Regione Piemonte), o Elena Fischli-Dreher, medaglia d’oro, che operò a Milano, e nel dopoguerra fu in quella città Assessora al Comune, la prima in Italia, e successivamente si trasferì a Zurigo, dove fu presidente del Concistoro, predicatrice, lottò per la pace e per l’integrazione degli emigrati.
Il dibattito sul pastorato femminile durò 14 anni, (la definitiva approvazione è del Sinodo 1962) e ne riferisce in un suo saggio la pastora Giovanna Pons, una delle tre prime studentesse alla Facoltà valdese di Teologia, pastora solo dal 1981 (proprio nella chiesa di Zurigo), avendo dovuto in precedenza lavorare come insegnante di matematica e fisica nei licei statali. E per accedere al ruolo pastorale dovette lasciare la cattedra e cominciare – a 52 anni, ricordava – quella che sentiva come la vocazione di tutta una vita.
Il “Decennio ecumenico di solidarietà delle Chiese con le donne” (1988-1998), in occasione del quale ho potuto intervistare 100 donne evangeliche di tutte le età e ruoli, e di tutte le provenienze (edite nei due volumi Claudiana “Voci di donne“ e “Sguardi di donne”) vede un miglioramento significativo della condizione femminile. Attualmente, oltre a molte pastore, diacone e presidenti dei consigli di chiesa, abbiamo avuto due donne elette nella massima carica di moderatore della Tavola valdese: la pastora Maria Bonafede ed ora la diacona e avvocata Alessandra Trotta.
Un dato significativo è che attualmente alcune donne cominciano a scrivere e a pubblicare la storia della propria esperienza di vita e della propria famiglia (Emmina Gay Rochat, Evelina Girardet, Hilda Girardet, Paola Vinay, Laura Nisbet, Bruna Peyrot - la più affermata storica valdese - Doriana Giudici). E altre ancora sono le studiose presenti in ogni campo, e le nostre teologhe (e mi scuso se ne cito solo alcune, in particolare le pastore Daniela Di Carlo, impegnata per i diritti e l’inclusività, Letizia Tomassone, docente alla Facoltà teologica, ed Erica Tomassone, che è stata anche vicemoderatora). Ciascuna di loro ha pubblicato parecchi studi. Ma su ciascuna sarebbe necessaria una apposita conferenza!
Le lotte del movimento delle donne dagli anni ’70-’80 hanno inciso anche sul modo di sentire delle nostre comunità e sulla percezione di sé delle credenti. Che le donne delle chiese comincino a ritenere significativa la loro esperienza di vita e a trasmetterla, è una svolta di grande importanza: stiamo uscendo poco alla volta da quella condizione di silenzio millenario, confinate nella famiglia e nella casa, schiacciate nel puro “servizio” anche nelle Chiese.
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