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Referendum: "Libertà è partecipazione", ma non riduciamo Gaber a slogan

a cura del Baccelliere


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Incombe il referendum e molto si cita il famoso libertà è partecipazione di gaberiana memoria[1]. Gaber amava problematizzare. Certamente non gli sarebbe piaciuto essere ridotto a uno slogan. La partecipazione che auspicava comprendeva il voto ma nel voto – condizione necessaria ma non sufficiente – non si esauriva[2]. Gaber avvertiva il pericolo che l’illusione di partecipare prendesse il posto della partecipazione e la politica, per la quale aveva massimo rispetto, diventasse spettacolo[3].

Per evitare di tirarlo per la giacca, possiamo immaginare che Giorgio Gaber, di fronte a questa tornata referendaria, si sarebbe posto più di una domanda. Sul senso del voto, sul perché della disaffezione e soprattutto sull’effettiva portata delle scelte dei cittadini. Non avrebbe demonizzato l’astensione. Ma avrebbe probabilmente mostrato diffidenza verso l’atteggiamento di chi, da posizioni di potere, avesse invitato i cittadini ad astenersi.

Per Gaber il voto era importante ma non era tutto. Il che implica che oltre a chi non vota per disinteresse, ci siano altri che non lo fanno per la difficoltà a percepire questa operazione come un gesto decisivo[4]. Di fronte a un referendum bisogna chiedersi se i quesiti sono chiari e se la loro approvazione sia in grado di cambiare la sostanza delle cose. Se ci sentiamo di rispondere affermativamente ad entrambi allora votare ha un senso. È vera partecipazione, democrazia diretta. Nel caso dell’8 e 9 giugno, forse non ne siamo completamente sicuri, perché la vicinanza è una lente deformante, ma ci auguriamo sia così e per questo invitiamo alla partecipazione, sperando sia un vero, sincero e autentico momento di libertà.


Note

[2] “che ha il diritto di votare ma che passa la sua vita a delegare”

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