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"Progetto M.O.I.", la vittoria della perseveranza di Nosiglia

di Guido Tallone


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Domani, venerdì 29 agosto alle 15.30, si svolgeranno nel Duomo di Torino, presieduti da monsignor Roberto Repole, i funerali di Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e amministratore apostolico di Susa fino al 2022. L'ultimo saluto sarà preceduto dalla veglia funebre di stasera alle 21 al Santuario della Consolata, dove dalle 15,30 di oggi pomeriggio viene aperta la camera ardente. Un ricordo di monsignor Cesare Nosiglia è stato annunciato dalla Diocesi di Susa per domenica 31 agosto alle ore 15.30 in una celebrazione eucaristica nella cattedrale di S. Giusto, presieduta da monsignor Alfonso Badini Confalonieri.

Guido Tallone, all'epoca Operatore Progetto M.O.I., ha voluto tracciare in memoria di Cesare Nosiglia scomparso ieri, un passaggio forse trascurato o dimenticato della sua intensa attività negli anni di episcopato a Torino a favore degli ultimi, dei poveri, appunto il Progetto M.O.I., una soluzione che permise di dare un'abitazione decorosa e nel rispetto della legalità a centinaia di famiglia di migranti. Un esempio di semplice quanto raffinata capacità nel gestire senza clamore i bisogni impellenti di una parte, quanto nel superare con discrezione le paure e le diffidenze dell'altra.[1]


Ciao Cesare,

hai deciso di lasciarci in punta di piedi: a fine agosto e prima che inizi la tumultuosa e impegnativa ripresa dell’anno sociale. Per non disturbare. E per non caricare di altri impegni chi ne ha già molti. Anche nel chiudere gli occhi su questo mondo sei rimasto fedele al tuo stile: attento agli altri, delicato e discreto.

Qualcuno ha scritto che hai sofferto per il fatto che da Roma non ti sia stato concesso il titolo di Cardinale. Per chi ti ha conosciuto è difficile da credere. Non hanno ancora scritto – però – che il titolo di “benedetto del Padre mio” che il capitolo 25 di san Matteo consegna – alla sera della vita – a chi si è fatto carico degli ultimi, è indubbiamente tuo. Anche perché là dove c’erano “fratelli” poveri, disoccupati, cassintegrati, immigrati, carcerati, nomadi o esclusi vari Tu c’eri (sempre) ed eri in mezzo a loro e con loro per chiedere speranza, dignità e diritti.

Per qualcuno eri evangelico e profetico. Per altri eri un po’ esagerato. Profondamente convinti che non è compito della chiesa occuparsi in prima persona dei poveri. Tu, incurante delle critiche, sei rimasto fedele al guidare la Tua chiesa nel solco tracciato da Gesù Buon Samaritano.

Gli esempi sono infiniti. Credo meriti di essere citato, però, e come modello di lavoro sociale ed ecclesiale, il tuo straordinario impegno – da protagonista e da mediatore – per gestire la spinosa e complessa occupazione delle Palazzine collocate nell’area dei vecchi mercati ortofrutticoli di Torino (area M.O.I.) che sono state utilizzate per accogliere gli sportivi e i giornalisti delle Olimpiadi invernali 2006. Chiusi i giochi olimpici quelle palazzine sono state “abbandonate” dalle Istituzioni e – come spesso succede – sono state “occupate” da immigrati disposti a tutto pur di avere un tetto sulla testa.

In poco tempo in quei locali disabitati si sono ammassati 1500 persone provenienti da tutte le parti del mondo. Condizioni di vita: molto precarie. Illegalità assoluta. Difficilissima convivenza tra gli stessi occupanti e nessuna integrazione con il quartiere che ha percepito quella “occupazione” come una aggressione alla propria sicurezza. Notevoli rischi anche sul versante della sicurezza (allacci elettrici volanti, stufe precarie per difendersi dal freddo, totale mancanza di igiene, etc.).

Che fare?, si sono chiesti in molti. E tanti hanno invocato l’esercito per “spazzare” via quella massa assolutamente anomala di “stranieri” (la più grossa occupazione d’Europa) da una città caratterizzata dalla tradizionale eleganza sabauda.

Tu, caro Cesare, non ti sei lasciato sedurre dalle sirene della forza, della legalità imposta con l’esercito e ti sei speso perché il “problema” fosse gestito “insieme” (come proponeva il Tuo predecessore, il cardinale Michele Pellegrino) da tutte le forze del territorio: città di Torino, Città Metropolitana, Regione, Prefettura, Questura, Diocesi, Ufficio Migranti, Parrocchie, Fondazioni Bancarie ed altri Enti disposti a scommettere sul fatto che legalità e accoglienza possono restare unite.

Se il grande Tavolo che ha gestito l’intero Progetto MOI è partito ed ha operato per oltre due anni per riportare quella emergenza al piano ordinario dell’accoglienza, è stato anche merito tuo, caro Cesare. Dare un nome, un cognome e una scheda anagrafica ad ognuno di quei “fratelli” immigrati è stato il primo passo: ciò che ha impedito – però – di trasformare l’“altro”, bisognoso di accoglienza, in un nemico anonimo da cacciare.

Dal nome alla lista dei bisogni il passo è stato breve: problemi di documenti e di permessi (quanti incontri e quanti amici avvocati ci hanno aiutati!), questioni sanitarie, lavoro, casa, sistemazioni provvisorie, ma anche scuola (quante lezioni per preparare l’esame di terza media nella struttura che ha accolto la Città dei Ragazzi!). E Tu – Cesare – sempre presente. Per inventare soluzioni, per mettere a disposizione di questi “fratelli” immigrati strutture storiche della diocesi ormai disabitate e vuote (penso, tra i tanti, al Seminario di Viale Thovez 45 che ha accolto decine di sacerdoti oggi impegnati nella nostra Diocesi).

Ti rivedo seduto davanti agli amici immigrati (non più anonimi e con tanto di nome e cognome) che ti chiedono di tutto. E Tu che ascolti, che rispondi, che ti confronti con loro e che consegni loro speranze concrete.

Oggi la gestione dell’accoglienza del Progetto Moi è Storia, ma è anche un modello di accoglienza nel segno della giustizia, della legalità e della nonviolenza. Un Laboratorio che ha visto lavorare insieme forze diverse accomunate dall’unico obiettivo del restituire speranza e dignità chi la vita aveva messo (e spinto) oltre i margini della dignità. La quasi totalità di quei 1500 immigrati ha ritrovato la via della legalità e della speranza. Quasi tutti hanno trovato lavoro dove gli italiani non vogliono lavorare (penso ai Cantieri navali, nei contesti agricoli, all’interno di lavori usuranti, etc.) e molti di loro riconoscono al Progetto M.O.I. lo snodo che ha reso possibile la ripresa e il cambiamento.

E Tu sei pronto, adesso, Cesare, ad incontrare quel Re che serve e che vuole dirti:

Vieni, benedetto del Padre mio, ricevi in eredità il regno preparato per Te fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e mi hai dato da bere, ero straniero e mi hai accolto, nudo e mi hai vestito, malato e mi hai visitato, ero in carcere e sei venuto a trovarmi”.

Grazie Cesare per quanto hai fatto e per il Tuo prezioso insegnamento.


Note


[1]Si ringrazia per la foto @lavoce e il tempo. Il settimanale della Curia torinese la pubblicò il 6 agosto del 2018, insieme con un intervento di monsignor Cesare Nosiglia, che scrisse:


Sono lieto che la vicenda del Moi, almeno per una palazzina, si sia conclusa positivamente, grazie alle tante persone coinvolte nel Progetto promosso dagli agenti istituzionali: Comune, Regione, Prefettura e Questura, Diocesi di Torino e Compagnia di San Paolo.

L’impegno di tutti è stato un fattore decisivo per avviare il Progetto e portarlo a compimento collaborando sempre insieme e d’accordo. È un «esempio di stile» importante...

[...] Posso confermare che il percorso avviato e che si snoderà anche nei prossimi anni risponde all’insegnamento di Papa Francesco che nel messaggio per la giornata dell’immigrato indicava alcuni passi da compiere.

[...] Ma l’accoglienza anche abitativa non basta a garantire una vita serena e dignitosa. Occorre procedere poi con l’accompagnamento, l’integrazione e la condivisione.

Accompagnamento vuole dire sostenere il progressivo inserimento nella nostra società...

L’integrazione comporta soprattutto il superamento di ogni ghettizzazione delle persone...

Infine la condivisione che considera ogni persona in grado di dare e non solo di ricevere...

Mi auguro che questo risultato possa ottenere un «effetto volàno», che avvii anche a soluzione il problema delle altre palazzine del Moi, e diventi un modello di riferimento per tante altre situazioni del genere. Non penso solo agli immigrati ma ai milioni di poveri, ai giovani, a chi subisce uno sfratto incolpevole, a chi vive sulla strada, a chi è solo e abbandonato a se stesso… insomma ad ogni persona che soffre e sollecita il coinvolgimento e la solidarietà di tutti.

 

                                                                                        

                                                                            

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