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Alleanza per Torino, tra buone intenzioni e velati nepotismi

di Mauro Nebiolo Vietti


Chiamare “lista civica” una lista elettorale è un paradosso; cives è il cittadino inteso come membro della comunità; una lista civica, che si contrappone ad una lista di partito, evidenzia un’assurdità perché contrappone il concetto di cittadino a quello di candidato di partito, mentre questo ultimo nasce per aggregare i cives che condividono gli stessi valori.

Ma incongruenze etimologiche a parte, la lista civica non è un evento negativo; un partito aspira a coprire il più ampio spazio di potenziale consenso e, poiché un programma politico può non essere attrattivo per tutti, una seconda lista giocata esclusivamente sui nomi di persone presenta un indubbio vantaggio elettorale perché il candidato non cercherà voti sulla base di un programma, ma quelli che può ottenere dal reticolo dei rapporti in cui è immerso, reticolo che per ragioni personali può portare al voto persone che non avrebbero votato la lista ufficiale  o non avrebbero addirittura votato.

Ora qualcuno va dicendo che Alleanza per Torino, la nuova associazione che si propone come centro di iniziative volte a contribuire allo sviluppo della città, non rappresenta una delle solite liste civiche di appoggio ad un partito, ma un fenomeno che nasce dal sentire del cittadino comune che si propone per contribuire con nuove idee.

L’iniziativa è intelligente, perché non nasce troppo tardi e con modalità che hanno suscitato l’interesse dei mass media, ottenendo così di sensibilizzare un potenziale elettorato ma, alla fine, non è detto che tutto si riconduca ad un’operazione elettorale studiata a tavolino e, per quanto si può dire ora, studiata bene.

Anche il nome è frutto di un’operazione di marketing elettorale: Alleanza per Torino è stata la lista che vinse le elezioni nel 1993 in un agone elettorale dove mancavano i tradizionali protagonisti; il PSDI era scomparso l’anno precedente, il PLI, il PSI ed il Partito repubblicano si erano dissolti, la Democrazia cristiana sopravviveva in condizioni disperate. Quella lontana iniziativa riempì un vuoto chiedendo ai cittadini un atto di fiducia per donne e uomini che si proponevano di amministrare la città in assenza degli abituali protagonisti.

E’ lodevole il non voler apparire soltanto come lista civica di appoggio, ma per distinguersi occorre che i suoi fondatori non rimastichino vecchi concetti, ma esprimano originalità, inventiva e, soprattutto, non temano di offendere le vecchie gerarchie di partito, anche censurando iniziative che l’attuale amministrazione sta proponendo  e questo è  un passaggio delicato; una lista civica asservita non critica o censura le attività del gruppo politica che l’ha ispirata.

Se Alleanza per Torino vuole essere invece ciò che propone di essere, il futuro programma dovrà essere migliorativo evidenziando gli aspetti critici nelle scelte dell’attuale amministrazione e sarà interessante verificarlo perché, non si trascuri, l’amministratore pubblico è un soggetto con il più alto indice di suscettibilità. D’altronde, se non ci fosse un impianto critico rivolto a migliorare o rinnovare le scelte fatte, si ricadrebbe nella lista civica asservita.

Per ora nulla si può osservare sul punto salvo vedere qualche collegamento con la politica tradizionale quando, leggendo la lista dei fondatori, si ritrovano due cognomi portati da genitori che nel passato hanno svolto un ruolo politico importante per Torino. Se devo valutare l’indice di indipendenza dal vecchio, non è un bel segnale.


 
 
 

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