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Corrispondenza tra due amici nel XXI secolo/4

L'impatto sul lavoro e su "cose" simili con l'applicazione dell'IA


a cura di Sergio Cipri e Pietro Terna


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Anche la quarta puntata è preceduta da un breve sommario. Questa volta lo abbiamo affidato a Nova (nome che abbiamo concordato con “lei”) la nostra Assistente IA, nome in codice ChatGPT-5. Di seguito il risultato.

In questa puntata il dialogo tocca un tema cruciale: la fine del lavoro. Dall’invenzione della ruota fino all’Intelligenza Artificiale Generativa, ogni progresso tecnologico ha ridotto il bisogno di lavoro umano, spostando le competenze dalle persone alle macchine. Oggi la sfida è più radicale: l’IA erode non solo i mestieri manuali o ripetitivi, ma anche quelli ad alto contenuto intellettuale. Attraverso esempi concreti – dall’e-commerce ai rider sottopagati, dallo sciopero di Hollywood alla concentrazione della ricchezza in poche mani – emerge un quadro inquietante ma stimolante: se l’IA cancella i lavori di medio e alto livello, quale futuro ci attende? Le risposte possibili spaziano dalla tassazione dei robot alla riduzione degli orari di lavoro, fino all’idea di una nuova rivoluzione sociale fondata sul reddito universale e su grandi investimenti collettivi nella ricerca (un “CERN dell’IA e del cervello”). Il confronto si arricchisce con riferimenti a Ricardo, Marx, Hannah Arendt e persino a WALL·E, aprendo domande provocatorie: È sostenibile una società in cui i beni hanno sempre meno “lavoro” al loro interno? Come preservare dignità, equità e senso nella convivenza umana? Che ruolo devono avere politica, etica e ricerca per accompagnare questo cambiamento? Un invito a guardare oltre i luoghi comuni e a interrogarsi su un futuro in cui la tecnologia ci libera dal lavoro, ma ci obbliga a reinventare la società.

In questo scenario l’IA avrà inevitabilmente un ruolo sempre più dominante. Siamo sicuri di saperla, noi, dominare? Mikhail Belkin, in un articolo inquietante che trovate citato nelle righe finali della conversazione (è in inglese, ma leggetelo, magari tradotto proprio dalla IA) dice: la cosa sconvolgente è che questi modelli hanno comportamenti che noi, che li stiamo sviluppando, non sappiamo spiegare. La fantascienza, già molti anni fa, aveva visto tutto. Buona lettura!

La Porta di Vetro


Conversazione del 5.3.24 ore 16:00

 

Caro Pietro,

 

entro con comprensibile esitazione su questo argomento delicatissimo e di incerta previsione. Questo è sicuramente il tuo campo e quello che io posso tentare di fare, prima di tornare al nostro tema principale dell'intelligenza artificiale, è di contribuire alle tue considerazioni con qualche ragionamento da osservatore attento, ma certo non esperto.

Il processo che porterà, forse, alla fine del lavoro è iniziato moltissimo tempo fa, addirittura dall'invenzione della ruota. Da tutti gli strumenti che hanno in qualche modo aumentato oppure migliorato l'utilizzo della forza fisica, riducendo così il numero di lavoratori umani necessari per ottenere un certo risultato. Il vapore, il motore elettrico, il motore a scoppio, hanno semplicemente moltiplicato le risorse a disposizione. Queste tecnologie per lungo tempo hanno riguardato soltanto il lavoro manuale rivoluzionando i processi produttivi nell'agricoltura e nell'industria.

Semplificando, abbiamo dovuto attendere l'arrivo del computer perché lo stesso fenomeno si estendesse al lavoro d'ufficio e quindi al, chiamiamolo pure, lavoro intellettuale. Fino a quando i computer sono rimasti confinati all'interno degli uffici il processo di riduzione del lavoro non ha assunto dimensioni importanti. Ha però progressivamente avviato un fenomeno silenzioso e potenzialmente letale: il trasferimento delle competenze professionali dagli impiegati e dai tecnici ai programmi informatici contenuti nei computer. Il lavoro d'ufficio si è progressivamente impoverito di competenze e gli addetti sono diventati nel tempo semplici esecutori di comandi sulla tastiera dei loro terminali, perdendo la competenza e la consapevolezza dei processi che stavano gestendo e rendendo possibile la fase successiva.

Il vero salto di qualità che ha accelerato il fenomeno della fine del lavoro è legato alla diffusione delle reti di telecomunicazione e di Internet. Se la competenza relativa ad un certo servizio è stata incorporata nei programmi dei computer diventa superfluo un intermediario che lavora in ufficio semplicemente per inserire meccanicamente comandi da una tastiera: lo può fare abbastanza facilmente l’utilizzatore finale del servizio, e per di più senza spostarsi da casa. Questa trasformazione è parte di un fenomeno diffuso che è la riduzione dei passaggi lungo la filiera che collega il fornitore di un bene o di un servizio all'utilizzatore finale.

Dall'automazione dei caselli autostradali al pagamento dei pedaggi, dai parcheggi al prelievo di contante da sportelli automatici all’home banking, al commercio elettronico in rapido aumento, verifichiamo che sempre più spesso l'utilizzatore finale è diventato autonomo nella fruizione del servizio. Queste modifiche hanno comportato evidentemente la scomparsa di tutta una serie di operatori una volta indispensabili. Poiché questo fenomeno riguarda potenzialmente buona parte della popolazione mondiale il risultato ha raggiunto dimensioni macroscopiche. Lo stesso criterio spiega la progressiva scomparsa dei negozi di prossimità a beneficio dei supermercati e del commercio elettronico. Ma le reti di telecomunicazione e Internet colpiscono anche la grande distribuzione e ad esempio l'ingresso di Amazon nel campo alimentare  sta portando a una situazione di potenziale crisi anche per i grandi supermercati.

La rivoluzione industriale ha concentrato in relativamente pochi gruppi, sempre più potenti, la produzione di beni una volta offerti da un diffuso artigianato. La semplificazione delle reti di distribuzione di beni e servizi ha comportato la concentrazione in poche mani dei sistemi di fornitura con conseguente trasferimento dei costi e ricavi di filiera, prima distribuiti su un numero elevato di operatori, in profitti a beneficio di poche organizzazioni che hanno in mano il controllo.

Questa concentrazione tende ad eliminare la concorrenza prima esercitata dai piccoli esercizi: la grande dimensione riduce il costo di produzione e di approvvigionamento e contemporaneamente aumenta l’utile. Parte di questo utile viene impiegato per ridurre il prezzo di vendita, uccidendo la piccola concorrenza e consentendo l'accumulo di grandi ricchezze nelle mani di pochi. La intollerabile distanza fra pochi individui, società, Stati, ricchi, e un resto del mondo sempre più povero contribuisce, sommato al saccheggio del pianeta, a spiegare fenomeni quali migrazioni di massa o guerre locali che rischiano progressivamente di diventare guerre mondiali.

L’intelligenza artificiale generativa promette (minaccia) di abbattere rapidamente la barriera del lavoro intellettuale ad alto contenuto tecnico. Un piccolo aneddoto che può essere rivelatore: un amico, socio di un importante studio legale, collabora con uno studio equivalente negli Stati Uniti su una causa internazionale delicata e complessa. Per produrre il suo contributo alla documentazione si fa aiutare da ChatGPT, il nostro Chiacchierone. Gli americani rispondono: ”vero che avete utilizzato l’IA?”. “Come avete fatto a capirlo?”. “Perché è la prima volta che riceviamo da voi un documento di livello così alto!”

Mi sto accorgendo che sto cedendo alla tentazione narcisistica di fare il tuttologo e quindi, prima di rischiare la banalità, restituisco la parola a chi può parlare con competenza ed esperienza. Stiamo avvicinandoci ai 9 miliardi di abitanti su questo pianeta e “la fine del lavoro”, anche se su un arco temporale non ancora devastante, non è più un argomento da fantascienza. Ce l’hai un modello previsionale sufficientemente attendibile?

 

14.3.24, ore 15:30

 

Caro Sergio,


in realtà un modello l’ho fatto, non previsionale, anche perché credo poco alle previsioni riferite a fenomeni complessi come quello di cui ci stiamo scrivendo. Ho fatto, nel 2019, un modello per ragionare del problema. Lo puoi trovare, e lo stesso potranno fare i nostri lettori, a http://www.netlogoweb.org/launch#http://ccl.northwestern.edu/netlogo/community/RicardoMarx_v_0_97.nlogo e, scorrendo lo schermo verso il basso, cliccando poi su Model Info, trovi le spiegazioni a proposito di che cosa fa e come usarlo. Trovi anche i riferimenti a David Ricardo e a Karl Marx, che a inizio e a metà ‘800, si occupano del superamento del lavoro per via delle macchine. Poi non è successo perché i bisogni da colmare erano ancora tanti; ora la situazione, nei paesi ricchi, è totalmente diversa; nei paesi poveri per ora il problema della sostituzione del lavoro non si pone, diamo tempo al tempo. Che cosa dice il mio modello, che ipotizza la possibilità, per le imprese, di sostituire i lavoratori con degli iper-produttivi robot e con delle ultra iper produttive intelligenze artificiali? Dice che il sentiero è strettissimo, al limite: chi può acquistare i prodotti delle macchine se non c’è lavoro per garantire il reddito dei potenziali compratori?
Proviamo a riflettere, con sotto gli occhi, ad esempio, lo sciopero di Hollywood del luglio 2023 – certo non il primo nella storia del cinema americano – che ha avuto una motivazione nuovissima ed è proprio quella dello scontro con l’intelligenza artificiale che toglie lavoro a tutti, dai creativi, agli operatori e ai tecnici, agli stessi attori che rischiano di vedere clonate le proprie prestazioni. Quello di Hollywood è un caso estremo? Non è forse vero che la storia ci racconta che le innovazioni hanno eliminato lavoro, ma ne hanno creato altrettanto? La differenza questa volta sta negli andamenti qualitativi, con la crescita relegata al solo lavoro povero, mentre l’IA accelera la caduta del lavoro di medio livello; successivamente aggredirà, come testimonia il tuo aneddoto, quello di alto livello. Esistono analisi molto raffinate, o molto complesse, che tengono conto dell’ultima ondata di IA e analizzano i contenuti delle diverse attività per grado di esposizione all’automazione intelligente. Al di là della complessità delle analisi, si scopre che poche attività di medio o alto livello sono fuori pericolo.
Se l'IA cancella progressivamente i middle skill e poi aggredisce gli high skill, ci attende un futuro da manovali, a meno che si avvii un profondo ripensamento sociale. La trappola del lavoro dequalificato e sottopagato è pericolosissima.
Il prezzo basso genera servizi che altrimenti non esisterebbero. Penso ai rider che portano la pizza a casa. Se dovessimo pagare il servizio dieci euro torneremmo a andare di persona a ritirarla. Obiezione: così il fattorino non guadagnerebbe i due euro, o meno, che gli dà il pizzaiolo. Ecco la trappola terribile che genera il lavoro sottopagato, scommettendo sul fatto che legioni di residenti, e soprattutto di immigrati, siano pronti a sopportare questo sfruttamento. Dialogo che vorrei vedere stampato su manifesti a spese del Governo, della Confindustria e dei Sindacati unitariamente: “Non trovo nessuno che accetti di fare il lavoro che gli offro”! “Hai provato a pagarli il giusto”? A quelle condizioni possiamo operare per un’emigrazione che diventa una scelta per lasciare condizioni peggiori, non un destino terribile per chi deve fuggire guerre, catastrofi, schiavitù. Braccia aperte per chi arriva, ma non per sfruttare altre persone.
Prima di provare a ragionare sulle possibili risposte al cambiamento che sta per ribaltare tutte le regole della convivenza fondata sulle attuali strutture economiche, che tra l’altro noi dell’occidente ancora ben nutrito vorremmo esportare al Mondo intero, ricordiamoci del secondo grande cambiamento in arrivo: l’invecchiamento della popolazione. Non nella stanca Europa o in Giappone o in Cina, ma in prospettiva ovunque. Già ora la Cina segnala poco più di un nato per donna; l’India, ora al primo posto come popolazione, è poco sopra 2. Certo, la Nigeria è ancora oltre 6 e crescerà ancora molto, ma c’è un momento in cui il diffondersi di un minimo di benessere e di conoscenza produce il cambiamento. Osserviamo l’Italia: nel 1900 si registravano 4,5 nati per donna, le famiglie con 5-6 figli erano comunissime; ora siamo a 1,24. La diffusione del cambiamento nella prima parte del secolo scorso è stata lentissima, ora tutto muta a velocità straordinaria, anche in Africa.
Si vive di più e la popolazione diventa via via più anziana, facendo crescere il totale dei vivi; ma intanto aumentano anche le morti in ciascun periodo, sino a superare il numero dei nati che contemporaneamente decresce. Ecco come si individua quando il numero dei viventi si stabilizza. Successivamente inizierà a decrescere, come già sta accadendo da noi, e allora il problema sarà molto complicato da risolvere: se tutti sono anziani, chi produce cibo, cure, assistenza, organizzazione, macchinari e strumenti, sperando che intanto si sia abbandonata la produzione di armi?
Si può anche provare ad accelerare l’arrivo del punto di pareggio, come ha fatto la Cina con la sua feroce politica demografica di un unico figlio per famiglia, introdotta nel 1979, ma poi lo squilibrio diventa drammatico: il peso degli anziani e la mancanza di giovani stanno gravemente compromettendo quella società. La prospettiva per il lavoro, pensando alla accelerazione del cambiamento ora in corso, ci pone di fonte a varie possibilità, che tengano conto della potenziale massiccia perdita di posizioni lavorative. Cerchiamo di definire alcuni punti.
Tassare i robot: è la proposta del fondatore della Microsoft Bill Gates, sin dall’inizio del 2017; ora è da integrare, estendendo il concetto di robot a ogni dispositivo intelligente che compia qualsiasi tipo di lavoro: è un modo marginale di affrontare il problema, forse una soluzione temporanea, certo non una scelta strutturale. Tassare i robot, IA compresa per quel che produce, equivale a tassare il capitale, cosa del tutto legittima, ma in una prospettiva di vera rivoluzione copernicana occorre cambiare gli schemi di riferimento, non adattarli.
Ridurre gli orari di lavoro: scelta che va nella giusta direzione, riprendendo una tendenza che si è arrestata. Dopo l’accelerazione della legge Aubry del 1997 sulle 35 ore, sempre in Francia è arrivata la svolta opposta del 2005, mantenendo le 35 ore come riferimento, ma consentendo accordi sino a 13 ore in più, che fa 48, con un vero e proprio balzo indietro. Solo molto recentemente sono comparsi in Europa esperimenti di riduzione di orari di lavoro su un numero ridotto di giorni, accompagnati o no da forme di lavoro da casa, non sempre così smart. Si tratta di forme che non riguardano però l’esercito dei precari e dei finti autonomi, per cui quello del minor tempo di lavoro è un cambiamento culturale che deve permeare la società.
Quindi un quadro di enorme incertezza che richiede conoscenze che non sono materialmente disponibili, rendendo difficilissimo gestire la transizione in modo costruttivo, mentre in prospettiva serve una autentica rivoluzione sociale, nell’organizzazione della convivenza e negli atteggiamenti verso il lavoro. Un punto di riferimento è il lavoro della filosofa, o scienziata politica come voleva essere considerata, Hannah Arendt. Nel suo libro “The Human Condition”, del 1958, tradotto in italiano con il titolo “Vita activa. La condizione umana”, nel 1964 per i tipi di Bompiani (raccogliendo limitata attenzione all’epoca in Italia), la riflessione è riferita al ruolo del lavoro nella società, anticipandone con assoluta chiarezza il cambiamento di presenza e contenuto. Straordinario il ragionamento:
La libertà dal lavoro in se stessa non è nuova; un tempo era uno dei privilegi più radicati di pochi individui. E da questo punto di vista può sembrare che il progresso scientifico e l’evoluzione della tecnica siano stati impiegati solo per conseguire ciò che tutte le generazioni passate avevano sognato senza poterlo realizzare. Tuttavia è così solo in apparenza. L’età moderna ha comportato anche una glorificazione teoretica del lavoro, e di fatto è sfociata in una trasformazione dell’intera società in una società di lavoro. La realizzazione del desiderio, però, come avviene nelle fiabe, giunge al momento in cui può essere solo una delusione.
Tirando provvisoriamente le fila: la prospettiva, anche se lontana ma vogliamo ragionare minimo a venti anni, è quella di una società che deve completamente riconfigurare il valore dei beni (merci e servizi) tenendo conto del loro decrescente contenuto di lavoro. È già accaduto, ad esempio con la modernizzazione dell’agricoltura. Senza andare molto lontano, si consideri la produzione del riso in Piemonte e che cosa è accaduto in mezzo secolo. Ora accade in modo accelerato e per attività impensabili sino a ieri o all’altro ieri. Da un lato dovranno diminuire i prezzi, di tutto; dall’altro dovranno rafforzarsi forme di reddito universale finanziato dall’immenso guadagno di produttività del capitale produttivo, di cui non può essere data per scontata la proprietà solo privata. Tutto ciò non può che accadere, non sappiamo in quale prospettiva di tempo e con quali modalità nella trasformazione. Mentre accade, con la velocità che i nostri pronipoti potranno misurare ex post, gli equilibri di una vita sociale accettabile all’interno dello scenario geopolitico mondiale, devono essere salvaguardati.
Per questo, chi si occupa di futuro e di intelligenza artificiale non deve solo limitarsi a rincorrere le tensioni momentanee, ma concorrere a costruire il futuro. Il tema immediato e centrale è quello della politica della ricerca per l’Europa. L'Europa nel suo complesso spende molto più di un miliardo di euro all'anno per la gestione del CERN, l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare, il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, posto al confine tra la Francia e la Svizzera, alla periferia ovest della città di Ginevra. Per non dimenticarci: il web come lo conosciamo, è nato lì.
Servono altri due “CERN”: uno per i farmaci, la cui ricerca di base deve essere aperta, senza il privilegio dei brevetti e senza segreti e esclusioni per i medicamenti. L’esperienza della pandemia dovrebbe averci convinto che serve un enorme sforzo collettivo per affrontare i problemi che stanno alla base del progresso della medicina. L’altro “CERN”, quello che ci interessa qui, è da dedicare allo studio dell'IA e del cervello a 360 gradi: ricerca e realizzazioni, considerando congiuntamente società, democrazia, etica. IA e cervello insieme perché esistono risultati che mostrano la straordinaria similarità tra reti neurali artificiali e reti naturali. Quindi lo studio in parallelo dei due aspetti, investendo in modo concentrato molto molto di più di quanto impiegato, senza risultati significativi, nello Human Brain Project, finanziato tra le flagships della ricerca europea purtroppo minato dalle controversie tra i team di ricerca. Al momento, con grande zelo, il Parlamento Europeo, fa regolamenti. A che cosa servano lo sa nessuno. Hanno stabilito che sono considerati ad alto rischio i modelli che richiedono più di 10 alla 25 flops (Floating point Operations Per Second) per essere addestrati… “10^25? no, 10^26…, che faccio, lascio”?
Mentre mi permetto di scherzare, riguardiamo il film d'animazione WALL•E del 2008: lì, gli esseri umani vivono in un mondo completamente automatizzato. I robot artificialmente intelligenti, che assumono forme meravigliosamente diverse, sono responsabili di tutto il lavoro produttivo. Le persone ingrassano, stanno in poltrona e guardano la televisione. È un futuro possibile?
Prima di rilanciarti la palla, un “articoletto” pubblicato dalla MIT Technology Review il 4 marzo scorso: “Large language models can do jaw-dropping things. But nobody knows exactly why”, si trova a https://www.technologyreview.com/2024/03/04/1089403/large-language-models-amazing-but-nobody-knows-why/, propone le cose sbalorditive (jaw-dropping things) che nessuno sa perché avvengano, con l’IA, naturalmente. Uno degli studiosi che intervengono nell’articolo, Mikhail Belkin, informatico della University of California a San Diego, pensa che potrebbe esserci un modello matematico nascosto nel linguaggio e che i grandi modelli linguistici in qualche modo riescono a sfruttarlo: Pura speculazione, ma perché no? Il fatto che questi strumenti formino modelli del linguaggio è probabilmente una delle scoperte più grandi della storia. Che si possa imparare il linguaggio semplicemente prevedendo la prossima parola con una catena di Markov (probabilità concatenate), afferma Mikhail Belkin, per me è semplicemente sconvolgente.
Se lo è per lui, figurati per me.


Continua/4

1 commento


Cari amici, quello che è sotteso nel vostro ragionamento e che secondo me andrebbe seriamente posto in discussione, è il ruolo della politica in questa storia. E non intendo solo il compito di frenare o accelerare genericamente lo sviluppo dellIA e delle sue applicazioni potenzialmente pericolose per la società. Intendo che va fatta una riflessione profonda sul cambiamento sociale indotto dalla tecnologia “guidata dal capitalismo”. Lo stesso tipo di ragionamento ( ne fossimo capaci) fatto da Marx ed Engels nell’epoca della I rivoluzione industriale, tanto acito da prefigurare con esattezza glu sviluppi della II rivoluzione industriale. Raginamento proseguito con diverso vigore da molti altri studiosi. Bisogna scardinare il meccanismo che consente uno sviluppo autoreferenziale della tecnologia e comprenderne la natura…

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