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Renza e Vera, presente e passato, un vuoto immenso

Aggiornamento: 41 minuti fa

di Piera Egidi Bouchard


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Ci sono persone che si sono spese con generosità nella loro vita e nella professione, e  la loro perdita viene circondata da affetti. Questo è il caso di due amiche, Renza e Vera, una medica e una giornalista. Renza Aimone è mancata da poco, e il funerale si è svolto ieri, 24 ottobre, nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo, che si affaccia nella poetica piazzetta di largo Saluzzo. Renza è stata la “medica di San Salvario ”, come la ricorda il necrologio firmato dai suoi compagni del liceo Alfieri: “generosa, umana, bella e capace”- e il suo studio era sempre affollatissimo di persone di ogni condizione.

Era bellissima, Renza, coi suo grandi occhi verdeazzurri intenti : da ragazza cantava con voce dolcissima accompagnandosi con la chitarra, una Joan Baez italiana - erano gli anni della contestazione e lei era molto impegnata-. E dopo la pensione si era dedicata  a curare gli immigrati, nel volontariato per l’associazione “Camminare insieme”, il cui motto è: “Crediamo nei diritti degli esseri umani e come tali portiamo avanti questa etica nel nostro lavoro quotidiano”.  

E giustamente il parroco ha riflettuto nella sua omelia al famoso passo dell’Evangelo di Matteo: “ Ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete  e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste...”. Nella chiesa c’erano i colleghi medici, i volontari dell’associazione, le donne del quartiere, gli amici e i compagni del liceo coi lucciconi agli occhi. Un insolito vento faceva volare le foglie degli alberi e risplendere il cielo d’autunno.

Vera Schiavazzi dieci anni fa è mancata improvvisamente “sul lavoro” – perché aveva ricominciato dopo anni di professione a fare quelle inchieste di strada per cui ci insegnavano una volta a “consumare la suola delle scarpe”-. Di famiglia laicissima (il papà era il dirigente comunista Romolo Schiavazzi) in età adulta aveva intrapreso un percorso di fede che l’aveva portata infine ad aderire alla chiesa valdese: ricordo il suo battesimo, nella comunità di Susa, di cui Giorgio era pastore, insieme a quello dei suoi due bambini. Vera fece la sua professione di fede con una riflessione intensa sulla vocazione di Samuele bambino che viene chiamato da Dio tre volte e non capisce, attribuendo la voce al suo maestro Eli, vicino a cui dormiva nel tempio, e infine capirà...

E anche Vera si è spesa in mille modi per gli altri: nel sindacato, l’”Associazione Stampa Subalpina”, o quando era stata a collaborare al comune; ricordo che noi amici la prendevamo in giro come “ufficio ricovero cani e gatti randagi”, perché si occupava continuamente  degli ultimi. Per i giovani aveva poi realizzato il master di giornalismo “Giorgio Bocca”, una vera e propria scuola ad alto livello per formare alla professione. Adesso alcuni di quegli allievi e allieve sono bravi giornalisti: il premio che ogni anno viene intitolato a lei, dedicato agli under 35 -  realizzato coi fondi dell’8 per mille valdese e organizzato dal Centro Studi per il Giornalismo “ Gino Pestelli" - ha visto quest’anno come vincitrice proprio una ex allieva, Elisabetta Rosso, giornalista di Fanpage, che “ con le sue inchieste ha saputo interpretare questi valori, declinandoli con un utilizzo sapiente delle nuove tecnologie che sono oggi alla base della professione.”

Simonetta Rho, presidente della giuria, ha consegnato la targa insieme ai figli di Vera ,Davide e Olga Mancini, e ha coordinato il dibattito  al Circolo dei Lettori sull’impegno delle donne nell’informazione, con interventi della vincitrice e di Luciana Esposito, fondatrice e direttrice di www.napolitan.it, che fa inchieste sulla difficile condizione  di alcuni quartieri napoletani, per cui ha ricevuto minacce ed è sotto scorta. Il suo complesso e appassionato intervento meriterebbe da solo uno specifico incontro, che bisognerà organizzare anche, per esempio, nei corsi di aggiornamento. Ancora difficile questa professione per le donne, che sono le più esposte. Ma ci segna la strada anche proprio la testimonianza di vita di Vera, “una professionista che ha fatto dell’indipendenza di giudizio, dell’accuratezza delle indagini e della verifica delle fonti i suoi principi”, e che è stata una donna libera, generosa, divertente, come quel sorriso vivacissimo con cui mi guarda nella fotografia che è proprio qui, vicino al mio computer, e sembra farmi compagnia nel mio lavoro.


 

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