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Osservando i nostri tempi

Aggiornamento: 11 ore fa

Una certezza non deve abbandonare i giovani: il reale è più forte del virtuale

di Domenico Cravero


I giovani oggi non sono perlopiù riconosciuti come soggetti con cui stabilire sinergie e progettualità, ma come oggetto di studi (delle loro mode e tendenze), di trattamento (del loro presunto disagio), di indagine (per orientare la pressione commerciale). L’adolescenza merita un’analisi diversa: passare dai condizionamenti delle trasformazioni sociali sul loro processo d’identità all’esperienza di vita che i ragazzi fanno. Nel nuovo mondo disegnato dal numerico e dai social, cambia il modo di fare esperienza, perché si modificano i significati materiali e simbolici di spazio e tempo che sono le strutture stesse dell’esperienza. Queste coordinate rappresentano anche lo sfondo di possibilità nella costruzione dell’identità.


Quando lo spazio si trasforma in "non-luogo"

Il tempo tende a perdere durata, memoria e attesa progettuale per concentrarsi nell’adesso istantaneo, in un presente indefinito. L’attimo non può che essere fuggente; l’unico modo per afferrarlo è quindi l’intensità emozionale, la sua eccitazione, pena la rivalsa della noia che è, infatti, l’impossibilità di vivere il tempo. Il bisogno di un impulso costante, come controprova del sentimento di esistere, è bene sintetizzato dal verbo “divertirsi” che i ragazzi usano costantemente per indicare non tanto lo “svago”, ma la qualità emozionale del vissuto.

Unito al medesimo destino di radicale trasformazione, lo spazio tende a trasformarsi in “non-luogo”. Gli spazi perdono la loro specifica identità e diventano meri contenitori di un movimento inarrestabile, senza orario e senza meta, dove fisso è solo il girovagare. Il nomadismo quotidiano, nel tempo libero trascorso nella compagnia dei pari, sembra dire l’impossibilità a rimanere e trovare posto, e la difficoltà ad aderire all’esperienza, come se ciò che è cercato fosse sempre oltre. La disseminazione e la dispersione del territorio si spinge fino a produrre il dissolvimento dell’idea di identità, legata all’appartenenza e all’azione. Ridotto alla dimensione del simultaneo e dell’istante, il tempo è sempre più de-spazializzato. I networks digitali producono uno spazio di flussi che dissolvono il tempo, mettendo in disordine la sequenza dei vissuti e rendendoli simultanei, inserendo così la società in una eterna dimensione transitoria e precaria: la circolarità delle reti. All’aumento della velocità corrisponde non la determinazione di perseguire la meta, ma l’ebbrezza della velocità stessa. Con un capovolgimento della prospettiva, è lo spazio che organizza il tempo.

L’offerta incalzante di nuove sensazioni oggi si è moltiplicata, quasi a riparare l’assenza drammatica di prospettive future. La constatazione che per la cultura postmoderna non esista un centro è una scoperta che dà le vertigini. Senza un punto di convergenza, l’immagine del mondo non fornisce più sostegno alla vita personale e collettiva. La secolarizzazione ha impiantato al posto della religione un nuovo idolo: il “mercato”, l’irresistibile fascino delle cose concrete. Lo spettacolo delle merci (particolarmente quelle elettroniche) diventa un equivalente funzionale della religione.

Chi non desta sensazione, rischia di non essere percepito

Nell’“estetica delle merci”, le cose diventano feticcio, perché l’economia che le produce diventa la ragione creatrice di senso, soprattutto nella rappresentazione iconica e nella fotografia. Dei cinque sensi, il potere della vista esercita oggi il fascino maggiore, capace di cogliere l’integralità della verità del mondo. Se si vede, c’è. Se sono visto, esisto. Il successo del selfie, la meticolosa presentazione di sé nel social, il sensazionalismo delle notizie, danno uno spessore nuovo al termine, divenuto di pubblico dominio: sensation. La percezione del sensazionale diventa la visione assoluta. Chi non desta sensazione, rischia di non essere percepito. Le cose diventano riconoscibili solo facendosi pubblicità, trasformandosi in notizia.

L’adolescente di oggi, privato dal riconoscimento sociale della società degli adulti, senza alcuna pratica intergenerazionale e rituale d’iniziazione, vive in una società dove il disorientamento etico e la crisi della politica svuotano il futuro di speranza e di progettualità. È costretto allora a “forgiarsi un proprio mito personale” (R. Cahn). I giovani sono immersi in un flusso emozionale incessante, liberi di tutto. Eppure si sentono spesso come svuotati, incapaci di fare esperienze. La mobilitazione e il riscatto giovanile dovranno iniziare qui: esserci e di contare. Ci conforta una certezza: il reale è più forte del virtuale.

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