Osservando i nostri tempi
- Domenico Cravero
- 29 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 10 set
Abbiamo necessità dei "riti di iniziazione"
di Domenico Cravero

Gli adolescenti vanno ascoltati e presi sul serio. Compito degli adulti è cercare di interpretare il groviglio delle loro domande, accettando la sfida dell’ambivalenza del nostro mondo e adottando un punto di vista intergenerazionale. Adulti ed adolescenti hanno molto da imparare gli uni dagli altri, anche quando il dialogo e la comprensione non fossero facili.
La possibilità di intendersi e comprendersi dovrebbe alimentare un primo atteggiamento dell’osservatore adulto (o dell’educatore) davanti ai nuovi adolescenti: il riconoscimento delle loro risorse, il rispetto verso l’inedito che essi realizzano, lo stupore nei confronti delle loro innovazioni. Senza l’incontro e l’ascolto, senza il sentimento dell’ammirazione, gli adulti non possono cogliere l’apporto di novità che gli adolescenti rappresentano. Ogni processo di crescita, infatti, ha bisogno di un pubblico riconoscimento, che potrebbe essere considerato come un’espressione, nuova ed efficace, di quei “riti di iniziazione” che le società precedenti praticavano per “far crescere” i figli, chiamarli e introdurli alla condizione adulta.
Una svolta negli stili di vita
Per crescere bisogna separarsi, per sentirsi liberi occorre diventare autonomi. Ci vuole una rottura, sempre dolorosa e traumatica, senza la quale non si percepirebbe il senso dell’irreversibile, del definitivo che è la condizione adulta. Oggi i processi di iniziazione hanno perso un rapporto significativo con la rottura. Si compie una scelta e si diventa responsabili, ci si assume un impegno e non si mantengono aperte tutte le possibilità per l’indefinito. Deve avvenire una svolta negli stili di vita, rinunciando alla condizione di fluttuanti.
L’”iniziazione” oggi non è più celebrata da riti d’accoglienza e di appartenenza. Di questa antica pratica rimangono le prove di coraggio, più rigorose e impegnative del passato, perché più alti sono il rischio e l’angoscia dell’insuccesso. La società non offre più eventi e riti che permettano di raccontare e di realizzare pubblicamente la svolta. L’adolescente può impiegare molto tempo a trovare il suo nuovo ruolo, nel mondo degli adulti. Senza pratiche di riconoscimento, l’”iniziazione” è sostituita dall’adeguamento agli standard sociali, l’ammirazione è scambiata con l’autocompiacimento realizzato nei consumi. Il vuoto dell’approvazione degli adulti, il non sentirsi né chiamati né aspettati, sono subito occupati dal consenso dei pari. L’insuccesso scolastico è compensato dalle prodezze dell’eccesso, dall’ebbrezza della dismisura. Quando la socializzazione degenera, infatti, entrano in azioni nuovi leader che trasformano il fallimento in arroganza e aggressività.
La partecipazione a un gruppo
In assenza della società adulta, il grande protagonista dei riti d’inizio dell’adolescenza è il gruppo dei pari. Nella frequentazione adolescente, l'intensità della relazione familiare è riversata sul gruppo. La socializzazione, anche quando appare superficiale e disimpegnata, è sempre vissuta come un'esperienza impegnativa: è il primo esporsi, fuori famiglia, di un individuo in mezzo ad altri pari. Partecipare a un gruppo, frequentare una compagnia sono scelte che stabiliscono una differenza (tra il proprio gruppo e il resto del mondo), che creano un'identità un "Noi" che si distingue dal resto del mondo ("Loro"). Il gruppo adolescente è quindi potenzialmente conflittuale. Se la situazione non degenera nell'isolamento silente od ostile, tuttavia, è possibile notare una tendenza a disincentivare le rivalità e a ridurre i conflitti. La situazione problematica che sembra oggi prevalere è piuttosto l’indifferenza e l’anaffettività: farsi i fatti propri, non parlare più in casa, ostentare provocatoriamente il disinteresse e la noncuranza, in famiglia e fuori.
Nell’educazione familiare oggi manca l’accompagnamento all’autonomia. Manca l’elemento della rottura, sia in senso pratico che simbolico. È necessario che si colga nello sguardo degli adulti la stima e l’apprezzamento per una ragazza e un ragazzo che rompono con la protezione e le comodità dell’infanzia per avventurarsi, anche con disagio, nel mondo dei grandi. La crisi educativa invece tende a evitare sistematicamente questa esperienza traumatica. “Tutto ciò che è bello è difficile” (Platone); l’educazione lo ha riconosciuto da sempre. È indispensabile quindi una pedagogia dell’incoraggiamento e dell’accompagnamento alla rottura. I genitori devono essere lasciati e riconquistati. Solo nella distanza, il legame si rivela indistruttibile, i punti di riferimento sono perduti e ritrovati, i medesimi eppure non più gli stessi.
Manteniamo viva la speranza collettiva
Molti dei problemi che nella descrizione pubblica raccontano l’attuale fragilità e incertezza dei mondi giovanili (perdita dell’attenzione, disinteresse, secolarizzazione) potrebbero essere più efficacemente elaborati se le famiglie, le scuole, le comunità si attrezzassero per favorire la presa di distanza, l’improrogabilità e l’irreversibilità delle scelte, l’accudimento “fuori dal grembo”. A partire dalla stessa conduzione della frequentazione giovanile, strumento primo ed essenziale. Le direzioni efficaci del sostegno ai gruppi degli adolescenti, infatti, sono due: la promozione della frequentazione e la disincentivazione della chiusura nel gruppo. L’intesa intergenerazionale mira appunto a prevenire la delusione del sogno adolescenziale e a contrastare l’indifferenza e la sua vera causa: la caduta della speranza collettiva che è conseguenza dell’individualismo vincente.
Con questo articolo la rubrica: “Osservando i nostri tempi” chiude per il periodo estivo e riprenderà a settembre













































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