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Che cosa non ha funzionato nel sistema difensivo di Israele

Aggiornamento: 22 nov 2023

di Michele Corrado*

Il capo del Servizio Segreto Interno Shabak (Shin Bet), Ronen Bar, classe 1966 (nella foto) ha ammesso oggi, 16 ottobre, mostrando un grande senso di responsabilità verso il suo Paese, le sue colpe per il naufragio dell'intelligence che ha favorito sabato 7 ottobre, l'attacco di Hamas: "Non siamo riusciti ad avvisare e sventare l'attacco, la responsabilità è mia". Lapalissiano, certo, ma fino a certo punto, se si considera la credibilità di cui gode l'apparato di sicurezza di Tel Aviv. Comprensibile, dunque, lo stupore che ha accompagnato la falla nei servizi di informazione che ha determinato il clamoroso successo dell’azione dei miliziani di Hamas.

Stanno ora emergendo nuovi particolari sulla preparazione di questa azione che confermano e mettono in ulteriore cattiva luce i responsabili dell’Intelligence israeliana, come il periodo di preparazione che, secondo quanto dichiarato dai responsabili organizzatori di Hamas, sarebbe stato di due anni. Un tempo lunghissimo, durante il quale tutte le strutture informative dello Stato di Israele sarebbero state in una condizione di “sonno” perpetuo.

Le dichiarazioni delle strutture terroristiche vanno sempre interpretate con estremo dubbio, ma è certo che gli apparati israeliani che gestiscono la “permeabilità” della Striscia di Gaza sono sembrati essere, come a dire, quel giorno “spente”.

Al fine di proteggere il territorio di Israele da indesiderate penetrazioni palestinesi è possibile che il loro dispositivo si basi su tre componenti: un uso intensivo dell’intelligence per sapere sempre per tempo l’intenzione e lo stato di preparazione di una qualsiasi “minaccia”; una struttura di confine fisica di protezione; unità militari prontamente disponibili per tamponare qualsiasi possibile azione ostile attraverso di essa. Queste tre componenti sono interconnesse, ma possono e devono poter agire anche in autonomia all’occorrenza, ed è questa la loro principale caratteristica. Nel senso che, ad esempio, se le strutture informative segnalano, secondo i loro apprezzamenti che in certo giorno, in un certo punto della linea di confine, potrà avvenire un “atto ostile”, chi è responsabile di quel settore viene avvisato e supportato adeguatamente con gli assetti del caso necessari per reprimere/prevenire la minaccia in divenire.

Ciò non toglie che, anche nel caso di mancato preavviso, le strutture difensive debbano poter “contenere” l’atto ostile con tempestività e stroncare con immediatezza qualunque possibile effetto. Considerata la mancanza di profondità del sistema difensivo israeliano sulla Striscia di Gaza (e non solo; le minime dimensioni dello Stato israeliano impongono procedure specifiche che non si ritrovano in altri scenari), dove insediamenti residenziali civili si trovano a solo qualche chilometro dalla linea di confine, è il tempo di reazione delle unità militari israeliane che deve “risolvere” il tipo di minaccia che si concretizza anche ed in particolare in assenza di preavvisi di intelligence.

Ora, tutti gli osservatori hanno rilevato quanto completa sia stata la falla informativa degli apparati preposti, ma nessuno ha ricordato che l’Intelligence non è una scienza esatta e che dall’effetto sorpresa bisogna premunirsi anche con strutture fisiche ed umane totalmente indipendenti dall’apparato informativo. In altri termini, non è possibile che i miliziani di Hamas abbiano potuto assaltare e superare gli sbarramenti difensivi israeliani della linea di confine in pieno giorno, senza che vi fosse alcuna reazione diretta di punto. Senza cioè l'intervento di unità militari dell’ordine della Compagnia (circa 120 componenti) in riserva, con capacità di impiego immediate evidentemente non dislocate in punti opportuni lungo quel tratto di confine; che assetti aeromobili (elicotteri d’attacco) non fossero pronti a decollare entro trenta minuti per recidere penetrazioni o supportare le unità di terra intervenute.

Questo è il minimo se si vuole risiedere e vivere in prossimità di una linea di confine con un’area a rischio come la Striscia di Gaza. Sembra invece che gli israeliani pensassero di essere a cento chilometri dal confine e che i tempi di preavviso di una possibile azione nemica fossero di giorni e non di qualche decina di minuti, come invece è avvenuto. La sicurezza fisica è funzione della distanza; se scelgo di ridurre la distanza debbo implementare esponenzialmente i dispositivi fisici di protezione, non i servizi di informazione che svolgono una funzione chiave nell’ambito di sistema difensivo di sicurezza ma non sono determinanti ai fini della protezione.

Di un nemico, se si vuole vivere tranquilli, bisogna costantemente conoscere la sua dislocazione, l’entità delle sue forze, la tipologia delle sue forze e l’atteggiamento che ha in quel momento. Gli israeliani, delle milizie di Hamas conoscevano in parte la loro dislocazione, non il loro numero specifico, non la loro tipologia e soprattutto ignoravano cosa stavano per fare.

Con un simile quadro informativo si poteva soltanto arrivare alla catastrofe, come infatti è avvenuto, perché anche gli altri elementi del sistema di protezione (le strutture fisse sul confine, la vigilanza fisica delle stesse, gli assetti di pronto impiego che debbono intervenire in caso di attacco), sembra che non fossero stati predisposti, e se lo erano, pare stessero semplicemente “in pausa”.

Attivare e mantenere simili apparati è assolutamente oneroso; lo Stato di Israele non ha profondità fisica ed ha deciso di affidarsi ad altri “dispositivi” per gestire la sua situazione sul territorio: apparati di intelligence diffusi e certezza della rappresaglia. Elementi che in nessun caso, comunque, possono scoraggiare nemici determinati e convinti della propria causa.


* Col. in Ausiliaria Esercito Italiano


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