Iveco, Fiat e altro ancora: non era scontato che finisse così...
- La Porta di Vetro
- 1 giorno fa
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Decisive per le ultime cessioni del gruppo all'indiana Tata, le scelte soggettive degli eredi che hanno tagliato il cordone ombelicale con la storia della Famiglia Agnelli e gli interessi del nostro Paese.

Un altro pezzo industriale che se ne va: la proprietà di Iveco Group è passato da Exor alla Tata Motors, il grande gruppo indiano dell'automotive e non solo.[1] Cessione pattuita per la cifra di 3,8 miliardi di euro. Come è stato spiegato ieri, l'accordo non prevede l'acquisizione di Defence Iveco, che sarà ceduto al gruppo Leonardo.[2]
Ora Tata ha un fatturato complessivo di circa 22 miliardi di euro, una metà in Europa, l'altra in India (circa 35%) e Americhe (circa 15%), cui si aggiungono le influenze crescenti sui mercati in Asia e in Africa.
Con la vendita di Iveco, la gigantesca manovra di spostamento degli interessi degli eredi della Famiglia Agnelli può dirsi quasi conclusa. Ciò che rimane delle attività industriali è marginale nell'economia dei dividendi. Il progetto che risale a Gianni Agnelli, però ha preso una piega diversa dal suo primo ispiratore. Le alleanze internazionali per competere sul mercato prefigurate dall'Avvocato vedevano saldamente la Fiat e Torino al centro dell'impero, secondo una visione che era stata resa pubblica già negli anni Ottanta intervistato da Gianni Minoli nella rubrica Mixer. Non a caso, un decennio dopo o quasi, Gianni Agnelli rifiutò la partnership con un gruppo automobilistico tedesco, liquidando la possibilità con una delle sue sferzanti battute: "i tedeschi vogliono comandare". Fu così che ripiegò su General Motors. Una parabola di politica industriale che divenne evidente negli anni di Sergio Marchionne, ma non ancora vissuta come abbandono di Torino e dell'Italia, anche se l'uscita da Confindustria e lo spostamento della sede legale in Olanda non furono letti come segnali propriamente incoraggianti.
Rimanevano infatti i confronti con la controparte sindacale, ad eccezione della Fiom Cgil, e le formule lessicali di propositi (Fabbrica Italia) che premiavano però più il punto interrogativo del comportamento del mercato che la certezza, mentre scorrevano fiumi di cassa integrazione, e le audizioni parlamentari, con relativo sostegno finanziario a fondo perduto dello Stato, a dare la speranza (o l'illusione) che la storia avrebbe camminato sugli antichi binari. Non è stato così. Non poteva essere così. L'assenza di autentici legami personali con il territorio da parte di chi controlla il pacchetto azionario in un mondo stravolto da cambiamenti epocali hanno consigliato la Exor ad allontanarsi dall'antica vocazione industriale per collocarsi nelle prime file nel salotto internazionale della finanza.
Quanto di Iveco (8 mila dipendenti nello stabilimento di via Puglia) e ancora per quanto tempo resterà a Torino? Tata Motors ha assicurato il suo impegno per conservare gli attuali produttivi e occupazionali (13 mila dipendenti). Ma non potrebbe dire altrimenti, secondo prassi. Nessuno fa seguire cattive notizie prima di un acquisto, anche per non mettere in difficoltà chi vende. Per contro, i sindacati hanno anticipato un moto di preoccupazione e richiamato al suo "dovere" istituzionale il governo, mentre osservano con sollievo che il gruppo indiano non ha stabilimenti di veicoli commerciali in Europa e ciò annulla nella sostanza i rischi di sovrapposizioni produttive. Di oggettivo si può aggiungere: meglio Tata Motors con cui Pininfarina, per esempio, ha già avuto un'esperienza costruttiva da socio di minoranza, che ritrovarsi a "dialogare" con un anonimo fondo di investimento come è accaduto per Comau, il vero gioiello industriale, avanguardia tecnologica di Torino.
Rimane in ultimo da osservare proprio Torino che è oramai lo specchio di ciò che non è più la Fiat: una città che si compiace della propria offerta culturale, che attrae turismo e nuove opportunità intellettuali, che ha tra i suoi punti di forza l'Università e il Politecnico e con i vertici delle sue Fondazioni bancarie che si adontano se qualcuno contesta la ritrosia a investire in attività produttive e la classe imprenditoriale che respinge con fastidio qualunque accusa di disimpegno industriale. Insomma, una pagina in bianco tutta da scrivere, sempre che la si voglia scrivere e insieme a chi.
Note
[1] Sommarie notizie degli ultimi decenni su Tata tratte da Wikipedia. "Nel 1984 la Tata inizia la produzione di orologi con il marchio Titan stabilendo una joint venture con la Tamil Nadu Industrial Development Corporation. Nel 1991 diventa presidente Ratan Tata. Nel 2000 acquisisce la Tetley Tea con sede a Londra, nel 2004 rileva la produzione di camion della coreana Daewoo Motors, nell'ottobre 2006 la Tata Steel acquisisce per 12 miliardi di dollari il colosso dell'acciaio anglo-olandese Corus Group,[9] un mese più tardi acquista il Ritz Carlton di Boston per 170 milioni di dollari e nell'aprile 2007 il Campton Place Hotel di San Francisco (60 milioni di dollari). Nel gennaio 2008 rileva Imacid Chemical Company in Marocco, in febbraio General Chemical Industrial Products per 1 miliardo, in marzo acquisisce dalla Ford la Jaguar Cars e la Land Rover, in maggio la Piaggio Aero Industries in Italia (concluso nel 2015), in giugno la China Enterprise Communications".
[2] La vendita è prevista entro il primo trimestre del 2026 e comunque non oltre il 31 marzo 2026.
[3] l’esperienza Pininfarina con Tata è stata costruttiva; lì sono soci di minoranza.