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Un libro per voi: "Il suicidio di Israele" di Anna Foa

  • Vice
  • 15 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 5 ore fa

di Vice


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Un governo appena decente avrebbe dovuto, di fronte all'eccidio del 7 ottobre, preoccuparsi in primo luogo degli ostaggi. Avrebbe dovuto, nella sua politica verso i palestinesi, distinguere i terroristi di Hamas dai palestinesi dell'ANP, e attuare immediatamente una politica nei confronti di questi ultimi volta ad isolare Hamas, non a farne crescere la reputazione come il baluardo della resistenza. Questa non è stata la politica di questo governo. E come avrebbe potuto, se l'unico suo obiettivo è sbarazzarsi dei palestinesi e creare la grande Israele, voluta da Dio. Rileggiamo a pagina 80 le parole di Anna Foa nel suo Il suicidio di Israele,[1] che ha visto la luce nell'ottobre dello scorso anno. Pensieri drammaticamente attuali il giorno dopo l'attacco missilistico in due tempi all'ospedale Nasser di Gaza e a un vicino insediamento che ha provocato la morte di una ventina di persone e di sei giornalisti e nel giorno, a partire dalle 6.29 (l'ora del raid di Hamas del 7 ottobre) delle manifestazioni organizzate dalle famiglie degli ostaggi che si registrano in tutto il Paese con blocchi stradali e corteo che il quotidiano israeliano Haaretz riassume con l'eloquente titolo Le famiglie degli ostaggi invitano il pubblico a scendere in piazza: "Netanyahu ha scelto di sacrificare i civili per il suo governo, ma il popolo può restituire gli ostaggi".  

Il suicidio di Israele è completo e Anna Foa porta il lettore a osservarlo da vicino, ad analizzarlo molto da vicino, senza infingimenti, quando scrive, sempre a pagina 80:

Da quasi un anno, mentre gli ostaggi muoiono e l'esercito va smentendo ogni giorno la leggenda della sua efficienza e tanti, troppi soldati muoiono anche per fuoco amico, Netanyahu e i suoi ministri insistono in questa politica. La trasformazione di Israele in un paese autoritario avanza, la polizia attacca ogni manifestazione di dissenso, le prigioni sono piene di cittadini arabo-israeliani e dei Territori detenuti senza processo, le dichiarazioni razziste dei ministri si moltiplicano, non senza conseguenze sulla società tutta.

Le conseguenze sono appunto il suicidio collettivo, e non soltanto quello di quei soldati dell'IDF che hanno scelto di togliersi la vita dinanzi alla carneficina compiuta quotidianamente sul popolo palestinese. Come è potuto accadere? È la domanda che opprime l'umanità, cui Anna Foa non rimane insensibile. E nel ripercorrere la storia di Israele, dall'avvento del sionismo prima della seconda guerra mondiale, alla Shoah e alla formazione del primo embrione d'organizzazione statuale, sceglie di riflettere affidandosi pudicamente al dolore che la circonda, lei ebrea, dal massacro del 7 ottobre e dalla distruzione della Striscia di Gaza (oggi si è al 690° di attacchi ininterrotti). Riflessioni che non contemplano le scuse ipocrite e ciniche del criminale Netanyahu - "è stato un tragico incidente" - per la malvagia azione sull'ospedale Nasser, ma che tuttavia sono in grado di tentare, cercare di spiegarle, seguendo Israele passo dopo passo nella sua tragica involuzione politica e sociale, toccando i fili della storia con i doverosi distinguo sulle conseguenze, siano essi effetto delle guerre (dal 1948 ad oggi), sia della complessa ricerca della pace (gli accordi di Oslo del 1993, l'assassinio del premier e premio Nobel per la Pace Yitzhak Rabin nel 1995) per traguardare lo sguardo sull'identità ebraica, complicato e complesso capitolo del libro che poggia le sue radici sullo Yishuv, cioè sull'insediamento" degli ebrei in Palestina antecedente alla formazione dello Stato di Israele nel 1948, luogo d'incontro di ebrei eguali e diversi, per cultura ed esperienze, in cui si realizza il processo di assimilazione destinato ad annullare le diversità accogliendo nel seno di un'unica nuova storia la diaspora millenaria e la memoria della Shoah. Processo che Anna Foa espone con estrema chiarezza consapevole in primo luogo della complessità, sopra richiamata, a partire dalle origini della società israeliana e dall'aspetto antropologico della "spaccatura fra religiosi e laici" (pag. 55), oggi anche un serio problema di democrazia interna, alla frattura tra gli ebrei della diaspora (in particolare quella europea) e cittadini di Israele fino alla questione letta con le lenti (non progressive, purtroppo) dei profughi palestinesi e del significato della Nakba che si trasforma in duratura identità palestinese, ma di segno contrapposto.

Lo sarà per sempre o esiste una possibilità di dialogo anche per identità e memorie? è la domanda che si pone in chiusura di capitolo Anna Foa andando incontro con evidente trepidazione alla speranza coniugata al coraggio di non nascondersi la successiva domanda: "Ma è possibile conciliare la memoria che con la giustizia nel momento in cui una delle due vittime è anche vittima dell'altra, come nel caso dei palestinesi?".


Note

[1] Anna Foa, Il suicidio di Israele, Editori Laterza, 2024

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