Navalny è morto, ma Putin ha perso
- Maurizio Jacopo Lami
- 16 feb 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 19 nov 2024
di Maurizio Jacopo Lami

Non c'è nulla di meglio che progettare bene la vendetta contro un nemico, poi vendicarsi e infine sedersi davanti al fuoco a fumare la pipa.
Iosif Stalin
Soltanto la morte raddrizza la gobba " proverbio russo ripetuto spesso dai servizi segreti russi per indicare la necessità di uccidere un nemico.
Lo so che Putin mi vuole morto. Ma tornerò lo stesso in Russia per battermi per la libertà. Bisogna essere uomini.
Aleksej Navalny ai giornalisti sull'aereo che lo riportava in Russia. Un rientro volontario nella lucida convinzione che lo attendeva il carcere duro e poi la morte.
Aleksej Navalny è morto oggi venerdì 16 febbraio nel più sperduto carcere dell' intero globo terracqueo. Aveva 47 anni ed era la nemesi di Putin che lo odiava e lo temeva talmente tanto da non pronunciare mai il suo nome. Tutti sapevamo che lo voleva morto. Combinazione vuole che tra un mese ci saranno le elezioni in Russia e l' indomabile oppositore è morto all' improvviso.
Le stesse autorità che lo tormentavano all'infinito da tre anni (era stato definito "il detenuto più isolato del mondo") non si sono vergognate di dichiarare che quando si è sentito male "l'équipe medica è stata immediatamente allertata". Hanno parlato di ictus, ma non delle spaventose condizioni in cui lo tenevano.
Lo hanno rinchiuso in una cella piccolissima, in una prigione sperduta come nessuna altra al mondo, a più di duemila chilometri da Mosca, rinomata in un paese dove storicamente la crudeltà in prigionia è la norma. Il carcere ufficialmente si chiama ik-3 ma tutti lo chiamano con un nome ben più evocativo e quanto mai azzeccato: "Lupo polare".

I dettagli su questo carcere sembrano tratti dalla fantasia di un regista di un film d'azione, ma sono invece tragicamente veri , degni dell'epoca barbara in cui siamo ripiombati: è oltre il Circolo Polare Artico, in un punto assolutamente irraggiungibile con mezzi normali, in una terra che un cartografo una volta ha definito "più desolata della faccia della Luna". Si trova nella località di Harp, sul versante siberiano degli Urali, a migliaia di chilometri dagli insediamenti umani più vicini. La temperatura in inverno ( e lì lo è quasi sempre) supera i trenta gradi sotto zero. Le celle si dividono in due tipologie: quelle molte piccole e quelle piccolissime.
È riservato ai criminali più pericolosi, che vengono accolti dal direttore con questo semplice e chiaro discorso: "Questo è il fondo dell'inferno. Se vi hanno mandato qui vi vogliono morti, non ci si può sbagliare. Noi guardiani ci regoleremo di conseguenza". Inutile aggiungere che i soprusi sono continui.
I recinti servono soltanto per evitare che animali selvaggi, per esempio i lupi siberiani, penetrino nel carcere: a che servirebbe evadere se intorno non c'è assolutamente nulla per tantissimi chilometri? In questo luogo di sofferenza il coraggioso e indomabile Navalny era sottoposto fra le altre cose a un regime di isolamento impressionante, e con qualsiasi pretesto (o anche senza pretesto per chiudere la pratica prima) rinchiuso in una minuscola cella d'isolamento. Tanto era l'odio che Putin provava per lui.
Ma perché Putin provava un sentimento così feroce verso Navalny? In fondo si potrebbe obiettare, i dissidenti in Russia non mancano, anche se la maggioranza della popolazione è con Putin (in parte per convinzione, in parte perché ingannata da una propaganda asfissiante, in larga parte perché rassegnata) e Navalny in fondo era (è cosi infinitamente triste doverne parlare al passato) "solo" il più famoso.
Ma era anche molto più avanti degli altri dissidenti. Sapeva cavarsela con i social, capiva bene il valore di internet, parlava il linguaggio dell'Occidente, colpiva l'attenzione dei giornalisti. Rappresentava bene come avrebbe potuto essere la Russia se l'Occidente fosse riuscita a coinvolgerla in un progetto comune. Forse era un sogno troppo grande, forse abbiamo mancato l'occasione. E su questo si dovrà riflettere.
Comunque sia la Russia ora è il volto di Putin, non quello di Navalny. E invece di relazioni pacifiche si parla di possibile guerra. È probabile che Putin pensasse a questo da anni, al modo di riprendere un pezzo alla volta le varie nazioni che avevano lasciato il vecchio impero prima zarista e poi sovietico.

In questo disegno certo grandioso, ma che non prevede il diritto di opporsi e prendere altre strade (per questo, ma non solo, nel febbraio del 2022 Putin ha scatenato la guerra contro l'Ucraina) un oppositore indomabile e coraggioso come Navalny era veramente un ostacolo da abbattere. Così lo Zar del Cremlino gli ha scatenato contro i giudici le cui sentenze di condanna hanno motivi assolutamente pretestuosi (se fosse vissuto ancora Navalny avrebbe dovuto affrontare ben 40 processi), lo ha fatto minacciare, l'ha fatto calunniare senza tregua dai giornali del sistema, si è persino spinto a tentare di avvelenarlo.
Il 20 agosto 2020 Navalny era su un aereo di linea russo diretto da Tomsk a Mosca. Improvvisamente si sente male (all' epoca aveva 43 anni ed era in buona salute): entra in coma. L'aereo atterra in emergenza a Omsk, dove viene ricoverato nell' ospedale locale. Tutti pensano ad un avvelenamento per opera del FSB, "servizio sicurezza russo" erede del Kgb, che in ripetute occasioni ha eliminato oppositori di Putin all'estero, spesso proprio avvelenandoli con il Novichok , un agente nervino che oltre ad essere mortale ha il pregio di essere poco individuabile.
Navalny presentava proprio i sintomi dell' avvelenamento da Novichok (e in seguito si chiarirà che di questo si trattava) e per salvarlo da morte sicura si mobilitano i governi dell' Occidente che temono giustamente che i servizi russi "finiscano il lavoro". Putin nel 2020 non è ancora pronto ad attaccare l'Ucraina, ha bisogno ancora di tempo, non vuole altre frizioni e accetta a malincuore (sperava che Navalny morisse sull'aereo, ma la dose non era sufficiente) di lasciarlo trasferire in Germania dove lo salveranno per un soffio. Poi Navalny prende la decisione fatale che stupirà il mondo intero: decide di tornare in Russia anche se sa benissimo cosa lo aspetta. Il 7 gennaio 2021 torna in aereo in Russia e a chi gli chiede perché risponde secco: "Dovrei vivere tutta la vita all'estero temendo la vendetta di Putin? No, torno nella madre Russia e lotterò a viso aperto. I russi vedranno che esistono ancora uomini. E se Putin mi ucciderà, e so lo che farà, dovrà farlo apertamente, davanti agli occhi del mondo, qui in Russia. E allora i russi e il mondo sapranno e sarà una gran sconfitta per lo Zar. La mia morte sarà l'inizio della fine per Putin. Se muoio non scoraggiatevi".
Tutto è andato come aveva previsto Navalny.
Ora Putin si è davvero bruciato i ponti dietro di sé. E l'Occidente sa in modo inoppugnabile, di combattere ormai la guerra fra democrazia e totalitarismo. Anche se l'Occidente deve combattere una battaglia al proprio interno per il fascino che continua ad esercitare l'uomo solo al comando.
Le immagini sono tratte da Wikipedia
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