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Elezioni Israele: Netanyahu nella morsa del "pistolero" Ben-Gvir

di Germana Tappero Merlo



Benjamin (Bibi) Netanyahu è tornato ad essere l’asse attorno al quale ruota la politica israeliana, a conferma del tono della domanda ricorrente in queste ultime settimane fra le strade e i quartieri di Tel Aviv, ossia “sei pro o contro Bibi?”. Domanda secca, senza nemmeno indagare o indugiare sulle possibili alternative.


Perché Netanyahu è, di fatto, lui stesso una forza politica in grado di mobilitare la massa degli elettori israeliani, anche quelli ormai stanchi e disillusi da cinque tornate elettorali in meno di quattro anni, e portarli a votare. Con il risultato che nelle elezioni che si sono tenute ieri, con un flusso fra il più alto degli ultimi 40anni (circa il 60%), proprio il Likud di Netanyahu, il più longevo primo ministro, ben oltre il padre della nazione David ben Gurion, con il blocco di destra si è aggiudicato 65 seggi sui 120 alla Knesset. Un suo ritorno alla grande, quindi, nella politica attiva, dopo i processi per corruzione che l’hanno coinvolto duramente in questi ultimi anni; ma la sua popolarità ed influenza vanno ben oltre possibili tentazioni e accuse varie, fra cui frode.


Si tratta oramai di quello che viene definito, in particolare dall’opposizione, come il “bibismo”, una sorta di movimento di pensiero “personificato”, cui gli avversari politici non sono stati in grado di concepire una controideologia, che vede in Netanyahu, non solo il politico, ma l’unico apporto serio alla gestione della quotidianità israeliana, in quanto incarnazione della garanzia di sicurezza e continuità nei soliti temi interni, ma anche perché in grado di mantenere il prestigio internazionale di quel Paese. D’altronde, in questa personificazione della politica, Netanyahu è perfettamente in linea con quanto accade in parecchie nazioni, anche europee oltre che negli Stati Uniti, dove il rapporto fra l’uomo politico e i suoi sostenitori si è trasformato a tal punto da trascendere completamente, in molti casi, lo stretto ambito della sola politica.


Il “bibismo” infatti è espressione di quella che è la cultura del fandom, ossia il processo di identificazione e nel contempo idealizzazione come accade nel mondo dello spettacolo o dello sport, in cui i fan o i tifosi finiscono per identificarsi nei loro idoli, provando però un astio anche viscerale nei confronti dei rivali. È un approccio che si alimenta del culto della personalità dei più moderni rappresentanti della politica a tutte le latitudini, oramai, ma che, nel mondo attuale, getta e coltiva i semi di una sempre più pericolosa polarizzazione. E poi perché, stando alle affermazioni di esponenti del partito di Yair Lapid, Yesh Atid, del governo uscente e battuto in questa tornata, Netanyahu avrebbe fatto “il patto con il diavolo”, nella persona di Itamar Ben-Gvir, di cui parecchie testate giornalistiche anche nostrane si sono occupate in questi giorni[1], in quanto ultranazionalista e diventato il riferimento di una buona fetta dell’elettorato israeliano, soprattutto dei giovani.


Un’ulteriore delusione per il governo ora sconfitto che voleva realmente porsi come quello del cambiamento, non ottenendo però dalla risicata maggioranza che deteneva, tutta la fiducia necessaria per una nazione preoccupata dal forte aumento del costo della vita[2], ma soprattutto in grande tensione visto il numero vertiginoso degli attacchi terroristici (oltre 300 nel solo 2022), da parte di formazioni jihadiste palestinesi, come pure per le forti tensioni in Cisgiordania degli ultimi mesi[3]. Insomma, una forza politica che non è stata in grado di superare quel senso di permacrisis, quella crisi permanente che sembra non dare tregua e che, per l’incertezza del futuro, avvelena il quotidiano di molte regioni del mondo.


Il “diavolo” Ben-Gvir ha quindi fatto accorrere quell’elettorato arabo-israeliano timoroso del suo estremismo per una nazione suprematista, ebraica messianica e fondamentalista. Eppure i voti arabi non sono bastati a fermarlo, tanto che il suo partito, Otzma Yehudit (Potere ebraico), in coalizione con altre formazioni minori, dalle posizioni omofobe e messianiche (Sionismo Religioso), si è rivelata essere ora la terza forza politica in grado di sostenere il Likud di Netanyahu. Ben-Gvir, d’altronde, è dichiaratamente un seguace del rabbino ultraortodosso americano Meir Kahane, ucciso da un fanatico fondamentalista musulmano a New York nel novembre del 1990, laddove il conflitto con i palestinesi è sì importante ma le colonie e la loro sicurezza, anche armata, lo sono in maniera maggiore perché ne va della sopravvivenza di Israele.

E Ben-Gvir è alquanto fanatico della sicurezza armata, individuale e privata – fra i suoi idoli, per rimanere in tema di fandom, Baruch Goldstein della strage di palestinesi nel 1994 a Hebron e Ygal Amir, l’assassino di Yitzhak Rabin nel 1995 - tanto che, per le sue posizioni estremiste securitarie, non è stato nemmeno ammesso al servizio militare, anche se ha smorzato certi suoi toni proprio nel corso di quest’ultima campagna elettorale. Itamar Ben-Gvi è comunque stato accusato 46 volte per reati che vanno dalla fomentazione di disordini, all’istigazione al razzismo sino a sostegno a un’organizzazione terroristica (il partito Kach di Kahane, appunto)[4] e che punterebbe, a quanto promesso da Netanyahu, al ministero della pubblica sicurezza.


E i terroristi, quelli odierni, suoi ecerrimi avversari, lo hanno ben inquadrato nei loro mirini, tanto che in un video di propaganda palestinese che circolava, un paio di settimane fa, in una serie di chat di Telegram – non a caso definite Terrorgram – era recitato- rappresentato un suo rapimento, attraverso “un’operazione gloriosa” di miliziani di Hamas, che lo trascinavano, con corteo solenne, a Khan Younis, presso Gaza, lo sottoponevano ad umiliante giudizio di un tribunale di sole donne musulmane, lo condannavano ed infine lo giustiziavano, con tanto di (finto) cadavere disteso a terra, malmenato e straziato. Tutto nel tripudio di folla e bandiere palestinesi e di Hamas, miliziani armati (armi, sì, quelle erano vere) circondato da donne e bambini. Propaganda terroristica certo, ma anche cultura per le giovani generazioni.


Un trattamento omicida che spetta ad un agitatore di odio che è, al tempo stesso, anche abbastanza agitato già di suo, almeno secondo quella parte di opinione pubblica israeliana che lo ha visto satiricamente rappresentato da un comico in uno show televisivo mentre, pistola in pugno, sparava fra le gambe di Netanyahu per farlo saltare o ballare il tip tap, come a dirgli “la tua vittoria è grazie a me, e ora ti faccio danzare con la musica che preferisco”. O, per lo meno, era all’incirca questo il significato della gag nello show dal titolo evocativo, “Un Paese meraviglioso” (Eretz Nehederet).


Insomma, Netanyahu ha vinto, ma se questi sono i compagni di ventura per un nuovo esecutivo all’insegna del “bibismo kahanista”, vi è il rischio non solo di un’ulteriore estremizzazione ma anche di ricorso alla violenza se, come affermato da Yossi Klein Halevi[5] - intellettuale e religioso praticamente, un tempo anch’egli seguace di Kahane - “la visione di Ben-Gvir punta alla libanizzazione della società israeliana, alla fine della convivenza seppur tesa con gli arabi-israeliani, al collasso dell’autorità centrale e a uno scontro tra milizie rivali”[6].


Uno scenario distopico, che forse non si realizzerà, ma contro il quale Netanyahu dovrà impiegare tutte le sue capacità di stratega politico e il suo carisma di leader per i suoi numerosi, ma non sufficienti, sostenitori o tifosi, come ben si addice nell’era del fandom.


[1]https://www.ilsole24ore.com/art/ben-gvir-l-ultranazionalista-populista-divenuto-star-politica-israeliana-AEykzHDC [2]https://www.timesofisrael.com/israel-at-74-economy-shows-resilience-though-clouds-loom-large-on-the-horizon/ [3]https://www.timesofisrael.com/over-300-significant-terror-attacks-foiled-so-far-this-year-shin-bet-chief-says/ [4]https://israelpolicyforum.org/2021/03/18/dealing-with-terrorists/ [5]https://www.hartman.org.il/ben-gvir-nightmare-for-netanyahu-or-the-left/ [6]https://blogs.timesofisrael.com/the-war-on-israeli-modernity/

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