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Un nuovo rinascimento europeo? Perché il "no" a Macron

Aggiornamento: 27 dic 2022

di Davide Rigallo*

C’è il nazionalismo “sovranista” di chi si oppone al progetto politico dell’Ue in nome di supposte identità particolari e dell’intangibilità delle (proprie) frontiere. E c’è il nazionalismo “continentale” di chi quel progetto lo vuole alterare per rispondere, in qualche modo, alla sua crisi, facendone un corpo securitario, ben perimetrato e controllabile. Tertium non datur – almeno, non nel dibattito politico e culturale corrente, sempre più appiattito su un presente senza prospettiva, nonché dimentico degli originari principi federalisti dell’Ue.

All’inizio del suo appello Per un Rinascimento europeo, il Presidente francese Macron dichiara di rivolgersi direttamente ai cittadini d’Europa per scuotere le coscienze davanti al pericolo dei nazionalismi: “il ripiego nazionalista non propone nulla; è un rifiuto senza progetto. E questa insidia minaccia tutta l’Europa: coloro che sfruttano la collera, sostenuti dalle false informazioni, promettono tutto e il contrario di tutto”. In tutta la prima parte della lettera, le rivendicazioni sul successo storico del progetto europeo, sui vantaggi che esso ha arrecato alle popolazioni (in primis, il mantenimento della pace in Europa), si accompagnano con il giustificato allarme per il pericolo del suo dissolvimento. Tutte argomentazioni fondate, che fotografano una situazione grave di crisi, che meriterebbe una risposta credibile, capace di incidere sui bisogni reali delle persone (non solo dei cittadini), evitando di far confliggere i diritti di questa o quella categoria, riequilibrando le condizioni economiche di singoli e gruppi, rilanciando una crescita tangibile e diffusa, e guadagnandosi così il necessario consenso. Una risposta proattiva, di indirizzo concreto, prossima (e, in quanto tale, passibile di essere sentita) proprio a coloro cui il Presidente si rivolge.

Nella proposta di Macron non si trova niente di tutto ciò, ma si intravvede ciò che Luigi Einaudi indicava come “l’espressione negativa del bisogno di unità dell’Europa”. L’Unione europea è presentata innanzitutto come “potenza” del quadro geopolitico globale, la cui unità è condizione di funzionamento. Senza questa unità, le singole nazioni non risultano in grado di affrontare fenomeni che hanno cause e dinamiche globali. Anche un’unità imperfetta come quella attuale, ossia soggetta a continue negoziazioni, risulta lesiva delle capacità di risposta dell’Ue. Nel ragionamento di Macron, i nazionalismi particolari minacciano la Ue (intesa come “potenza”) soprattutto perché ne minano l’unità e non perché contraddicono apertamente la sua essenza politica: l’essere, cioè, uno spazio di libertà, giustizia, sicurezza che mette al centro della propria azione la persona (Carta dei diritti fondamentali dell’UE). Il “Rinascimento europeo” che formula Macron scorre infatti su binari lessicali e valori diversi: “resistendo alle tentazioni del ripiego e delle divisioni, vi propongo di costruire insieme questo Rinascimento su tre ambizioni: la libertà, la protezione e il progresso”. In tutto il testo, le parole “persona” e “diritti” risultano omesse (vi è solo una fugace citazione dei diritti sociali), come anche riferimenti espliciti alle Carte fondamentali dell’Ue. Ciò che interessa è il rafforzamento della confederazione, non la materialità dei suoi fondamenti costituzionali (che la Francia ha respinto nel corso della storia recente). Un rafforzamento che segue un verso identitario e securitario, segnato dal rafforzamento delle frontiere esterne.

“Nessuna comunità crea un senso di appartenenza se non ha limiti che protegge. La frontiera, significa la libertà in sicurezza. Dobbiamo pertanto rivedere lo spazio Schengen: tutti coloro che vogliono parteciparvi devono rispettare obblighi di responsabilità (rigoroso controllo delle frontiere) e di solidarietà (una stessa politica di asilo, con le stesse regole di accoglienza e di rifiuto). Una polizia comune delle frontiere e un ufficio europeo dell’asilo, obblighi stringenti di controllo, una solidarietà europea a cui ogni paese contribuisce, sotto l’autorità di un Consiglio europeo di sicurezza interna: credo, di fronte alle migrazioni, in un’Europa che protegge al contempo i suoi valori e le sue frontiere”. La proposta di riformare il Sistema Schengen è sicuramente il passaggio più preoccupante dell’appello, e non solo perché proviene dal Presidente di uno stato che ne ha sospeso, in maniera quasi continuativa, l’applicazione fin dal novembre 2015 (con la tacita tolleranza della Commissione). Nel testo, si postula un ulteriore incremento dei controlli, si ragiona in termini di protezione (evocando la penetrazione esterna come minaccia), si sottolinea il carattere rigoroso e stringente degli obblighi, in oltraggio ai principi del pensiero federalista originario, nato e sviluppatosi proprio sulla convinzione del superamento delle frontiere. La solidarietà è posposta alla sicurezza, mentre la frontiera è assunta a “garanzia” di quest’ultima. Sullo sfondo, migranti e richiedenti asilo sono i veri soggetti di questo passaggio, che nella logica della frontiera proposta rischiano di diventare, in maniera assoluta, extraeuropei (fuori, cioè, da un destino comune nell’UE).

Anche l’idea di creare un’Agenzia europea di protezione delle democrazie contro i cyber-attacchi e, soprattutto, la proposta di una Conferenza per l’Europa allo scopo di riformare l’Ue muovono da un’esigenza di protezione che mal si concilia con i principi dei fondatori dell’Ue. Se di insicurezza si volesse trattare in termini concreti, sarebbe assai più utile riconoscerne le radici nella precarietà dell’occupazione, nell’aumento crescente dei disservizi, nelle conflittualità sociali che ne discendono, anziché farne un fenomeno di frontiere e di hacker. Misurandosi su questi temi sarebbe, infatti, possibile contrastare l’insorgenza dei nazionalismi particolari che, con ricette di facile presa, calamitano moltissima rabbia sociale.

È forte il sospetto che il Rinascimento proposto da Macron sottintenda un obiettivo distante dai presupposti politici del federalismo: la creazione, cioè, di una nazione europea, protetta da frontiere quasi impermeabili e sostanzialmente avvitata su se stessa. Un nazionalismo su scala continentale, capace, sì, di contrapporsi ai tanti nazionalismi sovranisti colpevoli di togliere forza alla potenza unitaria, ma al prezzo di ricalcarne, in forme diverse, i principi del rafforzamento identitario e dell’intangibilità delle frontiere. Questo pericolo richiede una seria presa di coscienza, alla quale deve seguire l’elaborazione di risposte alternative, capaci di coniugare veramente visione federalista, diritti fondamentali e bisogni effettivi di tutte le persone che risiedono nei 28 (!) paesi dell’Unione europea. Un compito sicuramente problematico e non facile, che però, a poco più di due mesi dalle elezioni europee, si presenta come indispensabile.

* Segretario regionale AICCRE Piemonte


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