Privacy, ovvero il Grande Furto delle nostre vite
- Sergio Cipri
- 24 mar
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 26 mar
Cronaca di una giornata normale
di Sergio Cipri

Ore 7.00
Un lampo di luce blu e Alexa - l’assistente vocale di Google - mi sveglia con il crescendo ossessivo del Bolero di Ravel. L’App che monitora in tempo reale il mio stato di salute, attraverso lo smartwatch che ho al polso anche di notte, ha memorizzato in qualche server remoto i miei livelli di sonno profondo, leggero e veglia. Prima di uscire dò un’occhiata alle notizie del giorno su diversi quotidiani online. Scendo per colazione al bar sotto casa. Pago avvicinando il telefono al POS, comodissimo, ormai anche in Italia lo accettano per pagare un caffè. Oggi vado a piedi ad ascoltare una conferenza. Lungo il cammino noto facilmente le vecchie e voluminose telecamere di sorveglianza, non così facilmente le nuove, piccolissime in alta definizione. Registro distrattamente che il mio percorso è monitorato metro per metro. Intanto il GPS del mio smartphone, del quale non posso fare a meno, registra il mio percorso, anche lui metro per metro.
Pausa per un ricordo di viaggio. Recentemente sono stato a visitare i Parchi Americani nello Utah. Ogni mese Google mi propone di rivedere i miei movimenti. Di solito cancello la mail ma quella volta la curiosità ha vinto. C’era tutto il mio viaggio. Ho selezionato un giorno e un’ora notturna: la traccia era posizionata sul motel, una costruzione bassa lunga circa 50 metri. Il punto indicava la mia camera.
Ore 13
Tornato a casa decido di approfondire qualche passaggio della conferenza del mattino. Apro alcuni siti e ricevo il solito messaggio: Questo sito utilizza cookies (traduzione: biscottini), per fornirti una migliore esperienza di ricerca. Abbiamo a cuore la tua Privacy, quindi scegli: rifiuta (accesso negato o limitato), accetta tutto, esamina scelte possibili (pagine di testo scritto in piccolo). Automaticamente, come faccio ormai sempre, premo, “accetta tutto”. Un piccolo innocente programma si installa nel mio computer e da quel momento invia silenziosamente mie notizie al sito che lo ha - con il mio permesso si capisce - installato.
Ore 15
Sto cercando un oggetto un po’ particolare. Dopo faticose ricerche ne ho trovato, in un fornito negozio della mia città, uno che non mi soddisfa per qualità e prezzo eccessivo. Apro il sito Amazon, che mi presenta una scelta fra qualche decina di oggetti simili, con recensioni di centinaia di acquirenti, consegna a domicilio domani. Prezzo inferiore a quello del negozio locale. Quanto mi è costata la ricerca? Zero. Non vorrei contribuire alla scomparsa dei negozi di prossimità, ma…
Breve digressione sui servizi gratuiti Internet che utilizziamo quotidianamente. Un esempio per tutti: il Navigatore. Ci porta in qualsiasi parte del mondo guidandoci passo passo con la precisione del metro. Non ci chiede neppure dove siamo, basta l’indicazione, anche approssimata, della nostra destinazione: trova lui quella esatta. Con un click passiamo dalla mappa stradale alla visione in 3D di qualsiasi luogo della Terra. L’investimento in tecnologia (satelliti, ma anche mappatura strada per strada, in tutto il mondo) è semplicemente gigantesco. E a noi quanto costa? Zero. E come è possibile che i padroni di questi servizi siano miliardari? Ovviamente i conti non tornano. Che cosa manca?
Parliamo brevemente degli hacker russi. Con un certa frequenza abbiamo notizia di siti importanti (ministeri, banche, aeroporti, Agenzia delle Entrate, ecc.) attaccati dai temibili hacker russi al servizio del Kremlino. L’attacco, come sappiamo ormai anche dai media generalisti, è del tipo DDOS (Distribuited Denial Of Service). E’ relativamente poco pericoloso ma riesce a bloccare temporaneamente l’accesso a siti con servizi importanti. La tecnica è semplice: una richiesta di accesso al sito inviata contemporaneamente da migliaia di computer satura la possibilità di risposta bloccandolo. Quello che i giornali non ci spiegano è dove diavolo i cattivissimi hacker russi si procurano migliaia di computer. Risposta: da noi, a costo zero. E’ possibile che nel nostro computer, superando le difese del nostro antivirus, insieme al torrente di cookies autorizzati, sia entrato un piccolo, invisibile programmino che rimane dormiente fino a che un comando inviato via rete da chi lo ha installato, non lo sveglia con una semplice istruzione: “all’ora x.yy invia una richiesta di accesso all’indirizzo di questo sito”. Siamo noi, migliaia di inconsapevoli possessori di computer infettati, sempre collegati alla rete, gli hacker.
Ore 19
Sono in aeroporto. Il mio volo per New York parte alle 21. Decine di telecamere coprono ogni spazio. Un programma di Intelligenza Artificiale esamina in tempo reale le migliaia di volti che passano, fra questi anche il mio, e li confronta con immagini memorizzate per un riconoscimento facciale. Vietatissimo! Ci sono le leggi internazionali. Sarebbe un attacco gravissimo alla nostra privacy, la cosa che, a giudicare dalla quantità di autorizzazioni che ci vengono richieste, e la più grande preoccupazione nel tempo della Rete. Vero? Forse, ma con eccezioni lecite e prassi illecite. Decollo. Scelgo, per passare il tempo, un film di fantascienza dove un’Intelligenza Artificiale che ha imparato tutto sulla razza umana decide che il male minore, per salvare il Pianeta, è sterminarla.
Conclusione
Noi, esseri umani del XXI secolo, siamo componenti biologici di una gigantesca rete planetaria. I nostri movimenti, le nostre azioni, le scelte che pensiamo di fare liberamente alimentano una immensa memoria distribuita, governata da sistemi digitali che progressivamente evolvono in Intelligenze Digitali. Che imparano proprio dalle informazioni che noi regaliamo loro. Gran parte di questo processo avviene in superficie, alla luce del sole, con il nostro più o meno consapevole consenso.
Che cosa anestetizza la nostra vigilanza e ci impedisce di vedere il pericolo? La risposta, chiara, arriva dal bilancio della nostra “giornata normale”: una continua serie di servizi di straordinario livello tecnologico, la maggior parte gratuiti, senza i quali ormai, come i dipendenti da una droga, siamo incapaci di sopravvivere. Non soltanto la Rete ci fornisce servizi, ma ci suggerisce cosa comperare, rivelando una sorprendente conoscenza dei nostri gusti. Le nostre informazioni sono preziose per chi gestisce il commercio: sono oggetto di compra-vendita, e qui il cerchio si chiude. Ma ad un livello sommerso della Rete vengono anche elaborate le informazioni - vere, false, simil-vere? - su ciò che accade e sulle quali costruiamo la nostra visione e, di conseguenza, i nostri comportamenti. L’intelligenza Artificiale sta dimostrando la difficoltà se non l’impossibilità ormai di distinguere il vero dal falso. E questo è il secondo valore in mano al Potere. Orwell potrebbe riscrivere oggi il suo capolavoro con pochi marginali aggiornamenti. Ho avuto modo di spiegare queste cose ad una classe di giovani immigrati, da poco arrivati nel nostro Paese. Tutti disponevano di un telefono cellulare che utilizzano con grande disinvoltura. Al termine ho chiesto: in sintesi, ragazzi, con che cosa paghiamo le meraviglie che stanno nel vostro telefono?
Una giovane ragazza marocchina è stata la prima a rispondere: con la nostra vita.
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