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Per una bandiera in più, l'inutile gazzarra in Sala Rossa

Aggiornamento: 7 ott


In consiglio comunale a Torino andato in scena un pomeriggio da "sbandieratori" che allontana la politica dalla realtà


di Beppe Borgogno


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Come fare male alle istituzioni, allontanandole una volta di più dalla realtà. Come mettere in scena la perfetta rappresentazione dell’autoreferenzialità della politica, oggi. Nell’epoca dell’iper-comunicazione e del proliferare dei mezzi e delle fonti, la gazzarra delle bandiere durante il Consiglio Comunale di Torino di ieri, 6 ottobre, a ben guardare, finisce per avere proprio questi significati.

Già, perché in un’epoca così confusa, anche perché così connessa, non è mai semplice mantenere l’autorevolezza di cui le istituzioni e suoi rappresentanti avrebbero bisogno per apparire un pochino più “utili” ai cittadini che li scelgono e poi li osservano.

Di sicuro lo è ancora di meno se si trasforma un’aula istituzionale in qualcosa che somiglia ad un perenne “flash mob”, finendo per trasformare in comparse di una rappresentazione, più che in autorevoli rappresentanti del popolo, i protagonisti, cioè i consiglieri comunali.

Non conta chi abbia iniziato prima e quale sia la bandiera che per prima è spuntata durante la seduta del Consiglio comunale, in Sala Rossa: quella statunitense, quella palestinese o quella israeliana. Nell’epoca della semplificazione di ogni cosa ad ogni costo, la saggezza porterebbe a sperare che chi ci rappresenta si impegni sul serio a governare la complessità (perché la realtà è tutt’altro che semplice), e magari aiutarci anche a capirla.

Se invece chi ci rappresenta si trasforma in tifoseria di una causa che magari nemmeno sempre capisce, o che spera nessuno capisca in modo da poter applicare con successo il linguaggio e l’iconografia che ha scelto, cioè quella delle curve calcistiche, significa che non ha poi tutta questa considerazione dell’intelligenza di chi pretende di rappresentare. E se l’oggetto della sceneggiata e della semplificazione affidata alla esibizione di bandiere è un dramma vero e assoluto, dalla strage di cittadini israeliani da parte di Hamas il 7 ottobre, di cui oggi ricorre l'anniversario, al genocidio del popolo palestinese, allora non crea più soltanto fastidio, ma anche una certa rabbia.

Tutto è successo perché una parte politica accusava l’altra di aver sventolato dal balcone di Palazzo Civico la bandiera palestinese lo scorso venerdì, in occasione della grande manifestazione di solidarietà con il popolo di Palestina che da lì sotto è partita, appellandosi a un regolamento che in realtà disciplina solo le bandiere appese ai pennoni “ufficiali”.

Quel balcone, negli anni, è servito ad esporre tanti simboli, nel bene e nel male. E quella piazza è stata tante volte testimone e sede di tanti momenti di vita e di protesta della città. E non sempre con un intento propagandistico o strumentale. Ma qualche volta sì. Tanto per fare un esempio a parti politiche invertite, un autorevole membro dell’attuale Giunta Regionale ebbe la bella idea, chissà quanto patriottica, di sventolare il tricolore da quel balcone mentre la folla del “movimento dei forconi” assediava Palazzo Civico con l’intenzione di assaltarlo, neppure fosse la Bastiglia di rivoluzionaria memoria francese, che oggi ritorna sui quotidiani francesi con le dimissioni del primo ministro Sébastien Lecornu. In quella circostanza del dicembre 2013, non fu semplice, per le Forze dell’Ordine, la Polizia Locale e per chi era li, allontanarlo dal balcone, e difendere il Palazzo da un assalto di cui fu poi teatro, qualche decina di minuti dopo, il Palazzo della Regione, all'epoca in Piazza Castello.

Venerdì scorso la scena è stata davvero un’altra: un applauso reciproco, dalla piazza verso il balcone e dal balcone dove sventolavano le bandiere verso la piazza per salutarla, testimoniando  almeno in quel momento e in quel caso, una autentica vicinanza tra dentro e fuori le istituzioni.

Quella di ieri appare invece come una “resa dei conti” autoreferenziale tra persone chiuse in una stanza, anziché un’aula istituzionale, proprio per questo lontana da quello che succede fuori, che è tutt’altro che semplice qualunque cosa si pensi, e perciò non si presta davvero a sceneggiate.

Quando, un tempo, succedevano cose simili (l’idea di usare l’aula consiliare o le occasioni istituzionali per “bucare” l’informazione è sempre esistita, ma l’iper-connessione in cui viviamo oggi rende episodi come questo anche un po’ patetici), bastava poi l’intervento, vissuto dalla città come autorevole, di qualcuno e nemmeno sempre il Sindaco, per rimettere le cose a posto. Vedremo se stavolta qualcuno sentirà il bisogno di fare qualcosa di simile, e se saprà trasmettere altrettanta autorevolezza.

Nel frattempo, tanto per banalizzare, semplificare ciò che non si può e polarizzare (in fondo la cifra media di molta dell’informazione di cui siamo spettatori), TV e giornali si interrogano su come mai la mobilitazione per il popolo palestinese non abbia favorito il risultato elettorale del centrosinistra, alcuni stupiti e altri compiaciuti.

A chiederselo sono gli stessi che qualche giorno fa spiegavano che si tratta di un movimento spontaneo, figlio dell’indignazione e della rabbia per ciò che è accaduto e sta ancora accadendo, e di denuncia dell’ipocrisia di chi in questi anni non ha fatto nulla per fermare quel massacro, ma forse anche dei ritardi di una politica che a quell’indignazione non ha saputo dare voce. 

Questa domanda, insieme a qualche altra sentita in questi giorni nei telegiornali e nei talk show, dimostra che il deficit di sensibilità e la confusione non stanno solo nel Consiglio Comunale di Torino. E non è affatto una consolazione. Personalmente, ritengo che l'enorme mobilitazione dei giorni scorsi sia sacrosanta e persino tardiva, e pazienza se non aiuta il centrosinistra. Che per aiutarsi avrebbe bisogno di ben altro.


 


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