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Il caro "logo" della Repubblica, ideato da Paolo Paschetto

Si è chiusa a Torino la retrospettiva dedicata all'artista di Torre Pellice


di Piera Egidi Bouchard


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La bellissima mostra su -“Paolo Paschetto - Archivio d’artista”-  esposta all’Archivio di Stato di Torino dal 28 settembre, introdotta dalla ricostruzione reale del suo studio, si è chiusa ieri, domenica 26 ottobre, impreziosita anche da una medaglia conferita dal Presidente della Repubblica.

E la parola repubblica è ritornata alla memoria, e non poteva essere altrimenti, con la sua opera più importante: il famoso “stellone”, emblema  della Repubblica italiana, che compare in ogni documento ufficiale dello Stato, e persino sulle nostra tessera sanitaria, carta d’identità, passaporto, o sulle sigarette. Ed è stato interessante vedere nelle bacheche della mostra i bozzetti che segnano le tappe e il percorso dell’ideazione, quando Paschetto (nella foto @Quirinale.it) partecipò con altri artisti a un concorso edito dal governo De Gasperi nel 1946, poiché si trattava di trovare un simbolo per i documenti ufficiali della neonata Repubblica italiana (fino ad allora i documenti avevano solo l’emblema della monarchia): ci doveva essere la stella d’Italia ed era vietato ogni simbolo di partito.

Attraverso le variazioni proposte dai vari partiti politici che durarono mesi e mesi, infine vinse con la semplicità della sua stella al centro di una ruota dentata (simbolo di lavoro e progresso) circondata dai rami della quercia (simbolo del vigore ) e dell’ulivo (simbolo della pace) legati da un nastro rosso  con la scritta in bianco “REPVBBLICA  ITALIANA”.

Alla fine tutti i diversi partiti si ritrovarono d’accordo, l’Assemblea Costituente approvò il 31 gennaio 1948, e l’emblema fu ufficialmente adottato il 5 maggio 1948 con decreto legislativo del presidente Enrico De Nicola. E Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente, memore dell’acceso dibattito durato anni, poté scrivere sotto l’emblema un suo lapidario commento firmato di suo pugno “Finirà con l’apparirci caro”.


Le cartoline delle Valli valdesi

Dallo "stellone" alle sue tenerissime “valdesine”, di cui Paschetto è stato l’autore, ritratte nei costumi tradizionali, magari anche di spalle, all’entrata della chiesa, per mostrare le cuffiette o i loro scialli,  o se anziane al lavoro di filare la lana  con la conocchia... Poi è stato anche l’autore delle baite, dei paesini, delle montagne e dei prati delle Valli valdesi, riprese in tante cartoline. E inoltre, durante le visite a Chanforan, il prato dove ci fu lo storico  Sinodo del 1532 - in cui il movimento valdese aderì alla Riforma protestante - si ricordava che la semplice stele di granito era stata eretta con la sua progettazione.

E soprattutto è stato l’autore del gigantesco affresco dell’aula sinodale, con la Bibbia aperta sui rami della quercia, che affonda le sue radici nella roccia, circondata all’orizzonte dalle creste dei monti innevati e la scritta “Sii fedele fino alla morte”: impossibile non notarlo, e non notare le date, il 1689, quando avvenne il “rimpatrio” dei valdesi dall’esilio, e il 1939, l’anniversario in cui l’affresco fu inaugurato. Perché Paschetto (1885-1963), nato e poi anche morto a Torre Pellice da una famiglia evangelica, con il padre Enrico pastore battista, amava tantissimo le Valli, che riprodusse con il suo pennello in tanti modi.

Ma era stato anche autore di vetrate, a Roma, nel tempio  valdese di  piazza Cavour, o di quello metodista di via XX Settembre - che recentemente ha accolto una visita del presidente Mattarella per i suoi 130 anni - e anche della chiesa battista di Teatro Valle per i suoi 150 anni, che a breve, il 13 novembre, ha promosso un importante evento in suo onore alla Camera dei deputati.


Da ricordare l'importante produzione grafica

Paschetto ebbe una fertilissima produzione in tanti campi, tra cui anche in quello della grafica, illustrando la rivista “Bilychnis” fondata dal fratello e pastore Lodovico (chiusa nel 1931 ufficialmente per mancanza di fondi, ma probabilmente per l’opposizione al regime ), e  illustrando  altri periodici evangelici  come “ Il Testimonio”, “Il Seminatore” e la rivista “Conscientia” (1924-27, anch’essa chiusa dal regime fascista), diretta dal filosofo battista Giuseppe Gangale, che fu anche in relazione con Piero Gobetti e ne pubblicò gli scritti, in anni difficili per le minoranze religiose, e che per la sua opposizione al fascismo dovette fuggire nel 1934 in esilio all’estero, prima in Svizzera, poi in Danimarca.

Molto significativo è il motto scelto dall’autore a testimoniare la sua fede e la sua vita di credente e di artista: l’agnello con il vessillo di Cristo e la scritta “Post mortem vivere ultra”. La sua produzione grafica è stata sinteticamente esposta nella mostra torinese, ed è interessante che vengano mostrati anche gli oggetti in cuoio o in ceramica  realizzati dalla moglie e compagna di studi Italia Angelucci, e progettati da lui. Non erano  ancora maturi i tempi per una autonoma affermazione delle artiste...

Dalla sua sperimentazione grafica derivò la scelta dei simboli che ornano le vetrate, realizzate con l’apporto del maestro vetraio Cesare Picchiarini, utilizzando i simboli cristiani, come l’Agnello, il Pesce, la Colomba, la Nave, l’Alfa e l’Omega, il Candeliere, l’Aquila, la Vite, il Giglio, poiché la teologia protestante non usa immagini nelle chiese, secondo il comandamento dato a Mosè : “Non ti fare scultura o  immagine alcuna”.



 

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