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Un libro per voi: "Un eroe senza medaglie, Luigi Capriolo"

a cura di Stefano Garzaro

 

Nell'80° anniversario della Liberazione, proseguiamo con i libri dedicati alla Resistenza e, nel caso di biografia, ai suoi protagonisti.[1] Oggi, l'attenzione è dedicata a Luigi Capriolo, partigiano torinese di Borgo San Paolo, impiccato dai nazifascisti nell’agosto 1944.


Luigi Capriolo, un anno prima della morte, compilò un diario dettagliato fra la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 e il 16 ottobre. S’interruppe a quella data perché il giorno seguente venne arrestato. È un diario breve, ma talmente ricco da costituire una sintesi delle passioni e delle attese dell’intera Resistenza. La vicenda avventurosa del recupero del manoscritto, della sua successiva scomparsa, della prima pubblicazione passata quasi inosservata meriterebbe una cronaca a sé. Ora finalmente quel diario è ripubblicato nella giusta veste editoriale, preceduto da un avvincente saggio storico e biografico di Aldo Agosti e Marina Cassi. [2]

Mercoledì 8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, Capriolo scrive: «Sui tram si parlava della radio inglese che avrebbe comunicato i termini dell’armistizio, ma solo sempre voci e dei “si dice”. Finalmente mentre cenavo la Radio Italiana ha comunicato che Badoglio stava per fare importanti dichiarazioni; dopo di che la voce del maresciallo si fece sentire: è l’armistizio con l’ordine esplicito di opporsi con le armi a qualunque attacco. In questo comunicato vidi la pace e la guerra assieme: la fine della guerra fascista e l’inizio di una cruda guerra con l’hitlerismo. La notizia mi ha commosso profondamente. Ho visto profilarsi un cupo periodo di lotte tremende e micidiali. Non ho terminato la cena, ho inforcato la bicicletta e sono andato in giro».

In giro a far che? Non certo a zonzo, a curiosare fra i capannelli che dopo anni di censura discutono di politica in piazza, ma a scuotere i torinesi con comizi volanti, a rafforzare i contatti con chiunque abbia a cuore la salvezza del Paese.

Capriolo, nato a Cinzano nel 1902, vive a Torino e di mestiere fa il tornitore in legno, un artigiano che si è fatto da sé fino a diventare un piccolo imprenditore, e che accresce da autodidatta la sua formazione culturale. Il vero impegno oltre il lavoro è la lotta contro il fascismo, attività politica più o meno clandestina sviluppata nel Partito comunista, a cui Luigi appartiene da sempre. È una vita che toglie il sonno, insidiata soprattutto dalle spie, che per Capriolo saranno nefaste fino all’ultimo atto.

Luigi trascorre in carcere o al confino 12 dei 42 anni che gli sarà concesso di vivere, con le porte che si apriranno e chiuderanno quasi a scadenza regolare, tanto da trasformarlo in un esperto del sistema penale del regime. Il primo arresto avviene nel febbraio 1927, quando a Luigi viene scoperto un volantino di critica al governo: la condanna del Tribunale speciale per propaganda sovversiva è a sette anni. 

Quando è fuori, lavoro a parte, Capriolo è occupato nell’attività diplomatica per il partito, mettendo a frutto un’attitudine eccezionale a creare legami e tessere relazioni: è il negoziatore chiamato in causa ogni volta sia necessario cucire strappi fra i compagni, ma soprattutto con le altre componenti non comuniste dell’antifascismo, a iniziare da Giustizia e libertà. Se il destino gli avesse concesso altro tempo, sarebbe certamente riuscito a fraternizzare perfino con Enrico Martini “Mauri”, comandante particolarmente critico verso le brigate Garibaldi. Luigi non è dogmatico né settario, ha un carattere pacato, costruisce ponti. Ada Gobetti, che lo ospita spesso a casa, è colpita dal suo sorriso sereno e rassicurante.

Dopo la caduta del fascismo il 25 luglio, Luigi si lancia un’attività politica incontenibile – documentata dal diario – per formare nuclei di resistenza. Non solo: è fra primi a prendere contatti segreti con i dirigenti industriali torinesi a iniziare da Lancia e Fiat, con quei quadri che cioè hanno fiutato il cambiamento e che comprendono l’utilità di una sponda con chi potrebbe prendere in mano il destino del Paese. Luigi parte con una posta alta e chiede un’automobile per i collegamenti con le bande, ma l’importante è avviare un’intesa.

La sua è una vita precaria e complicata, che comporta la rinuncia di sé: l’unica relazione sincera con una ragazza si chiuderà con un disastro. Luigi infatti incontra in carcere un compagno milanese, Giuseppe Pizzuto, vecchia conoscenza nel partito che gli racconta della sua convivenza con una vedova. Questa ha una figlia, Livia Mentil, che Pizzuto vuol fargli conoscere. Una volta scarcerati, Luigi andrà una domenica a Milano a visitare l’ex compagno di cella, la vedova e la ragazza. Dall’incontro con Livia nasce una vicenda sentimentale che porta Luigi a pensare seriamente al matrimonio. Ciò che il giovane non sa è che Pizzuto fa il doppio gioco, e che dopo aver tradito il partito si è trasformato in una spia dell’Ovra, la polizia segreta fascista. Luigi non si rende conto che la ragazza è uno strumento per incastrarlo, per rubargli informazioni, e forse anche per convincerlo a passare al fascismo. La storia sarà destinata a sfilacciarsi nel tempo fino a sciogliersi, specie dopo l’ennesimo ingresso in carcere di Luigi.

Torniamo al diario e allo sfascio istituzionale dell’8 settembre 1943, con il dilagare degli occupanti tedeschi. L’11 ottobre Luigi scrive: «È necessario che mi prepari a una vita semi illegale. Ormai con le SS alle calcagna la vita non è più al sicuro. Non importa! Noi rivoluzionari siamo dei morituri in permanenza, e solo la vittoria ci potrà far sicuri del nostro domani».

È una profezia che si concretizza presto: Luigi è arrestato una settimana più tardi, il 17 ottobre, mentre in corso Ferrucci con una banda male assortita tenta di saccheggiare le scorte della Spa per procurare benzina ai partigiani. L’assalto è drammatico: l’appoggio interno non compie la propria parte, alcuni elementi della banda presi in prestito si rivelano maldestri, e quando si decide la ritirata compaiono i nazifascisti che catturano tutti. Anche in questo caso i delatori hanno un peso determinante.

La carcerazione comporta la tortura sistematica: chi è più debole cede, ma Luigi resiste. Non modifica mai la prima versione, ammettendo cioè di essere un volgare ladro di benzina, ma di non aver nulla a che spartire con la politica. La sua determinazione esige un prezzo molto alto, perché in poche settimane Capriolo è ridotto fisicamente a uno straccio. Alla fine però la sua costanza gli apre le porte del carcere, anche grazie alle contraddizioni burocratiche fra i diversi apparati della magistratura torinese, che Luigi sfrutta da vero esperto.

Appena liberato, Capriolo compila una relazione al partito. È un testo così analitico e distaccato – quasi narrasse di una persona estranea – da sembrare un manuale di comportamento in carcere e di resistenza alla tortura, un promemoria destinato a chi mai si trovasse in quelle condizioni. Luigi consiglia con forza di non abbandonarsi alla disperazione: negare l’evidenza delle prove, non staccarsi dalla versione stabilita, non cedere alla tentazione del suicidio. Nel testo non manca una frecciata all’ottusità degli aguzzini: «L’interrogatorio dovette essere ripreso in tre tempi, perché per tre volte le percosse successive mi avevano prodotto abbondanti emorragie di sangue e larghe ecchimosi sulla faccia e per il corpo. Devo dire che riuscii nel mio piano difensivo dalla estrema inabilità degli inquisitori che erano bestiali, ma assolutamente insufficienti a condurre l’interrogatorio con intelligenza».

Tornato in libertà, Luigi riprende la sua azione diplomatica e di commissario politico del partito non più a Torino, dove l’aria non fa più per lui, ma in Val di Lanzo. Qui, nel corso di un’azione, sperimenta il limite del proprio coinvolgimento emotivo: per mettere in salvo quattro compagni feriti a cui i nazifascisti danno la caccia, si finge malato e con loro si rifugia nell’ospedale di Lanzo, grazie anche alla pietà di alcune suore. Poco dopo è costretto ad assistere alla cattura dei compagni senza poter intervenire: unico ad averla scampata, seppure in modo fortuito, Luigi vive l’episodio come se lui stesso ne fosse il colpevole.

Ma la fine tragica, anche per lui, è dietro l’angolo.

Da Lanzo i compiti organizzativi di Capriolo si spostano nelle Langhe e nell’Astigiano. La guerriglia, non strutturata per definizione, comporta cambi di programma, improvvisazione. E così, per sostituire un compagno che all’ultimo deve ritirarsi, Luigi si ritrova a Barolo sulla corriera per Alba, con l’obiettivo di agganciare “Mauri”. La solita spia però avverte i tedeschi della presenza di un partigiano in viaggio. Luigi ha documenti falsi intestati a un certo Sulis, e con quel nome viene arrestato all’arrivo ad Alba. Saranno tre mesi di torture orrende, ma il prigioniero tiene, non rivela il suo vero nome né il ruolo di attore protagonista nella lotta partigiana.

I compagni tentano un’azione per liberarlo, ma va tutto storto. Non restano che le trattative per uno scambio di prigionieri, ma mentre queste sono in corso, un giorno d’agosto 1944 giunge la notizia che Sulis è stato impiccato a un balcone a Villafranca d’Asti, di fronte alla stazione. Il corpo viene lasciato penzolare a lungo come esempio.

Chi uccide Sulis non sa però di aver avuto fra le mani uno degli elementi più importanti della resistenza piemontese, e seppellisce il condannato in modo anonimo nel cimitero di Villafranca. Dopo la Liberazione, Luigi verrà identificato e riesumato grazie alle ricerche di Nicola Grosa, e accolto al Monumentale di Torino al Campo della gloria.

Per chiudere, una domanda: perché nessuna medaglia a un partigiano così autorevole come Luigi Capriolo? Aldo Agosti e Marina Cassi, autori del saggio scrupoloso che precede il diario, di fronte alla questione si limitano alle ipotesi. Subito dopo la Liberazione gli encomi vengono attribuiti in prima istanza ai partigiani combattenti. Capriolo è un politico, un negoziatore che non ha mai portato una pistola sotto la giacca. Il suo nome viene destinato perciò a una seconda fase, a tempi meno frenetici che tuttavia non verranno mai. Inoltre, alle spalle di Luigi non c’è un patrocinatore a sostenerne la causa, mentre si perdono le tracce dei rari parenti che avrebbero potuto mantenerne alta la memoria.

Luigi Capriolo, il tornitore di Borgo San Paolo, resta ancora oggi un eroe senza medaglia. Un rimedio parziale viene dalla toponomastica torinese, con l’intitolazione del tratto di via Caraglio che fronteggia l’istituto Santorre di Santarosa. La scuola, un tempo, era la sede del Gruppo rionale fascista Amos Maramotti, il fortino nero piazzato strategicamente al centro di quel borgo operaio così irriducibile.

 

Note


[2] Aldo Agosti, Marina Cassi, Un eroe senza medaglie. Luigi Capriolo dall’antifascismo alla Resistenza, Donzelli, 210 pagine, 26 euro.

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