Nel ricordo del giudice Falcone. Capaci, era il 23 maggio 1992
- La Porta di Vetro
- 23 mag
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Aggiornamento: 23 mag

"E adesso le parole sono gusci vuoti", titolò il suo editoriale a firma di Luciano Violante l'Unità il giorno dopo; "Il simbolo decapitato" fu quello della Stampa di Torino affidato al pensiero dell'allora direttore Paolo Mieli. Del medesimo tenore le prime pagine di tutti i quotidiani italiani. Era la domenica del 24 maggio 1992. Poche ore prima che le rotative si mettessero in moto, alle 17,57 di un sabato assolato a Palermo, il giudice Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, morivano sull'autostrada Palermo-Mazara del Vallo, all'altezza dello svincolo di Capaci. La notizia si era propagata come una tempesta di sabbia nell'etere, su radio e televisione. E l'Italia rimase attonita nello scoprire la sfida palpabile portata allo Stato da chi si riteneva un contropotere socio-politico a tutti gli effetti.
Il 23 maggio 1992, Cosa Nostra, il gruppo criminale dei corleonesi guidati dal capo dei capi Totò Riina, detto Totò u' curtu, e dal suo sodale Bernardo Provenzano, conosciuto come Binnu u tratturi, eliminava il servitore dello Stato che insieme agli altri magistrati del pool antimafia, da Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto, Giuseppe Di Lello a Leonardo Guarnotta aveva costruito lo storico maxiprocesso al potere mafioso.

Una carica di 300 chilogrammi di tritolo fu sistemata all'interno di un cunicolo di scolo che attraversava quel tratto autostradale e fatta esplodere con un timer. L'effetto fu devastante e sollevò in aria le auto su cui viaggiavano gli obiettivi dell'attentato. Ventitré persone rimasero ferite, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Paolo Borsellino, l'altro "nemico giurato" di Cosa Nostra viene ucciso cinquantasette giorni, il 19 luglio, in via D'Amelio, vittima di un'autobomba insieme con gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[1]), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Unico sopravvissuto l'agente Antonino Vullo, intento a parcheggiare una delle auto della scorta.
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