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Mercedes Bresso e Claude Raffestin

Un’epoca che voleva “correggere il mondo”

Aggiornamento: 5 apr 2023

Mercedes Bresso in dialogo con Claude Raffestin


MERCEDES: “Il canale di Panama è certamente una delle grandi opere di ingegneria concepite nel diciannovesimo secolo: è stato direi il secolo degli “ingegneri”, che sembravano in un certo senso voler correggere il mondo: il canale di Suez, i grandi trafori alpini (il Frejus, il Gottardo, il Sempione), le reti ferroviarie, alcune immense e mitiche come la transiberiana, l’Orient Express, i treni che aprivano l’Ovest Americano e appunto Panama, concepito e iniziato nel 1880, anche se realizzato più tardi (fu inaugurato nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, che è stata il vero inizio del “secolo breve”, secondo l’espressione di Hobsbawn). Grandi progetti che erano i capolavori prometeici della nuova classe industriale e tecnica. Non a caso si chiamavano opere d’arte”. CLAUDE: “Queste realizzazioni sono state le proiezioni nel futuro del nostro modello di sviluppo economico ma rappresentano anche la volontà di mettere il più possibile in relazione i popoli e le merci. Le reti ferroviarie e le nuove grandi rotte marittime per le potenti navi a vapore hanno segnato la prima vera globalizzazione. E le merci, allora, viaggiavano per mare e per treno grazie al carbone. È stato l’inizio dell’uso dei combustibili fossili, che hanno aumentato enormemente le disponibilità di energia e, meno di due secoli dopo, stanno creando il dramma del cambiamento climatico!.” MERCEDES: “In un certo senso le grandi opere attuali ne sono la continuazione: per mare assistiamo proprio qui, nel canale di Panama alle nuove chiuse, opera enorme che permette il passaggio di navi sempre più grandi. E per terra i nuovi tunnel ferroviari e autostradali di base che evitano di trasportare le merci e persone troppo in alto e fanno risparmiare l’energia, che è sempre stata determinante per permettere lo sviluppo ma sta anche, come dicevi prima, diventando il nostro più grave problema.” CLAUDE: “Questo mondo globale e fortemente basato sulla tecnica sta probabilmente giungendo alla fine: attraversando questo fantastico complesso di opere, le chiuse, dal mare dei Caraibi al lago Gatun, il percorso all’interno di questo meraviglioso bacino artificiale e poi ancora le chiuse di Pedro Miguel e di Miraflores, vantiamo al tempo stesso l’orgoglio per questa straordinaria opera dell’uomo e l’imbarazzo per le migliaia di morti e per i costi ambientali di questi interventi. E torna sempre spontanea la domanda di fino a dove sia lecito andare nella trasformazione del nostro mondo, che non è solo nostro…” MERCEDES: “Indietro comunque non si può tornare. Qui per esempio è stato attuato un enorme intervento di riforestazione, dopo l’ultimo allargamento del canale e il nuovo sistema di chiuse. E si viaggia circondati da un meraviglioso paradiso tropicale. Non basta certo, ma non dimentichiamo che prima di Panama le navi dovevano circumnavigare tutta l’America latina. La quantità di carburante risparmiato è immensa. È la stessa cosa che per la Valle di Susa: il nuovo traforo permetterà di trasportare le merci e le persone con un molto ridotto costo di elettricità. Resta il problema più generale della globalizzazione, fino a dove ha senso spingerci? Non stiamo eliminando non solo la biodiversità naturale ma anche quella umana? Lo Skyline della città moderna di Panama, come d’altronde di tante altre città del mondo, sembra quello di New York!” CLAUDE: “Ci saranno certo altre grandi opere ma credo che il gigantismo pure ancora ammirato , come abbiamo visto qui al canale per il suo lato spettacolare, diventerà meno frequente. Molto spesso ne sono state sottovalutate le conseguenze, pensiamo alla diga di Assuan in Egitto, per non citare che un esempio. Esse sono un po’ il paradigma del nostro sapere scientifico che ha risolto fantastici problemi tecnici ma che ha troppo spesso trascurato un altro tipo di sapere, quello regolatore, capace di indagare e prevedere le conseguenze delle nostre azioni e naturalmente di evitarne i danni. Come dico spesso, dobbiamo passare da una conoscenza funzionale a una regolatrice.” La ricerca nel futuro dovrebbe dare alla protezione della natura almeno la stessa importanza che al suo uso, ma su questo tema dovremo tornare. La nostra grande nave ha intanto superato l’ultima chiusa e si inoltra nell’Oceano Pacifico. Ci avviciniamo alle Barbados e a Bridgetown, che contribuiscono a delimitare ciò che potremmo chiamare “il Mediterraneo dei Caraibi”, o delle Antille. Usiamo questo termine perché lo spazio di mare compreso fra le Americhe e l’insieme delle isole caraibiche ci ricorda in qualche modo il mare nostrum , da diversi punti di vista. È anche al giorno d’oggi, dal punto di vista turistico, perfettamente comparabile al nostro vecchio mediterraneo. E come per lui, non solo gli americani ma il mondo intero invadono queste isole e spesso le sognano come il luogo dove andare a vivere il periodo della loro pensione. Persino il canale di Panama, ci ricorda quello di Suez. In entrambi i casi la loro realizzazione ha cambiato la storia dei viaggi e dei commerci mondiali.



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