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Un libro per voi: "Servizio pubblico" di Battista Gardoncini

a cura di Piera Egidi Bouchard


Non ho mai visto sorridere così, come nel risvolto di copertina, l’amico e collega di vecchia data Battista Gardoncini, spesse volte piuttosto burbero, invece. Cronista di nera e di giudiziaria nella redazione torinese de l'Unità, poi conduttore televisivo e radiofonico, è stato per vent’anni responsabile del telegiornale scientifico “Leonardo”, su Rai 3. Sorride così, penso, perché, ora che è in pensione, si è divertito a scrivere già due gialli ed ora sta lavorando a un terzo.

L'ultimo in ordine di tempo vede il protagonista, in cassa integrazione per la chiusura del giornale per cui lavorava, mentre nel frattempo si era acconciato a fare il correttore di bozze nella casa editrice della potente mamma, per una raccomandazione si trova assunto in RAI:  tutto un altro mondo: “Per chi lavorava nella carta stampata, i giornalisti RAI erano sfaticati incapaci di trovare le notizie che si limitavano a scopiazzare i quotidiani del mattino, oppure sfruttavano i lanci di agenzia e le segnalazioni degli informatori per confezionare i loro superficiali compitini.”[1]

Per niente contento della nuova collocazione, il protagonista si trova ad affrontare un impatto traumatico in una redazione che per motivi politici da “manuale Cencelli” gli è ostile, e viene affidato al giornale radio regionale. E qui deve imparare una nuova professionalità: “ Così non va – gli dice il caposervizio alle prime prove - Non sei più in un giornale. Gli spettatori non possono tornare indietro per rileggere il tuo testo. Sono distratti dai figli che piangono, dalla suocera, dal cane che abbaia. Se non ti capiscono, cambiano canale.”

Seguiamo passo passo l’acquisizione di questa nuova professionalità, e la depressione conseguente per servizi ininfluenti a cui il nostro cronista viene destinato, nelle sagre paesane: “Forse – pensai – avevo commesso un errore entrando in RAI, dove mi attendeva un futuro di noiosissime mostre e di finti combattimenti di galli. Ma mi sbagliavo.”

Avviene infatti un evento straordinario: il famoso crollo del “Palazzo degli Stemmi” a Torino, il 2 giugno del 1984 – fatto reale, così come reale fu la fortunosa ripresa televisiva del crollo - e di lì inizia una nuova carriera nel telegiornale, e anche la vicenda - immaginata – del ritrovamento di tre scheletri, un uomo, una donna e una bambina, nascosti  in una intercapedine da forse quarant’anni.

Alla notizia, avuta in anteprima dall’amico commissario di polizia Massi, con cui il protagonista aveva già collaborato nel caso della donna assassinata, “Il cronista che era in me si risvegliò. Dietro a quella recinzione c’era una grande notizia, e per il momento ce l ‘avevo solo io. Se fossi stato ancora al giornale, me la sarei tenuta ben stretta, e avrei scritto il mio articolo sperando di dare un buco alla concorrenza. Adesso però lavoravo per la RAI, una macchina complessa, dove senza un cameramen, un montatore e uno studio per la messa in onda non potevo fare nulla.”

Gli scheletri risultano di sconosciuti, e così, di illazione in illazione il nostro giornalista arriva a supporre fossero di ebrei fuggitivi lì nascosti. In una complessa vicenda, scava tra tutti i vecchi abitanti di quel palazzo, coinvolge la comunità ebraica e l’Istituto della Resistenza, dove incontra una giovane ricercatrice ebrea, Tiziana Tedeschi, identica al suo idolo Jeanne Moreau, “la donna più bella del mondo”, che diviene sua partner nel lavoro e nella vita, in una storia d’amore.

I due scoprono anche un filone di eccidi fascisti, che li porta ad altri due morti nelle valli di Lanzo, forse ad opera dei partigiani garibaldini che lì avevano creato un’ ”oasi di libertà” – una repubblica partigiana storicamente esistita nell’estate del ’44, ad opera del nonno Battista Gardoncini, poi catturato e fucilato “di cui porto con orgoglio il nome”-  e a un complicato intreccio che spazia in altre città, Alessandria, Ferrara, la Costa Azzurra all’inseguimento dei colpevoli, con omicidi e riciclaggio di refurtiva legata all’ “oro alla patria” di mussoliniana memoria.

Le storie che si sdipanano, tra persone che anche si erano conosciute, non sono una, ma due, alla fine. E tra agguati, picchiatori, inquirenti, fascisti, partigiani, ebrei e terroristi neri, nelle ultime pagine, come si deve ad ogni giallo che si rispetti, avranno la loro soluzione.

Il giornalista, infine, avrà la soddisfazione di realizzare uno “speciale “ di mezz’ora - però dopo la conferenza stampa convocata in municipio, che in realtà gli sottraeva la vicenda che aveva risolto lui (“Dopo tutto quello che ho fatto, mi piacerebbe anticipare di qualche giorno i colleghi”- protesta).

Ma c’è la passerella prevista dei “pezzi grossi” che devono riferire gli esiti delle indagini alla stampa riunita: fino ad allora, niente anticipazioni! “Non avrei avuto il mio scoop - si consola il nostro protagonista, accingendosi a confezionare il suo primo “speciale” – ma tutto sommato non m’importava. Nel servizio pubblico non era la cosa più importante.”


Note

[1] Battista Gardoncini, Servizio pubblico”, Edizioni del Capricorno, Torino, 2024



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