Assalto a Gaza. Tra Israele e Hamas ritorno all'età primitiva
- Maurizio Jacopo Lami
- 12 ott 2023
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 29 ott 2023
di Maurizio Jacopo Lami

Siamo alle ultime ore prima dell'attacco israeliano contro Gaza e al countdown di un disastro umanitario. "La priorità ora è eliminare i dirigenti militari di Hamas", così ha dichiarato Daniel Hagar, portavoce esercito israeliano. I bombardamenti, "di violenza mai vista", secondo la precisazione dell'aviazione militare israeliana, con aerei e droni hanno colpito e continuano a distruggere gli obiettivi specie nella zona nord e sud della Striscia di Gaza, perché si presume che l'attacco verrà condotto su queste due direzioni per evitare che la resistenza di Hamas possa concentrarsi su un solo punto.
Ai confini di Israele, la situazione è esplosiva. A nord, dopo un tentativo di militanti verosimilmente vicini a Hezbollah che hanno cercato di oltrepassare il muro che divide Libano e Israele, quest'ultimo ha dichiarato lo "stato di guerra" avvertendo che eliminerà chiunque si avvicini al confine. Analoga la situazione alla barriera della Giordania, dove si registra una marcia di palestinesi che l'esercito giordano ha contrastato con il lancio di lacrimogeni (guarda i video).
L'enormità delle perdite subite dagli israeliani, almeno 1500 vittime, per una grave corresponsabilità dei servizi segreti, ha fatto perdere i freni inibitori alle forze militari israeliane che proclamano la necessità di colpire "senza guanti, senza regole, senza i limiti che ci siamo posti finora". Una radicalizzazione dello scontro su cui agisce l'emotività diffusa per le crudeltà che non hanno bisogno di aggettivazioni, di Hamas. Su queste basi, l'idea di un attacco violentissimo da terra si è già inverato acriticamente nella testa dell'opinione pubblica.
Netanyahu ha parato la sua conclamata incapacità di governare con la democrazia Israele, ha formato un governo di unità nazionale per condividere con il suo abituale cinismo (in prospettiva futura) la responsabilità di un'azione bellica che costerà tantissime vite umane, sia israeliane che palestinesi, per distruggere strutture militari, che verranno però poi ricostituite da qualche altra parte, perché se non si estirpa l'odio, tutto ricomincia puntualmente da dove si è lasciato.
Ma a Netanyahu, che si è ripreso la scena, dopo essersi eclissato il giorno del disastro, sabato 7 ottobre, e che proclama ripetutamente "Gaza non sarà mai più la stessa", "Hamas non si riprenderà mai dal colpo che gli infliggeremo", tutto ciò non interessa. Il premier procede diritto per la sua strada affinché Israele si "bruci i ponti dietro le spalle". Una strategia che sta già costringendo il mondo a dividersi, o da una parte o dall'altra, o bianco o nero, abbandonando l'uso della ragione e il ricorso alla diplomazia. Trecentomila soldati con la stella di Davide sono piazzati sul confine della Striscia di Gaza. Una comunità sotto assedio: privata di energia elettrica, acqua, cibo, della possibilità di fruire delle condizioni igieniche basilari, destinata alla consunzione.
Sta per scoccare l'ora dei carri armati israeliani, i famosi Merkava, protetti dall'alto dagli elicotteri della IAF, l'aviazione militare israeliana. Come il comandante Gedeone dell'Antico Testamento che si inoltra nel campo avversario dei Madianiti, l'IDF si appresta a entrare nel cuore di Gaza City. Poi comincerà la macelleria per "finire Hamas" in un tempo che i comandanti israeliani stimano di alcuni mesi, necessari per piegare l'esercito contrapposto di ottantamila uomini (60.000 di Hamas e 20.000 della Jihad). Non sarà un videogioco, né puntate della serie Fauda o similari che descrivono gli eroi dei corpi speciali israeliani, ridiventate famose in questi giorni. Saranno, invece, mesi di sofferenze, patimenti, distruzioni e lutti, mentre il destino della popolazione civile palestinese sarà sopraffatto dall'eco di bombardamenti e scontri a fuoco.

Senza contare l'enorme incognita, che pende sulla bilancia a sfavore di Israele e costringerà Tel Aviv ad aprire un altro fronte, di un attacco da Nord, dal Libano, degli Hezbollah sciiti alleati in questo caso dei sunniti di Hamas. In questo ore, il Il Ministro degli Esteri iraniano Hussein Amir Abdollahian dopo il suo arrivo a Beirut e l'incontro (nella foto in alto) con il segretario Generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è stato esplicito: "C'è la possibilità" di aprire più fronti contro Israele
L'esercito israeliano sta per affrontare la più difficile battaglia per la sopravvivenza dello Stato di Israele. E il popolo palestinese si ritrova costretto a difendere la sua esistenza per procura. Lo scontro è asimmetrico. Ma lo è da sempre, sotto gli occhi dell'Occidente libero e democratico.













































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