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"Ripartiamo dai diritti, poi la riduzione dell'orario di lavoro"


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di Carlo Ghezzi


Il tema della riduzione dell’orario settimanale di lavoro a 35-36 ore a parità di salario di tanto in tanto riemerge nel dibattito politico-sindacale e sociale[1], ma non più con la vivacità e con la passione che lo hanno accompagnato alcuni decenni or sono.

La rivendicazione nel tempo ha coinvolto e anche diviso tra loro i grandi sindacati confederali e le forze politiche quando la Cisl guidata da Pierre Carniti la propose con vigore o quando in Francia il Governo di Lionel Jospin vi intervenne per sostenerlo con un provvedimento governativo. Fausto Bertinotti e Rifondazione Comunista vi fecero addirittura cadere nel 1998 il primo Governo diretto da Romano Prodi.


Perché oggi questa visibile disattenzione? In parte perché molte categorie di lavoratori dipendenti hanno conseguito per via contrattuale questo obbiettivo a partire dagli addetti della Pubblica Amministrazione e della scuola che rappresentano una quota di grande consistenza tra coloro che lavorano. Nel settore privato i lavoratori chimici, gli elettrici e quelli di numerosi altri settori merceologici hanno un orario lavorativo contrattuale di 38 ore e i loro turnisti a ciclo continuo godono di ulteriori riduzioni d’orario.

Ritengo tuttavia che il motivo principale di tale calo di attenzione sia da attribuirsi all’attuale composizione del mercato del lavoro in una Italia caratterizzato da una precarizzazione impressionante incentrata su un apparato produttivo e dei servizi caratterizzati a loro volta da una dimensione d’impresa tra le più polverizzate rispetto ai grandi paesi industrializzati. In Italia si manifesta sempre più uno scenario segnato dal lavoro diffuso e disperso, dal falso lavoro autonomo che si nasconde in tantissime partite Iva, dai contratti di collaborazione e da quelli a termine, dagli appalti e dai sub-appalti, dalle tante opportunità negative che ben 46 tipologie di rapporti di lavoro definiti dal legislatore offrono alle parti datoriali. Per molti lavoratori l’orario settimanale rappresenta una dimensione piuttosto labile e gestita elasticamente, mentre diviene per loro impellente guardare al sistema complessivo dei loro diritti che andrebbero definiti e garantiti universalmente per tutti.


Un giovane raider, un precario o un qualsiasi lavoratore debole deve aver diritto ad avere innanzitutto una retribuzione equa e proporzionata, alle tutele previdenziali, a una copertura normativa ed economica se si ammala, alla formazione professionale. Deve aver diritto al godimento delle proprie ferie, all’indennità di disoccupazione nei periodi di inattività forzata, se donna alla tutela della propria maternità e via dicendo.

Indubbiamente anche ad un orario di lavoro equo e contrattato la cui definizione si presenta però in modo assai diverso rispetto a come si presentava nella grande e rigida fabbrica fordista. Per molti di questi lavoratori l’orario giornaliero o settimanale di lavoro ha caratteristiche e confini decisamente differenti rispetto ad un recente passato.


L’urgenza complessiva di stabilire diritti fondamentali universali uguali per tutti i lavoratori mette un po’ in secondo piano la specifica rivendicazione su un singolo tema, anche se importante quale quello dell’orario, rispetto alla necessità di guardare alla complessità delle questioni che garantiscono la dignità del lavoro.

Va tuttavia sottolineato che ancor oggi nei programmi dei principali sindacati italiani ed europei rimane un punto fermo e importante il rivendicare nei contratti nazionali la riduzione e la redistribuzione degli orari finalizzata all’occupazione e ai tempi di vita e di lavoro.


[1] Dunia Astrologo, Elezioni e riduzioni d'orario di lavoro, in https://www.laportadivetro.com/post/elezioni-e-riduzione-d-orario-di-lavoro

Andrea Surbone, Utopia e spazi del sistema per la riduzione dell'orario di lavoro in https://www.laportadivetro.com/post/utopia/-e-spazi-del-sistema-per-la-riduzione-dell-orario-di-lavoro

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