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Per passione, non solo musica e parole...

Ascoltando il jazz con la fisarmonica di Gianni Coscia


a cura del Baccelliere


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Durante il fascismo il jazz era ostracizzato, in quanto considerato musica degenerata. Poco importa che a casa Mussolini il divieto non fosse così assoluto, tanto che uno dei figli di Benito, Romano, sarebbe diventato un ottimo pianista jazz. Nonostante l’ostilità del regime, il favore delle nuove leve era comunque considerevole, il che favorì la nascita di espressioni autoctone. Per aggirare i divieti, si assistette al fenomeno dell’italianizzazione dei titoli dei brani e addirittura dei nomi di alcuni protagonisti [1].

Era però una musica dal carattere derivativo. Grazie però a questo humus pur pieno di contraddizioni, l’immediato dopoguerra ha visto la nascita di una generazione di musicisti jazz che hanno dato origine all’embrione del jazz italiano destinato a maturare caratteri sempre più originali nelle decadi successive.

Un ruolo in questa maturazione sarebbe stato giocato dal Piemonte e da Torino in particolare. Torino con i suoi locali, dove si esibivano artisti locali e stranieri, poteva contare su di un pubblico attento e curioso verso le nuove sonorità. Normale che attraesse musicisti di grande talento come gli astigiani Gianni Basso e Dino Piana ma anche il torinese di adozione Enrico Rava.

Uno di questi musicisti è un caso molto speciale. Stiamo parlando di Gianni Coscia. Coscia è alessandrino come Umberto Eco di cui è stato compagno di scuola al liceo. Ha 94 anni, suona la fisarmonica e ha avuto un ruolo come sdoganatore del suo strumento da contesti troppo angusti come la musica da ballo. Coscia è un jazzista e come jazzista propugna una forma di equilibrismo strumentale, che gli ha permesso di non rinunciare alle specificità della fisarmonica accompagnandole ad una sensibilità - melodica, ritmica e armonica - mutuata dalla musica afroamericana. La sua carriera musicale si è dipanata in parallelo con quella di bancario - avvocato di banca come dice lui. Per certi versi le caratteristiche del suo strumento lo hanno portato a maturare una delle prime vie nazionali al jazz. In questo anticipando fin dai primi passi la modernità.

Gianni Coscia esce in questi giorni con il suo primo disco per fisarmonica sola, La Violetera. Ed è una cosa eccezionale per un musicista attivo da più di sette decadi. L’idea è venuta da Paolo Fresu e dalla sua etichetta, la Tuk. Il disco è la summa di una vita in musica: le composizioni originali si alternano con quelle di Thelonious Monk e Cole Porter, di George Gershwin, Carlos Gardel e Gorni Kramer - altro portentoso fisarmonicista. E poi Coscia suona standard con un atteggiamento speciale, antico e moderno, e non teme di praticare valzer, tanghi e musica popolare.

Nelle note di copertina, lo stesso Coscia racconta la genesi anomala del lavoro, registrato un brano dietro l’altro in un piccolo studio della campagna piemontese [2]. Un disco essenziale ma ricco, in cui la fisarmonica diventa una piccola orchestra. Un viaggio fra passato e futuro, che tiene a bada la malinconia stemperandola nell’ironia. Un grande romanzo di suoni. La melodia di Our love is here to stay è un esempio di come George Gershwin possa essere continuamente reinventato[3]. Grazia, equilibrio, ricordi e poesia.


Note

[1] Emblematico fu il caso della storpiatura del nome di Louis Armstrong in Luigi Fortebraccio. Il regime e la sua politica culturale miravano a eliminare ogni influenza straniera.

[2] Cascina Grossa in provincia di Alessandria.

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