Alla ricerca di una soluzione europea per l’atomica francese
- Domenico Moro
- 2 giorni fa
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di Domenico Moro

Il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron (non ancora incappato nel famoso "schiaffo" all'arrivo in Vietnam), nel corso dell’intervista alla rete televisiva TF1 del 13 maggio scorso, riferendosi all’arsenale nucleare francese (la Force de frappe), ha compiuto un passo avanti rispetto al discorso tenuto alla “École de guerre” nel febbraio del 2020. Cinque anni fa, l'inquilino dell'Eliseo si augurava che si sviluppasse “un dialogo strategico con i nostri partner europei disponibili a discutere il ruolo della deterrenza nucleare francese nel quadro della sicurezza collettiva”. Nel corso della suddetta intervista, invece, Macron ha annunciato di aver avviato colloqui con Germania e Polonia per valutare se e come la Francia possa estendere la deterrenza nucleare all’intero continente europeo. In particolare, Macron si è detto pronto ad aprire una discussione con gli europei sulla possibilità di stazionare le armi nucleari francesi sul loro territorio.
Dipendenza dell'arsenale nucleare britannico
Si tratta di un’apertura importante, ma prima di commentarla è opportuno fare chiarezza su un punto che ricorre spesso, quando si discute di dotare l’Europa di una capacità di deterrenza nucleare. Si sostiene che questa deterrenza si dovrebbe basare sulle capacità nucleari di Francia e Gran Bretagna. Questa alternativa è del tutto teorica, in quanto l’unico arsenale nucleare autonomo in capo a un paese europeo è quello francese. L’arsenale nucleare britannico è integrato in quello americano e non può essere utilizzato senza il consenso degli Stati Uniti (salvo il caso in cui sia in pericolo la sicurezza britannica). I quattro sommergibili britannici sono attrezzati con i missili balistici Trident (foto in basso) di produzione americana e impiegano testate nucleari anch’esse di produzione americana.

Nella sua intervista a TF1, Macron ha anche chiarito le condizioni in base alle quali la Francia è disposta a posizionare le armi nucleari francesi sul territorio di altri paesi europei. I paesi interessati dovranno partecipare al finanziamento dell’ombrello nucleare francese e il controllo ultimo sul suo impiego resterebbe nelle mani del Presidente della Repubblica francese. La possibilità che i paesi europei partecipino al finanziamento dell’arsenale nucleare francese è un tema che risale al 2022 quando, qualche mese dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’allora ex-ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, dichiarò che, in cambio della deterrenza estesa alla Germania, quest’ultima avrebbe dovuto partecipare al suo finanziamento.
Questo aspetto del problema, però, deve essere visto nel quadro più ampio del livello di spese militari che devono sostenere i paesi europei: non deve essere stabilito dagli USA, ma dalla Ue, in accordo con i paesi europei e non sulla base di un’unica percentuale di spesa sul Pil, bensì differenziato per paese. Il paese dotato dell’arma nucleare e di una forza navale più robusta di quella degli altri paesi, come la Francia, verosimilmente dovrà sostenere un livello di spesa più elevato. Altri paesi, di piccole dimensioni e situati al centro dell’Europa, avranno forze armate che richiederanno un minor livello di spesa. Si dovrà, pertanto, prevedere che la compensazione a favore dei paesi che spenderanno più della media europea avvenga tramite il bilancio europeo.
Una formulazione "transitoria" per la UE
Il punto più delicato sollevato da Macron è, ovviamente, il fatto che l’ultima parola sull’impiego del deterrente nucleare resti nelle mani del Presidente della Repubblica francese. Nel breve termine, non è ipotizzabile una diversa soluzione. Nel medio-lungo termine bisognerà optare per una soluzione permanente a livello europeo: una prospettiva su cui si potrebbe cominciare a riflettere può essere quella offerta dall’esperienza della federazione americana.
Quando la federazione americana venne fondata, la sua struttura militare si fondava su due livelli: quello federale, basato su limitate forze armate, e quello statale, fondato sulle milizie statali che, fino all’inizio del XX secolo hanno costituito la quota prevalente della struttura militare americana. A partire dalla nascita della federazione, nelle Costituzioni statali si è progressivamente provveduto ad inserire una frase che perlopiù prevede che “il Governatore dello Stato è il capo delle forze armate statali, fino a quando il Presidente degli Stati Uniti non decide di avvalersene”. Benché, storicamente, si sia trattato di una previsione che molti Stati hanno fatto fatica a rispettare, può essere vista come una soluzione per l’estensione e l’impiego dell’ombrello nucleare francese sul continente europeo. Si potrebbe, infatti, prevedere che nella Costituzione francese si affermi che “il responsabile della forza nucleare è il Presidente della Repubblica francese, fino a quando il Consiglio europeo non deciderà di avvalersene”. Simmetricamente, occorrerà prevedere una formulazione analoga nel trattato costituzionale europeo.
I problemi posti da una soluzione di questo tipo vanno oltre la portata del presente articolo. Qui si tratta solo di ipotizzare una soluzione istituzionale su cui cominciare a riflettere. Su alcuni punti, si possono però fare delle considerazioni, il primo dei quali riguarda l’ordine mondiale che l’Ue intende perseguire. È opinione diffusa che quest’ultima sia l’unica comunità politica che, se non altro per interesse, possa perseguire una politica di difesa e sostegno delle istituzioni multilaterali a salvaguardia di un ordine mondiale basato su regole condivise. Per questa ragione, la soluzione qui ipotizzata per l’impiego permanente dell’arsenale nucleare francese è da preferirsi (non solo per ragioni di tempo) a quella che prevede la scelta di dotare l’Ue di un proprio arsenale nucleare che, necessariamente, dovrebbe portare a sviluppare la R&S e produzione diretta di un arsenale nucleare in capo all’Ue.

Dalla sicurezza alla politica estera comuni
Una scelta di questo tipo darebbe il segnale sbagliato al resto del mondo, nella misura in cui inserirebbe l’Ue nella corsa agli armamenti che, nel 2024, secondo le statistiche del SIPRI, hanno raggiunto il nuovo massimo storico di 2.700 miliardi di dollari a prezzi correnti. Quanto qui proposto, invece, riconosce che l’arma nucleare può fungere da deterrente nei confronti di un eventuale aggressore, ma senza ricorrere a quella che sarebbe vista come una politica di proliferazione nucleare. Si tratterebbe, in buona sostanza, di una sorta di politica di “pacifismo realista” (o “pacifico realismo”) che si ispirerebbe all’idea gorbacioviana di una “difesa difensiva”.
L’altro punto riguarda un’altra tesi correntemente sostenuta, secondo cui politica di sicurezza e politica estera vanno insieme e non si può pensare l’una senza, contemporaneamente, pensare all’altra.
Ancora una volta, è bene ricordare che l’Ue sarà un sistema istituzionale federale e non unitario. Pertanto, non è necessariamente vero che una politica di sicurezza comune richieda una politica estera comune. Una politica europea di sicurezza comune, che preveda il ricorso, se necessario, all’arma nucleare, secondo le modalità qui ipotizzate, può essere decisa indipendentemente da una politica estera comune in senso stretto. È necessario – questo sì – che vi sia una comune valutazione di quelle che sono considerate le minacce esterne alla comunità politica europea a fronte delle quali l’Ue si dovrà attrezzare. La condivisione delle minacce alla sicurezza europea è il passo indispensabile per l’attivazione della procedura del “doppio bottone”, vale a dire la stessa procedura attualmente in vigore nell’ambito dell’Alleanza atlantica, nel nostro caso inserita, però, in un quadro democratico.
Una decisione di questo genere in una comunità politica costituita da Stati nazionali storicamente consolidati, non può essere presa a maggioranza: bisogna pensare ad una decisione presa, se non all’unanimità, dalla stragrande maggioranza dei paesi che compongono l’Ue, ricorrendo all’astensione costruttiva prevista dai trattati, per i paesi che non dovessero condividere l’elenco delle minacce individuate, oppure alla procedura scelta per superare il veto ungherese alle sanzioni contro la Russia (sostanzialmente, una “pausa caffè” per il paese dissenziente). Va da sé che, una volta individuate le minacce all’Ue, queste valutazioni dovranno essere sottoposte a un voto del Parlamento europeo.
L’ultimo punto che qui si accenna solamente, è l’istituzione europea cui dovrebbe fare capo la gestione del “bottone da premere” nel caso di una minaccia nucleare da parte di paesi terzi. L’istituzione che dovrebbe essere preposta alla gestione di questa responsabilità, realisticamente, non può che essere il Consiglio europeo – cui compete l’analisi, valutazione e decisione sulle minacce da prendere in considerazione – nella persona del suo Presidente e che può essere attivato anche su iniziativa francese. Ma questi sono spunti su cui dovranno (presto) essere fatte valutazioni più approfondite.
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