Un libro per voi. "L'isola dove volano le femmine"
a cura di Mariella Fassino
Volo e fantasia insieme con il fascino che da sempre esercita l'isola sull'umanità seducono fin dalle prime pagine il lettore de L’isola dove volano le femmine, il romanzo di Marta Lamalfa per i tipi Neri Pozza. Del resto, se volare è un’aspirazione coltivata l’uomo fin dagli albori della civiltà, conosciamo bene qual è stata la potente spinta onirica e di fantasia in cui si è sdoppiata o con l'uso di supporti tecnologici o di sostanze allucinogene..., per realizzarla. Quelle stesse pagine ci spingono poi a ricordare quei momenti in cui i voli virtuali si sono intrecciati con la storia della stregoneria e cosa alquanto singolare, con la diffusione attraverso le graminacee grano, segale, orzo, farro, avena, etc., di un fungo, la Claviceps purpurea, che parassitandone le spighe si garantisce la sopravvivenza e la diffusione.
Le graminacee sono piante che l’uomo, a partire dalla mezzaluna fertile circa 10mila anni fa, ha selezionato come compagne di civiltà generose, nutrienti, facili da coltivare, garantendo involontariamente anche la sopravvivenza di Claviceps purpurea, un fungo che sulle bionde spighe forma delle escrescenze nere, ben visibili, gli sclerozi o corpi fruttiferi che i francesi chiamano ergot (sperone). Da cui l'ergotismo, la più antica e diffusa intossicazione alimentare dell’uomo, perché il fungo non è distrutto dal calore. L'intossicazione prodotta dagli alcaloidi della segale cornuta aggredisce l’uomo sia a livello del sistema nervoso che del sistema circolatorio, fino a determinare gangrene molto dolorose causa di amputazione degli arti e alla morte.
Così a Marta Lamalfa spetta il merito di raccontare quella che potrebbe essere stata una delle ultime epidemie di ergotismo in Italia che colpì la popolazione di Alicudi, una delle isole Eolie, fra il 1903 e il 1905. Le allucinazioni sono il pretesto narrativo per raccontare una comunità chiusa, povera, circondata dalle potenti forze della natura nello sforzo di sopravvivenza, in un tenue afflato di riscatto dalla miseria, dalla superstizione, dal sopruso. Ma il libro soprattutto racconta la condizione femminile nel Sud povero, analfabeta e arretrato agli inizi del ‘900. Una famiglia, tre generazioni rappresentate con un linguaggio arcaico, dove la storia di Caterina, una giovane preadolescente e del suo doppio la sorella gemella Maria, morta prematuramente, è il filo conduttore che ci guida alla scoperta di una minuscola isola circondata da un mare che può essere benigno e carezzevole ma altrettanto potente, malvagio, infido, spietato.
L’isola, ”a guardarla dal mare mette addosso la paura”, ha luoghi disabitati, come il lato Ovest dove vivono solo spiriti e majare. La fame, la vita grama, l’intossicazione cronica causata dalle tizzonare (i pani neri impastati nella farina guasta), i rapporti famigliari aspri e dolorosi, l’assenza struggente della sorella-gemella plasmeranno l’esistenza di questa giovane. Caterina troverà nella curiosità verso le majare e nei voli allucinati una via di fuga dalla condizione femminile, che è fatta di sottomissione all’autorità familiare, lavoro nei campi, cure parentali in una prospettiva, a cui non si vorrebbe piegare, quella di moglie, madre e donna, quindi ultima tra gli ultimi. La curiosità, nello slancio vitale della sua adolescenza, sarà il motore per un tentativo di riscatto che potrebbe portarla a prendere il volo, al di la dei limiti dell’isola. Voglia di conoscere i mondi oltre il mare che imprigiona, voglia di decifrare il significato dei segni vergati sui fogli che rappresentano le parole che lei non sa dire, voglia di conoscere il proprio corpo che con l’adolescenza e senza il rispecchiamento della sorella-gemella diventa sempre più misterioso, temuto e irraggiungibile, voglia di conoscere se le streghe, le terribili majare, attraverso i voli, planando sul mare e le aspre rocce dell’isola sapranno condurla versa la libertà.
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