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Pericoli e rischi del riarmo proposto da von der Leyen

di Giorgio Ardito


La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen prevede di stanziare 800 miliardi di euro per riarmare il Vecchio Continente. Per dare un metro di misura sufficientemente indicativo, ricordiamo che il bilancio dello Stato italiano (popolazione pari 60 milioni di individui) prevede per il 2025 entrate per circa 729 miliardi. Morale: ci troviamo di fronte a una cifra impressionante per sostenere la difesa dell'Unione Europea cui manca, comunque sia una politica estera comune, sia una forza armata comune. Il che solleva più di un interrogativo sull'immancabile cui prodest: una valanga di denaro che, per alcuni versi, vanifica anche lo spirito stesso con cui i padri fondatori dell'Europa si mobilitarono per offrire non solo una cornice di pace, ma una cultura di pace al Continente su cui si erano combattute due guerre mondiali nell'arco di poco più di vent'anni.

Inoltre, la presidente non ha nascosto il proposito di fornire prestiti agli Stati che faranno richiesta per investire nella difesa e nella sicurezza. In altri termini, aumento del debito pubblico, che finirà per deprimere, inevitabilmente, le politiche di welfare dei singoli stati. All'opposto, non una parola ha speso von der Leyen sulla diplomazia e sulle capacità di relazione sovranazionale su cui l'Europa ha edificato la propria credibilità dall'ultimo conflitto mondiale, mentre si è ulteriormente spesa sul proposito, in odore di sospetta demagogia, di rendere l'Europa "sicura e resiliente", termini questi ultimi quantomai generici anche per l'opinione pubblica meno avvezza alla politica, ma che il pensiero dominante prende a prestito con disinvoltura per ogni stagione e per qualunque argomento.

Ma ciò che suscita più allarme nelle parole della presidente è la superficialità ad agire come se l'Unione Europea fosse un unico stato, cui corrisponde la totale estraneità ad impegnarsi all'opposto per "costruire un vero Stato federale" partendo dal fatto che l'Europa nel suo insieme è la terza potenza economica, la seconda militare, quinta per innovazione scientifico/tecnologica (prima la Corea del Sud con, non a caso, il maggior numero di laureati in rapporto alla popolazione).

La proposta della Ursula von der Leyen, quindi, dà fiato agli appetiti degli apparati industriali militari, riducendo le spese sociali, e a un tempo rischia di destabilizzare anche il rapporto tra la società civile e vertici delle Forze armate, con questi ultimi che potrebbero essere vellicati a stimolare un improvvido cambio di cultura con il passaggio dal mantenimento della Pace a una politica aggressiva, il cui fine ultimo poi è la "inevitabilità" della guerra.

Ipotesi che non impallidisce ogni qual volta si leggono i rapporti dell’Istituto di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) che fotografa il deterioramento delle relazioni internazionali e il ruolo dei nove Paesi i detentori della bomba, che hanno speso per gli arsenali 91,4 miliardi di dollari[2]. Secondo Sipri, infatti "Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele hanno continuato a modernizzare il loro arsenale nucleare e a schierare nuovi sistemi d’arma atomici durante tutto il 2023. Su 12.121 testate atomiche esistenti al mondo a gennaio 2024 (in leggero calo rispetto alle 12.500 del 2023), si stima che circa 3.904 siano dispiegate, cioè equipaggiate su missili e aerei, 60 in più rispetto al gennaio 2023, mentre le restanti si trovano nei depositi. Delle testate già schierate, 2.100 sono state mantenute in stato di “massima allerta operativa” su missili balistici. Quasi tutte queste armi appartenevano alla Russia o agli Stati Uniti, ma per la prima volta si ritiene che la Cina abbia alcune testate pronte a essere utilizzate".


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