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L'Editoriale della domenica. Due mamme: vuoto legislativo, così decide la Consulta

di Emmanuele Banfo


Madri per nascita, madri per scelta. Madri secondo natura, madri secondo coscienza. Assiomatiche, convergenti, ma non automaticamente sovrapponibili tali asserzioni sono lo sfondo del dibattito che ha trovato nuova linfa dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo impedire alla madre putativa il riconoscimento del figlio nato in Italia dalla sua compagna in seguito a una procreazione medicalmente assistita (PMA) all’estero. Due mamme legalmente riconosciute come tali, con gli stessi diritti e, soprattutto, gli stessi doveri.

La vicenda, che ha chiuso un caso portato davanti alla Consulta, dal Tribunale di Lucca, è destinata a entrare nella storia, a incidere sul diritto di famiglia, a inserire un nuovo tassello nel puzzle etico della nostra società contemporanea. La storia vede protagoniste due donne che, prima della circolare del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi del 2023, avevano già avuto modo di riconoscere una figlia, mentre il secondo, nato dopo l’alt ministeriale, non aveva goduto dello stesso trattamento. Investito del problema, il Tribunale di Lucca si è rivolto all’organo giudiziario deputato a valutare la conformità di ogni nostra normativa alla Carta Costituzionale. I giudici hanno detto no: vietare alla madre putativa, ovvero alla donna che ha condiviso il progetto genitoriale, di riconoscere la creatura che è frutto di quel progetto pur essendo biologicamente nata dal grembo dell’altra donna, non è lesivo del diritto della donna stessa, ma di quella creatura.


Vale il superiore interesse dei/delle minori

E’ questo il punto fondamentale sul quale si è soffermata la Corte. Il superiore interesse dei/delle minori, principio sul quale si basa l’intero impianto giurisprudenziale in Italia, ha costituito l’asse attorno al quale si è sviluppato il ragionamento. Sottrarre a un/una figlio/a un genitore o una genitrice nella fattispecie, è lesivo non solo del suo status giuridico, ma della sua crescita, psicologico-affettiva. E’ come far pagare al/alla bambino/a il prezzo dell’omoaffettività di due persone che, comunque la si pensi, ne hanno deciso la nascita. La Consulta ha pertanto ritenuto difforme agli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione l’articolo 8 della legge n.40 del 2004 sulla fecondazione assistita là dove non riconoscendo l’omogenitorialità di fatto nega a uno dei genitori di essere tale, se non ricorrendo all’ adozione in casi particolari, iter lungo e costoso e che come tale può essere soggetto a ripensamenti da parte del genitore o genitrice putativo/a.

Infatti, il nuovo intervento della Consulta stabilendo che il/la nascituro/a possa essere riconosciuto subito, si preoccupa della sua tutela non lasciando spazio ad arbitrarietà di sorta. La nostra Costituzione all’articolo 2 garantisce i diritti fondamentali della persona e il/la bambino/a sono persona a tutti gli effetti e hanno diritto a uno stato giuridico certo e stabile. L’articolo 3 afferma la pari dignità sociale e giuridica di tutti i/le cittadini/e senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche. E qui rientrano genitori e figli. Né devono essere discriminate le coppie omoaffettive, né i loro bambini/e. Infine, l’articolo 30 fissa il diritto-dovere del genitore e della genitrice a mantenere, istruire ed educare i/le figli/e anche se nati/e fuori dal matrimonio.

La stessa Corte Costituzionale contestualmente ha emesso, però, un’altra sentenza, la numero 69 che mantiene l’impedimento alla procreazione assistita da parte della donna single a motivo delle "rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riflessi sociali sui rapporti interpersonali e familiari" che il cadere della norma comporterebbe. Lascia quindi aperto il quesito e si richiama alla discrezionalità del legislatore. Una decisione quest’ultima che ha lasciato l’amaro in bocca a molti commentatori che hanno accolto positivamente la precedente sentenza vedendovi una sorta di contraddizione.


La legge contempla solo i diritti della coppia

Nel dispositivo si legge che, alla luce del fatto che la legge n. 40/2004 indirizza le tecniche di PMA come rimedio alla sterilità o infertilità che abbiano causa patologica, "l’infertilità patologica della donna singola non è omologabile a detta situazione, sicché la disomogeneità dei due gruppi di ipotesi non determina una irragionevole disparità di trattamento" e in tal senso si è espressa la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In altre parole non è stata ritenuta equivalente la condizione della coppia eterosessuale sterile o non fertile a quella della donna single che non può procreare. Altro è il discorso sulla maternità surrogata o altrimenti detta utero in affitto vietato in Italia e dall’Europarlamento con una direttiva del 2024.

Acclarati i diritti costituzionali delle madri e dei loro figli/e, sarebbe superficiale o quanto meno riduttivo non porsi alcune domande che hanno a che fare con il ruolo del legislatore, la cultura patriarcale, l’etica personale e l’etica sociale. Sul primo quesito è evidente ormai da tempo come in diverse circostanze sia la magistratura e non il Parlamento a svolgere quella funzione legislativa a cui è deputato. La politica ha perso il suo primato, il Governo, che avrebbe ruolo esecutivo di fatto attraverso decreti e scorciatoie varie, s’impone sulla dialettica tra i partiti, i quali, a loro volta, raramente alzano il livello del confronto. I radicalismi, i dogmatismi ideologici, l’indisponibilità alla mediazione nasce, a monte, dalla sempre più diffusa incapacità al dialogo, al confronto. Ogni argomento diventa pretesto per alzare barricate.


La politica ritrovi sé stessa, perché le leggi non bastano

Se la politica quale capacità alla dialettica, arte del compromesso in vista del bene comune che è frutto di un’articolazione armonica di istanze diverse da parte della cittadinanza, se si affermasse la volontà di giungere a una coesione sociale che non è uniformità, omogeneità, ma coesistenza e dialogo, scambio e crescita, in un cammino comune di consapevolezza civica, sarebbe un nuovo inizio. Perché le leggi non bastano. E neppure le sentenze della Consulta, anche quando sono le benvenute. Quel che occorre è la recettività del tessuto sociale. Piantare il fiore, l’albero più bello, più rigoglioso in un terreno arido, è come condannarlo a morte. Quindi dopo l’esultanza per un pronunciamento condivisibile, occorre temperanza, saggezza, equilibrio nell’affrontare ostacoli che vengono da secolari tabù, da pregiudizi atavici, ma anche da preoccupazioni che merita prendere in considerazione. Innanzitutto, quindi, ora intervenga il legislatore a riprendere in mano la legge 40 del 2004 e i partiti non indossino elmo e moschetto, ma si servano di argomenti seri.

Secondo punto: la cultura patriarcale. Esiste, è radicata, al di là delle affermazioni di principio. La storia è un processo lento perché le coscienze hanno bisogno di metabolizzare i cambiamenti, di assorbire cibi nuovi. L’idea di famiglia composta da papà, mamma e figliolanza fa parte, inoltre, di una cultura che ha addentellati religiosi. Ci sono confessioni, come quelle di una parte del mondo protestante, aperte alle coppie omoaffettive, a famiglie non tradizionali, ma ce ne sono altre non altrettante disponibili (non soltanto la Chiesa cattolica) e, senza gettare anatemi, bisogna rispettarne le ragioni. Come è accaduto per il divorzio e, ancora di più, per l’interruzione volontaria della gravidanza una visione etica non deve imporsi su un’altra.


L'incontro tra etica personale ed etica sociale

Non esiste e non deve esistere un’etica di Stato che non sia quella, sulla quale, tra l’altro, è plasmata la nostra Costituzione, attestante la pari dignità delle persone. Che non significa relativismo etico, ma coesistenza di modelli di vita che si rispettano. Quelli che vanno condivisi e che costituiscono l’humus della coesione sociale, sono i valori che ne stanno alla base: rispetto dell’altro, solidarietà, il senso di responsabilità individuale e collettiva. E perché non aggiungere la compassione, il senso della giustizia, quell’empatia che, al termine di ogni ragionamento, ti porta a vestire i panni dell’altra persona, a capirne i sentimenti sentendola in questo modo come parte del tuo mondo e non un’estranea da espellere.

L’etica personale e quella sociale s’intersecano la dove l’ego, pregno delle sue convinzioni, dei suoi teoremi, portatore di una visione del mondo, si riflette nello specchio di tutte quelle relazioni umane, esistenti o futuribili, reali o potenziali, che costituiscono il suo vivere con gli altri. Non è negazione della persona, dell’unicità di ogni persona, ma al contrario la sua affermazione più ampia poiché parte della costellazione sociale, di un orizzonte globale. Nel nostro tempo dove rischia di prevalere l’egoismo del sé, guidato dal valore massimo del proprio desiderio, questo processo costruttivo di crescita, personale e collettiva, trova impedimento. La nostra società del desiderio potrebbe veder trasformato il diritto in pretesa, rivendicazione incentrata sul sé, egoità narcisistica.


I minori non devono essere terreno di scontro, mai

Due ultime considerazioni. Fino a che punto ciò che la tecnica permette è eticamente giustificabile? Se andiamo oltre al tema in questione e ci poniamo il problema se davvero tutto ciò che è possibile debba essere permesso, facilmente vedremmo che tutto si fa più complicato. L’evoluzione tecnologica e la concomitante propensione dell’uomo a farsi artefice di tutte le cose, in una nuova forma di antropocentrismo inglobante un biocentrismo o ecocentrismo che lo renda oggi più eticamente accettabile, apre a scenari non sempre edificanti. Il senso di onnipotenza insofferente a ogni limite è perdita dell’umano e non la sua valorizzazione. Infine, e questa sì rientra nel tema in questione, attenzione ai/alle bambini/e. Mentre a parole diciamo una cosa, nei fatti cerchiamo di non smentirci. Evitiamo di farli/e diventare terreno di battaglie se pur giuste, evitiamo bambini/e ancora una volta contesi/e, non da genitori che si separano, ma da Stato e adulti come fossero proprietà dell’uno o degli altri.

La Consulta una cosa l’ha detta chiara: bisogna pensare a loro, tutto va fatto perché siano tutelati, a prescindere dalla loro situazione familiare. In questi giorni, contravvenendo alla Carta di Treviso inclusa nel Testo Unico dei Doveri del Giornalista (anche quello nuovo che entrerà in vigore il prossimo 1 giugno) sono stati pubblicati i nomi dei due minorenni, figli della coppia lesbica. La notorietà del caso rendeva difficile non renderli riconoscibili, essendo state diffuse da tempo le generalità delle due donne. E non può valere come scusante che le genitrici abbiano dato il consenso. Avanzerebbe così tra il nuovo il vecchio concetto del figlio "proprietà" del genitore. Fatte le debite attenuanti, sarebbe bene che cali il sipario su questa famiglia superando la personalizzazione del caso per farlo diventare occasione di un civile dibattito politico che, si spera, porti a un rinnovamento della nostra legislazione in materia.

 

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