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Motori elettrici e non: l'Italia rimane con il cerino in mano...

di Sergio Cipri


In occasione dell’approvazione da parte del Parlamento europeo della direttiva “talebana” sul divieto di circolazione di auto con motore termico, avevamo provato ad esaminare i vantaggi della decisione per rallentare l’inarrestabile degrado dell’ambiente, ma anche la complessità di sistema per realizzare una trasformazione radicale di una parte consistente del trasporto mondiale. [1]


Il potere delle multinazionali del petrolio

La questione, come ovvio, non è soltanto tecnica, ma incide su questioni economiche e su equilibri geopolitici. E le manovre politiche sono immediatamente partite. I più direttamente minacciati, i Paesi produttori di petrolio, e le compagnie multinazionali che su questo combustibile fossile prosperano, hanno tenuto un basso profilo, lasciando la resistenza ai Paesi più minacciati dalla perdita di posti di lavoro e dal ritardo nell’investire su nuove tecnologie. L’Italia si è subito trovata in prima fila, con dichiarazioni perentorie nello stile muscolare di parte della maggioranza e in sintonia con i Paesi politicamente vicini. Questo gruppo ha potuto contare sull’appoggio del paese industrialmente ed economicamente più forte dell’Unione: la Germania che aveva, come si è visto, uno scopo e una tattica precisa.

Ancora una volta, le trattative per svuotare o almeno attenuare la portata storica di una decisione per molti minacciosa non sono state condotte nell’interesse dell’Europa in un gioco geopolitico ormai planetario, ma per difendere gli interessi dei singoli stati. E qui la scarsa esperienza politica del nostro governo e il peso relativo dell’Italia in Europa hanno contribuito al risultato, che vien oggi formalizzato, poco favorevole al nostro Paese. Doveva essere evidente che sarebbe stato velleitario tentare di bloccare una decisione approvata dal Parlamento europeo dopo mesi di defatiganti riunioni. La Germania ne era ben consapevole, ma ha strumentalmente appoggiato Paesi che, sentendosi spalleggiati dal potente vicino, hanno protestato vivacemente [2].


Gli investimenti della Germania sull'idrogeno

I veti e la conta dei favorevoli o contrari sono un pericolo che, in un sistema che obbliga all’unanimità, i commissari europei devono assolutamente evitare. E quando la intransigenza dei “talebani” si è attenuata la Germania ha fatto la sua mossa e si è sfilata dagli assalitori.

La decisione definitiva che è stata ratificata ha introdotto l’autorizzazione alla produzione di auto con motori a combustione interna, anche oltre il 2035, purché utilizzino e-fuel (nome completo electrofuel), carburante liquido composto da idrogeno, ottenuto dall’acqua per elettrolisi, e anidride carbonica estratta dall’atmosfera [3]. Per considerare questa una scelta a impatto zero è indispensabile che l’energia elettrica (tanta!) necessaria per l’elettrolisi sia esclusivamente prodotta da fonti rinnovabili. Anche l’e-fuel rilascia Co2 nell’atmosfera, ma questa è bilanciata da quella estratta dall’atmosfera stessa per produrre il carburante. Una valutazione dei vantaggi, che prenda in considerazione l’intero ciclo di produzione, distribuzione e utilizzo, non è semplice anche tenendo conto degli alti costi di produzione, almeno al momento.

Chi sta facendo forti investimenti in questa tecnologia è... l'avrete compreso, la Germania. Fonti tedesche affermano peraltro che non è prevedibile in tempi brevi una massiccia disponibilità dell’e-fuel a prezzi competitivi con i carburanti fossili, ma economie di scala potrebbero ridurre significativamente la distanza [4]. Costerà probabilmente sempre più della benzina, ma per salvare la nostra coesistenza con il pianeta, qualche sacrificio si dovrà pur fare.


Le "convinzioni" del ministro Pichetto Fratin

I Paesi produttori di petrolio osservano con attenzione. Hanno ben presenti due verità. La prima: i combustibili fossili sono presenti in natura in abbondanza e a costi bassi, sono facili da trasportare e utilizzare in qualunque parte del mondo. Soprattutto nei Paesi emergenti la loro vita sarà ancora lunga e soddisfacente. La seconda: una transizione a livello mondiale alle energie rinnovabili non è attuabile se non parzialmente con l’eolico e il fotovoltaico. Con la fame di energia in crescita la convivenza con il nucleare e il fossile durerà a lungo. In particolare è difficile ipotizzare che tutta l’energia elettrica necessaria per la produzione dell’e-fuel e per l’alimentazione dell’auto elettrica possa venire dalle fonti rinnovabili. Il petrolio, ad onta delle nostre migliori intenzioni, accompagnerà ancora a lungo il nostro cammino.

Intanto l’Italia, come titolano alcuni giornali, è rimasta con il cerino in mano.[5] Ha infatti proposto inutilmente di estendere l’eccezione anche ai biocarburanti, prodotti, come dice il nome, da coltivazioni biologiche (mais ad esempio) e da biomasse. Il processo produttivo è molto più semplice e la natura ecologica di questo carburante molto più intuitiva. L’ENI ha fatto consistenti investimenti in questo settore e probabilmente dovrà ripensare alle sue scelte strategiche.

Stiamo quindi rinunciando ad un tipo di combustibile ecologico e a basso costo semplicemente per effetto di politiche economiche e posizioni di potere? L’Italia non ci sta, nonostante le affermazioni del Commissario Timmermans che considera chiuse le contrattazioni, ma il ministro Gilberto Pichetto Fratin afferma che l’e-fuel richiederà ancora 10 anni per essere un’alternativa valida, mentre i biocarburanti sono già pronti [6]. La storia continua...


Note


[3] https://www.efuel-alliance.eu/efuels/what-are-efuels

[6] https://www.ilsole24ore.com/art/auto-negoziati-ue-non-verranno-riaperti-biocarburanti-esclusi-AEmRaOAD





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