Tagli agli investimenti, aumento della pressione fiscale: il segreto per ridurre il debito pubblico
- Anna Paschero
- 3 ott
- Tempo di lettura: 4 min
In Italia il sacrificio rimane sempre sulle spalle dei lavoratori dipendenti
di Anna Paschero

Con il nuovo bollettino del 22 settembre 2025 l’ISTAT ha presentato l’aggiornamento dei dati dei conti nazionali - relativi alle annualità 2023 e 2024 - e la loro revisione sulla base delle informazioni acquisite successivamente alle stime pubblicate nel mese di marzo, secondo il consueto ciclo semestrale.
Tra i dati, due di essi risultano particolarmente significativi in quanto strettamente correlati: il primo riguarda la variazione dell’indebitamento netto della pubblica amministrazione (o deficit, ovvero la differenza tra le entrate e le spese dello Stato) in rapporto al PIL – (prodotto interno lordo - ovvero la ricchezza prodotta in beni e servizi annualmente) nel biennio 2023 – 2024.
Il secondo dato riguarda la variazione della pressione fiscale nello stesso biennio (ovvero la quota della ricchezza prodotta in beni e servizi richiesta a cittadini e imprese dalla pubblica amministrazione per finanziare la spesa pubblica e i servizi) sempre in rapporto percentuale al PIL.
Il rapporto dell’indebitamento (o deficit) rispetto al PIL nel 2023 è risultato negativo per il 7,2%; lo stesso rapporto nel 2024, sempre negativo, è sceso al 3,4%. Importante risultato quest’ultimo, dovuto ad un significativo aumento di tutte le entrate dello Stato, ma in modo particolare di quelle fiscali, ovvero di un aumento della pressione fiscale che nel 2024 è stato pari all’1,3% rispetto al 2023. In particolare le imposte dirette in un anno sono aumentate del 6,7%, soprattutto per effetto dell’aumento del gettito dell’IRPEF. A migliorare il rapporto dell’indebitamento rispetto al PIL ha concorso, nello stesso anno 2024, la riduzione delle spese, soprattutto quelle destinate agli investimenti (meno 40%).
Ne consegue che le maggiori entrate e le minori spese realizzate nel 2024 hanno migliorato in un solo anno i conti pubblici, tanto da far esultare il Ministro Giorgetti che punta ad un rientro del deficit entro il 3% già da quest’anno. E fin qui tutto bene per l’Italia.

In aumento le dichiarazioni dei nullatenenti
Ma sarebbe interessante capire meglio le ragioni di un incremento così significativo del gettito fiscale nel 2024 e soprattutto conoscere quali sono le fasce di reddito che vi hanno maggiormente concorso.
Soccorrono le statistiche pubblicate annualmente dal Ministero e Finanze - Dipartimento delle Entrate - la cui elaborazione si ferma però all’anno di imposta 2023, ovvero alle dichiarazioni fiscali presentate nel 2024 senza fornire dati più disaggregati. Osservando tuttavia questi ultimi , emergono alcune importanti informazioni.
Innanzi tutto l’aumento del numero dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei loro redditi al Fisco. Non si tratta solo dei nuovi occupati, di cui non sono noti contratti e salari, come ha dichiarato la Presidente del Consiglio Meloni, ma di una tendenza in atto da un decennio: le statistiche della Ragioneria Generale dello Stato confermano infatti un trend crescente del numero dei contribuenti che dichiarano il loro reddito al fisco a partire dal 2014 (+ 1.853.530 rispetto al 2023) con una sola eccezione, cioè l’anno del COVID 2020, dove risulta invece una lieve flessione di tale numero. Un dato positivo che fa pensare ad una maggior fedeltà fiscale e senso civico dei cittadini italiani, ma che è affiancato da un dato, meno positivo, che riguarda l’aumento del numero delle dichiarazione a reddito zero che è quasi raddoppiato sempre nello stesso periodo: sono oltre un milione.
Nello stesso decennio la popolazione italiana è diminuita di 1.324.258 unità, facendo salire il rapporto tra il numero delle dichiarazioni fiscali presentate e la popolazione al 72,19% rispetto al 67,53% del 2014. Se consideriamo il numero dei cittadini “non attivi” (popolazione di età da 0 a 15 anni) tale rapporto sale all’86,26%. Dato che l’organizzazione del nostro sistema fiscale applicato ai redditi di pensione e di lavoro è “progressiva”, ovvero il sacrificio fiscale richiesto è proporzionalmente più alto alle fasce di reddito più elevate, è interessante conoscere anche quali di queste hanno concorso maggiormente al maggior gettito che sta aiutando la sostenibilità dei nostri conti pubblici.
Riduzione d'imposta per i redditi elevati...
Mettendo a confronto i dati scomposti per classi di reddito degli ultimi due anni pubblicati dal MEF, che hanno già risentito, almeno parzialmente, delle modifiche più recenti apportate all’impianto del nostro sistema tributario, e analizzando in particolare la situazione delle persone fisiche assoggettate all’IRPEF (pensionati, dipendenti) emerge che il gettito di tale imposta è cresciuto nel 2023 rispetto al 2022 del 7,3%, in valori nominali di 15 miliardi 738 milioni di euro. Che l’incremento maggiore di gettito è stato sostenuto dai percettori di reddito da 15 a 29 mila euro (4,77% in un solo anno ), mentre la classe di reddito superiore ai 75.000 euro ha fruito invece di una riduzione dell’imposta media del 2,5% .
In sintesi: ad aliquote fiscali immutate in tale biennio il maggior gettito è attribuibile non ai nuovi occupati, come spiegato dalla Presidente del Consiglio Meloni: anche se è vero che i lavoratori dipendenti sono cresciuti, ed insieme il loro reddito, quest’ultimo entra nel PIL e ne fa crescere il denominatore. Si tratta solo di un rapporto che non giustifica però la crescita della pressione fiscale.
... e aumenti salariali "mangiati" dall'inflazione
I motivi risiedono altrove: il lavoro è tassato in misura progressiva con aliquote crescenti con il crescere del reddito. Gli altri redditi (profitti, contributi) sono tassati in misura proporzionale; l’incremento dei salari, anche per effetto dei vari bonus fiscali, produce un incremento delle entrate fiscali. Gli altri redditi sono sottratti alla base imponibile dell’IRPEF e tassati a parte con aliquote proporzionali, compresi i redditi degli autonomi che hanno optato per la flat tax.
In pratica l’aumento della pressione fiscale media è avvenuto principalmente sui redditi da lavoro dipendente. Inoltre gli interventi sugli stipendi, per effetto del sistema attuale di prelievo fiscale progressivo e non indicizzato all’inflazione, sono neutralizzati dallo spostamento di contribuenti verso scaglioni di tassazione più alti che subiscono un incremento dell’aliquota media senza aver beneficiato di alcun miglioramento economico. È l’effetto del cosiddetto drenaggio fiscale, noto come fiscal drag.
Gli effetti saranno maggiori e più visibili dopo interventi come quelli introdotti con la legge di bilancio 2025, (taglio del cuneo fiscale e contributivo) con i quali viene aumentata la progressività dell’IRPEF, alzando la sua sensibilità al drenaggio fiscale. Questi effetti sono resi ancora più evidenti dall’aumento del costo della vita, che cresce ad un ritmo più veloce di quello degli stipendi.
Morale. Ancora una volta, il miglioramento dei conti pubblici nazionali è frutto di un maggior sacrificio fiscale richiesto ai lavoratori dipendenti, che si sono visti “mangiare” dall’inflazione e dal maggior carico fiscale i loro incrementi salariali ricevuti per compensare la perdita del potere d’acquisto subita nel 2022 e nel 2023.













































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