Droni, la nuova armageddon?
di Marco Bandioli*
I resoconti quotidiani dello scontro militare tra Ucraina e Russia sono oramai diventati la vetrina principale dell'uso dei droni, il cui sviluppo tecnologico e d'applicazione registra una sensibile accelerazione dall'inizio del conflitto, in corso da oltre diciotto mesi. Ma non soltanto. L'impiego di droni in una guerra convenzionale mostra una corsa alla ricerca di nuove tattiche, come non ha nascosto in una dichiarazione ufficiale la portavoce delle Forze di difesa del Sud ucraine, Nataliya Petrivna Gumenyuk, in relazione al recenti attacco russo su Odessa con mezzi combinati, droni, missili e missili supersonici, su Kharkiv e Sumy: “Mosca apparentemente sta cercando di testare la densità della difesa aerea”.
Ragionamento che calza come un guanto al rovescio se si guarda alla situazione in cui è precipitata Mosca, che ieri ha subito un altro attacco aereo, sesta notte consecutiva per la regione della capitale russa. Tattiche offensive di Kiev che cominciano ad incidere sulla condizione psicologica della popolazione civile russa, ora più consapevole di vivere in uno stato di guerra e non mera spettatrice dell'operazione speciale voluta da Putin, ma non per questo meno desiderosa di una conclusione che non sia vittoriosa per il proprio Paese, alla stessa stregua di ciò che reclama il presidente ucraino Zelensky. Il che porta all'evidente azzeramento delle possibilità di pace che non siano affidate al campo di battaglia. Ma, con una variabile nuova: i droni, strumento d'offesa che a costo ridotto può provocare immani distruzioni, e dalle molteplici applicazioni tattiche, come si legge in questa sintesi (la versione integrale su https://www.difesaonline.it/eideza/approfondimenti/droni-sviluppi-operativi ).
Alcune dottrine e modalità di scontro bellico, tipiche di un lontano passato in cui i soldati diventavano vera e propria “carne da cannone”, sono state fortunatamente superate ed abbandonate soprattutto in ragione delle esorbitanti perdite di vite umane. In particolare, per quanto riguarda l’impiego di mezzi (subacquei, di superficie, terrestri od aerei) si è sviluppato ed incrementato significativamente nei recenti conflitti l’impiego di quei particolari mezzi, comunemente chiamati “Droni”, che consentono lo svolgimento di un certo numero di
missioni ad alto rischio senza impiegare uomini a bordo dei mezzi stessi.
Il settore militare che si occupa della dottrina, delle tattiche e delle forme di combattimento dei droni è definito “Drone Warfare” - per inciso la parola, sempre tradotta con guerra, in realtà rappresenta una forma di combattimento specifica, come avremo modo di illustrare più avanti - ed è un settore in aggiornamento continuo a causa dei rapidi sviluppi della materia che ha la necessità di ampliare le proprie competenze sia operative che tattiche. Alla luce del continuo sviluppo tecnologico offerto dalla robotica, dalla meccatronica e dall’IA, è ipotizzabile che gli attuali limiti di impiego bellico dei droni, sia di cielo che di terra o di mare, vengano rapidamente superati. Come, rimane un grosso punto interrogativo.
Controllo a distanza e senza equipaggio
In termini generali, inizialmente i droni erano stati concepiti come piccoli velivoli e la prova risiede proprio nome “drone” che in lingua inglese ha tre significati:
1) “fuco” (che è il maschio dell’ape), intravedendo nel rumore prodotto dal drone una certa somiglianza con il ronzìo prodotto dal volo del fuco;
2) “rumore monotono di un motore”;
3) “ronzìo. Come noto, la principale e peculiare caratteristica dei droni è la capacità di poter essere pilotati o guidati tramite un controllo “da remoto” ovvero “a distanza” (che può essere di poche centinaia di metri o di migliaia di chilometri, a seconda dei vari modelli).
La mancanza di una presenza umana a bordo (che li possa guidare o pilotare) è andata pertanto a definire i droni come mezzi “Unmanned” (per l’appunto “senza uomo”), o anche “Uncrewed” (“senza equipaggio”). In termini dottrinali e tecnici i droni vengono definiti “Vehicles”, se operano in aria o sul terreno, o “Vessels/Vehicles” se operano sopra o sotto la superficie del mare.
Per quanto riguarda invece il controllo, i droni hanno sostanzialmente due tipologie di possibile controllo a distanza:
- con controllo umano, quindi radiocomandati/teleguidati/filoguidati, con una visione diretta dalla telecamera montata sul mezzo (remotely operated/controlled)
- senza controllo umano, vale a dire “in modo autonomo” (autonomous), ovvero con una mobilità o programmata o con un movimento generato attraverso i dati provenienti unicamente dai propri sensori di bordo. Sono comunque già in essere applicazioni avanzate di Robotica, supportata da Intelligenza Artificiale, che ne vanno ad ampliare notevolmente le possibilità operative e tattiche.
Classificazioni e impieghi
Sempre dal punto di vista dottrinale, i droni vengono classificati con degli acronimi che servono ad individuare immediatamente l’elemento fisico (cielo, terra e mare) in cui sono destinati ad operare, fornendo altresì una “classificazione per impiego” utile agli specialisti (sia tecnici che tattici) per stabilire da subito le conseguenti differenziazioni tecniche ed operative:
1. aerei
UAV: Unmanned Aerial Vehicle (telecomandato o autonomo);
2. terrestri
UGV: Unmanned Ground Vehicle (telecomandato o autonomo).
3. navali/marini
UV: Unmanned Vessel (telecomandato o autonomo). Tale acronimo è sostanzialmente caduto in disuso a favore delle sue due importanti sottocategorie di impiego, ovvero “sopra” o “sotto” la superficie del mare;
4. navali sopra la superficie del mare, ovvero “di superficie”
USV: Unmanned Surface Vehicle/Vessel (radiocomandato/teleguidato);
SUV/ASU: Surface Unmanned Vehicle (Vessel)/Autonomous Surface Vehicle (Vessel) (autonomo).
5. navali sotto la superficie del mare, ovvero “subacquei”
AUV/UUV: Autonomous Underwater Vehicle/Unmanned Underwater Vehicle/Vessel (autonomo, non filoguidato);
ROV/ROUV: Remotely Operated (Underwater) Vehicle/Vessel (filoguidato).
Nell’ambito di quelli che ora vengono definiti “UAV tattici”, in ragione dell’ampia gamma di droni ora in produzione, la “A” di UAV può essere intesa, a seconda del modello, non solo come “Aerial” ma anche come “Aircraft”, ovvero come un vero e proprio velivolo. Si può infatti passare da un velivolo del peso di circa 40.000 libbre (circa 18 tonnellate), come per esempio un HALE UAV (High Altitude Long Endurance Unmanned Aircraft Vehicle) sino ad arrivare ad un MAV (Micro Aerial Vehicle) se non addirittura ad un NAV (Nano Aerial Vehicle), ovvero un piccolissimo mini-drone, del peso di 7/8 grammi, che ha le fattezze di un insetto (chiamato anche “ornitottero”) e che vola sbattendo le ali sintetiche. Per inciso, quei droni di significative dimensioni, specificatamente progettati per impieghi di combattimento (quindi con grandi capacità di carico bellico e di autonomia operativa), vengono classificati come UCAV (Unmanned Combat Aircraft Vehicle).
Strumento versatile e flessibile
I droni si sono rivelati uno strumento operativo molto versatile e di impiego flessibile, talvolta anche riconfigurabile grazie alla fantasia ed all’inventiva di chi li impiega. E’ anche aumentato il loro livello di sofisticazione tecnologica. Modelli professionali di dimensioni e costi contenuti, nonché facilmente recuperabili sul mercato, i cosiddetti “COTS drone” (“Commercial Off-The-Shelf drone”), sono “pronti all’uso” e sono facilmente “militarizzabili” con componenti elettroniche e meccaniche comunemente reperibili in commercio. Il basso costo di tali droni di dimensioni medio-piccole (generalmente “quadricotteri” con 4 rotori e 4 motori) ha consentito ad alcuni Paesi di produrli su vastissima scala rendendoli dei formidabili vettori in grado di saturare, in assetto offensivo, i sistemi nemici di difesa aerea convenzionale o di concorrere, in assetto difensivo, alla creazione della cosiddetta “Bolla Anti-Accesso” (A2/AD: Anti Access/Area Denial). Basti pensare alla formidabile manifestazione con 2000 droni (quadricotteri dotati di luci a led) che continuavano a formare bellissime immagini colorate, in continuo e rapido cambiamento, nel cielo notturno di Shanghai in occasione del Capodanno cinese del 2020.
Si tratta dell’impiego “civile” di una nota tecnica militare di comando e controllo di droni aerei che viene chiamata “swarm attack” (attacco a sciame), ovvero una forma avanza del “group attack” (attacco di gruppo). In che cosa consiste la “differenza operativa”? Con “l’attacco di gruppo” i 2000 droni vengono controllati singolarmente, e quindi occorrono 2000 operatori, mentre con un “attacco a sciame”, usando nuova tecnologìa, il comando e controllo va solo al drone “capo sciame” in quanto tutti quelli appartenenti ad uno stesso sciame sono automaticamente controllati dal drone “capo sciame”, riducendo così in modo sensibile il numero necessario di operatori.
La componente di Intelligenza Artificiale
Tali droni sono dotati anche di una componente di Intelligenza Artificiale (IA) che consente loro di poter eseguire complesse e velocissime manovre tattiche di combattimento aereo risultando anche una inaspettata e formidabile misura “anti-drone” quando impiegati nella modalità chiamata “drone on drone combat” (o “drone dogfighting”), ingaggiando un vero e proprio combattimento aereo “drone-contro-drone”, cercando lo scontro e l’impatto con il drone nemico (a prescindere dalla mancanza di armamento o comunque con un armamento minimo come ad esempio una semplice una bomba a mano collocata sotto il corpo centrale).
Un ulteriore sviluppo tecnico-tattico, come si è notato nell’attuale conflitto Russo-Ucraino, si è avuto nel settore dei droni marini di superficie, i citati USV, utilizzando un’idea che già la nostra Regia Marina aveva sviluppato durante la 2^ Guerra Mondiale con la realizzazione di ben 5 tipologie di motoscafi d’assalto chiamati “barchini esplosivi”, (armati o con 300 kg. di esplosivo o con dei siluri e bombe) che però erano guidati da un pilota che, a circa 500 metri dall’impatto contro la nave nemica, veniva sbalzato in acqua. Gli ucraini hanno infatti realizzato due droni marini per l’attacco di superficie (il “Sea Baby” ed il “MAGURA” / Maritime Autonomous Guard Unmanned Robotic Apparatus) che, per dare una idea di massima, assomigliano esteticamente ad una canoa da mare, hanno (a seconda dei modelli) una lunghezza che varia dai 5 ai 10 metri, possono pesare sino ad una tonnellata e possono trasportare dai 300 agli 800 kg. di esplosivo, possono raggiungere una velocità massima di oltre 40 nodi ed hanno una autonomia superiore alle 400 miglia nautiche.
E’ stato addirittura realizzato per la U.S. Navy un enorme drone di superficie (il “Sea Hunter”), una vera e propria nave con capacità antisommergibile, lungo 40 metri e con un peso di oltre 130 tonnellate, con una velocità massima di oltre 25 nodi e con una autonomia di oltre 9800 miglia nautiche, potendo permanere in mare senza rifornimenti sino ad un massimo di ben 3 mesi. Gli USV hanno avuto un notevole sviluppo anche nel settore della ricognizione a beneficio di forze speciali e di reparti anfibi con la realizzazione di una sfera per la ricognizione anfibia del fondo marino, della superficie del mare e delle spiagge (il suo acronimo parrebbe essere per il momento ASRR - Amphibious Spherical Reconnaissance Robot) e un drone di ricognizione di superficie per operatori di forze speciali e truppe anfibie, spalleggiabile, del peso di circa 10 kg, lungo circa 90 cm., con una velocità massima di circa 25 nodi, con una autonomia superiore alle 230 miglia nautiche, a propulsione ibrida per poter usufruire anche una silenziosissima propulsione elettrica (è già stato individuato l’acronimo ADARO/MUSCL, di cui però non si conosce ancora il significato).
La versione millenium dei "kamikaze"
Nell’ampia panoramica in continua espansione, compaiono anche i cosiddetti “droni suicidi” o “droni Kamikaze”: dal punto di vista dottrinale è stato considerato un termine improprio in quanto inizialmente (ma proprio inizialmente!) i droni non contemplavano alcun tipo di armamento. In ogni caso, il termine corretto dei droni suicidi è “Loitering Munitions” (LM), ovvero “munizioni circuitanti” o anche “munizioni vaganti”. In realtà si tratta di una vera e propria munizione che sembra però una via di mezzo tra un drone ad ala fissa e un missile o un razzo. La “munizione”, una volta lanciata, va a sorvolare da una certa altitudine per ridurre la possibilità di individuazione, l’area assegnata attendendo in volo (ecco il “loitering”) di poter localizzare e identificare il bersaglio, o attraverso l’operatore “in remoto” o attraverso i propri sensori di bordo (con protocollo di IA), per poi procedere all’ingaggio ed alla distruzione del bersaglio stesso.
Qualora la missione venga annullata o non si individui il bersaglio, la munizione può rientrare alla base o essere comunque recuperata. Viceversa, per fronteggiare e contrastare l’impiego di droni da parte del nemico, si sono consolidate delle procedure tecnico-tattiche di contrasto che vengono attuate ricorrendo sia a forme di contrasto fisico (tramite l’imbrigliamento meccanico con delle idonee reti o procedendo direttamente al suo abbattimento con armi da fuoco) e sia di contrasto elettronico (impiegando armi elettroniche capaci di bloccare o di mandare elettronicamente in confusione i suoi segnali di guida). Nel merito la “Guerra Elettronica” (Electronic Warfare) è in grado di fornire un ampio bagaglio di apparecchiature diversificate per il disturbo radio, radar e satellitare (jamming), l’inganno elettronico (deception), di interferenza (spoofing), nonché di apparecchiature laser, particolari “fucili elettronici” nonché specifiche cortine di contromisure elettroniche.
* Contrammiraglio Marina Militare Italiana (r)
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