Auto elettrica, un cambiamento inevitabile
di Sergio Cipri
Finalmente, o purtroppo, a seconda delle contrastanti opinioni, è accaduto. Il Parlamento europeo ha approvato il bando delle auto con motori a combustione interna dal 2035 [1]. Non è stato un plebiscito (340 voti a favore contro 279 contrari e 21 astenuti).
I motivi principali dichiarati a sostegno di una decisione per certi versi dirompente sono due: contribuire alla riduzione dell’inquinamento mondiale ed eliminare una causa di morte per chi abita nei centri urbani soffocati dal traffico privato. La valutazione del reale contributo di questa decisione alla riduzione a livello planetario è di grande complessità, chiamando in causa il peso relativo dell’Europa e aspetti non direttamente collegati ai carburanti ma, a titolo di esempio, la produzione e lo smaltimento delle batterie. Relativamente meno complesso l’aspetto del miglioramento delle condizioni di vita negli ambienti urbani, che possiamo valutare empiricamente guardando, ad esempio, la coltre di smog dalla collina della mia città, Torino.
Il quadro generale dei trasporti
I trasporti [2] consumano un terzo di tutta l’energia finale nell’Unione Europea. La maggior parte di questa energia proviene dal petrolio. Attualmente i trasporti sono responsabili di oltre un quarto delle emissioni totali di gas a effetto serra nell’UE e non è prevista, in assenza di interventi, un’inversione di tendenza. Autovetture, furgoni, camion e autobus producono oltre il 70 % delle emissioni di gas a effetto serra generate dai trasporti. Un semplice calcolo dice quindi che il trasporto su ruota è responsabile del 18% del gas serra prodotto in Europa.
L’obiettivo è azzerare questa quota passando alla trazione elettrica. L’energia elettrica necessaria per sostituire i derivati del petrolio utilizzati dal parco automobilistico europeo deve essere prodotta per trasformazione di altre forme di energia. La scommessa è utilizzare energie rinnovabili (eolico, fotovoltaico). Attualmente la produzione di energia elettrica dipende ancora per più del 60% dai combustibili fossili. Se l’incremento di energia elettrica necessaria dovesse essere prodotto ancora dal fossile avremmo solo spostato la produzione di inquinanti da individuale diffuso a industriale concentrato. Se ne avrebbe comunque un piccolo anche se trascurabile vantaggio, perché l’efficienza di un grande impianto è sicuramente maggiore di quella di numerosi motori termici. Il passaggio a trazione elettrica porterebbe comunque un innegabile vantaggio per la qualità dell’aria nei centri abitati ad alta densità di popolazione e di mezzi di trasporto individuale, ma il contributo alla salute complessiva del pianeta rimarrebbe comunque limitato.
Le conseguenze industriali
Il motore elettrico, oltre ad avere una efficienza energetica molto più alta di quello a combustione interna (80% contro 25/30%), è molto più semplice, come è del tutto evidente anche al profano che aprisse il cofano di un’auto elettrica. Questo significa meno componenti, più semplici, meno costosi, più durevoli. Impianti di produzione meno complessi e costosi, meno manodopera per la produzione ma anche per l’assistenza e la manutenzione. Una riduzione certa di posti di lavoro. Ma c’è una evidenza ancora più preoccupante per un sistema industriale dell’automotive che non si è adeguato (come quello italiano) o non si adeguerà rapidamente: il mix di componenti, materiali e tecnologie per produrre l’auto elettrica si sposta dalla meccanica (dove siamo decisamente forti) all’elettronica, alle batterie, ai metalli rari, al litio, dove siamo fortemente dipendenti dall’estero e, nel caso delle batterie – fondamentali – il gap con la Cina è pressoché incolmabile. L’allarme sulle conseguenze in termini di perdita di posti di lavoro per l’Europa e in particolare per l’Italia è concreto.
Le infrastrutture
“Fare il pieno”, con un’auto a benzina o diesel richiede pochi minuti e l’autonomia è mediamente di 500-800 chilometri. Al confronto la ricarica delle batterie di un’auto elettrica richiede tempi che variano fortemente in base alla corrente di carica sopportabile dalla batteria e alla potenza elettrica erogabile dalla stazione di ricarica. Scordiamoci la possibilità di utilizzare i 3KW dell’impianto domestico. E i produttori che promettono ricariche in 40 minuti si guardano bene dal dichiarare il livello di ricarica raggiungibile e soprattutto la potenza necessaria per ottenere quel risultato. Anche l’autonomia rimane decisamente più bassa (pochi modelli superano i 400 Km).
La conseguenza di uno sviluppo forzato e accelerato dell’auto elettrica comporta importanti investimenti in infrastrutture: stazioni di ricarica nei distributori di carburanti, lungo le strade, in molti esercizi pubblici, in case private unifamiliari, in autorimesse pubbliche e condominiali. Senza parlare della necessità di potenziamento delle centrali elettriche e della rete elettrica nazionale per fare fronte al forte aumento dei consumi elettrici.
Le conseguenze per l’Europa e l’Italia
Secondo gli avversari della decisione l’Europa si fa male da sola. Il contributo alla lotta contro la crisi climatica globale sarà irrilevante mentre gli inquinatori in tutto il mondo, Cina in testa, continueranno a bruciare idrocarburi. Quanto alla Cina poi, maggior produttore mondiale di batterie per auto elettriche, detterà a suo vantaggio il costo della transizione.
La levata di scudi – soprattutto italiana - contro la decisione fa leva su alcune certezze che vanno verificate. La perdita di posti di lavoro in Italia – innegabile - nel settore automotive, viene stimata, non si sa su quali dati, in 70.000 unità. Si tratta di un fenomeno ricorrente conseguente a ogni cambiamento innescato dalla introduzione di nuove tecnologie. Nel periodo 2008-2018, ad esempio i posti di lavoro persi silenziosamente – con l’introduzione dell’home banking - soltanto nelle banche italiane sono stati 64.000 [3]. Per contro va anche tenuta presente la creazione di posti di lavoro per l’adeguamento delle infrastrutture che consentiranno la transizione all’auto elettrica. Uno studio (fonte Eurostat BCG) [4] stima in 300.000 i posti di lavoro potenzialmente creati in Europa entro il 2030.
Ma che cosa accade nel resto del mondo?
Il trend è irreversibile. La sola Cina, conclamato paese inquinatore, è quello con la più alta potenza elettrica installata nel mondo [5], ha oggi in circolazione più di 6 milioni di auto elettriche, su più di 16,5 milioni nel mondo ed entro il 2030 si prevede che la Cina produrrà da sola più batterie per le auto elettriche della somma della produzione di Stati Uniti, Germania e Giappone.
Uno studio di S&P Global (Standard & Poors) prevede che la quota di auto elettriche circolanti in Europa nel 2030, a fronte delle decisioni prese, sarà del 27%, la stessa della Cina, mentre gli Stati Uniti si fermeranno al 17% [6]. Possiamo quindi affermare che, al netto della nostra avversione per le imposizioni, la decisione europea non è una fuga in avanti ideologica imposta dalle sinistre ma in sintonia con un trend mondiale.
Che fare?
Abbiamo teoricamente davanti 12 anni di tempo, molti meno per adeguare le nostre filiere produttive e le infrastrutture di supporto. La ricerca tecnologica ci ha abituati a progressi a volte impressionanti capaci di accelerare trend apparentemente difficilmente modificabili. La transizione al trasporto elettrico è una sfida che richiede un rapido miglioramento su due fronti. Primo: le batterie da installare a bordo che devono avere maggiore capacità a parità di peso e maggiore rapidità di ricarica, secondo: la maggiore quota di fonti rinnovabili per produrre l’energia elettrica necessaria.
A questo proposito è interessante un articolo recentemente uscito sul New York Times [7] a firma di David Wallace Wells che analizza, con ricchezza di dati e documenti, la straordinaria risposta dell’Europa nel superare una crisi energetica inizialmente valutata come catastrofica e liberarsi dalla dipendenza dal gas russo. In particolare viene citato con ammirazione mista a sorpresa l’incremento, in un anno, del 20% di utilizzo di energia da fonti rinnovabili. Perché questo signore risulta, a detta di chi scrive, particolarmente affidabile? Perché è l’autore del libro “la Terra inabitabile” dove descrive, anche qui con ricchezza di documenti, la deriva inarrestabile verso la distruzione del nostro pianeta.
Bilancio conclusivo
Il Parlamento europeo ha approvato la decisione di vietare, dal 2035, la produzione di motori per auto a combustione interna. Non è stato un plebiscito: i voti favorevoli superano di poco la somma dei contrari e astenuti. Ma se avrà l’approvazione definitiva sarà legge. La circolazione di veicoli elettrici è una realtà mondiale in costante crescita. Non si torna indietro. Molti Paesi hanno investito e stanno investendo per essere preparati e competere in uno scenario dove intere filiere produttive scompariranno per essere sostituite da altre completamente diverse. La competizione è inevitabilmente mondiale.
Che cosa farà l’Italia, sorpresa in cronico ritardo da questa non del tutto inaspettata decisione? Quello che fa sempre davanti alle decisioni Comunitarie. Aspettare, sperare che la cosa venga rallentata, magari sine die, protestare, minacciare veti (è cronaca), chiedere deroghe o almeno sussidi invocando la specificità italiana (quale?), prolungare il più possibile la sopravvivenza di imprese avviate all’estinzione.
Oppure, invece di farsi sbranare, cavalcare la tigre. L’Italia vede emergere le sue doti migliori quando è sull’orlo del precipizio. Se vogliamo scommettere, in un momento di ottimismo, che le fonti rinnovabili avranno, nei prossimi anni, un ruolo crescente (IEA – International Energy Agency – prevede il raddoppio della potenza elettrica da fonti rinnovabili fra il 2022 e il 2027 [8]), la transizione all’auto elettrica è una prospettiva da cogliere. Ma sappiamo di partire in ritardo e il tempo è poco. La clessidra è stata capovolta e la sabbia scorre velocemente. Meno tempo perdiamo per esorcizzare il futuro e meglio sarà.
Note
1[]https://www.rainews.it/articoli/2023/02/auto-inquinanti-addio-parlamento-ue-vota-ok-definitivo-nuove-immatricolazioni-2035-a6363a2c-43f6-413f-a259-e57371dd727f.html
[2]https://www.eea.europa.eu/it/themes/transport/intro
[5]pag.19] https://dgsaie.mise.gov.it/pub/sen/relazioni/relazione_annuale_situazione_energetica_nazionale_dati_2021.pdf
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