Migranti: nel silenzio si è certi che il problema non esista
- Marta Bernardini
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di Marta Bernardini

Le ultime ventuno, di quasi settecento persone sbarcate da stanotte, sono arrivate a Lampedusa oggi, 8 settembre, poco dopo mezzogiorno. Donne, uomini e bambini sbarcati tra mille paure, dopo essere stati anche mitragliati, con tutta probabilità, da una motovedetta libica, forse una di quelle cedute dallo Stato italiano libica. L'imbarcazione, posta sotto sequestro per un'analisi dei danni, secondo quanto riferito da alcune agenzie, era partita da Zuara. Dall'inizio dell'anno sono oltre 45 mila i migranti che hanno toccato suolo italiano, cifra di poco superiore a quella dello scorso anno (44.271) contro i 115.402 del 2023. A Marta Bernardini, coordinatrice di Mediterranean Hope – Programma Rifugiati e Migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Porta di Vetro ha chiesto di tracciare un bilancio su quest'estate e sull'evoluzione del fenomeno migratorio.
Da oltre dieci anni che la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, con Mediterranean Hope, il suo programma rifugiati e migranti, è sull’isola di Lampedusa. Ogni anno è stato diverso dall’altro: ci sono stati periodi di grande visibilità e altri di silenzio, momenti in cui arrivavano tante famiglie, poi solo uomini, poi anche donne e minori, periodi in cui gli arrivi dalla rotta libica erano prevalenti, poi dalla Tunisia, mesi di grossi barconi di legno, poi barchette in ferro pericolose e fatiscenti. Ci sono stati anni in cui in mare si salvavano più vite possibile, in cui le Ong non erano osteggiate e collaboravano con le istituzioni, e poi più recentemente la criminalizzazione del soccorso in mare, barche ferme nei porti invece che a salvare vite. Quello che non è mai cambiato è che la rotta del Mediterraneo rimane quella più attraversata, e anche la più mortale.
Ora, in questa prima decade di settembre, tiriamo le fila degli ultimi mesi e ci chiediamo: che estate è trascorsa? L’estate in cui meno se ne parla, meglio è. Nonostante politiche migratorie sempre più rigide e muscolari, orientate a non fare arrivare le persone, bloccandole nei deserti, nelle carceri libiche, respingendole in mezzo al mare, finanziando accordi e mezzi per impedire le partenze, le persone tentano comunque la via del Mediterraneo, perché l’alternativa è peggiore di quella del viaggio. La propaganda politica usa i numeri quando vuole: ebbene, a noi risulta che solo quest’estate le persone arrivate a Lampedusa siano anche superiori allo scorso anno. Allora, meglio che non se ne parli affatto.

Il 13 agosto sono arrivate più di 20 salme nella piccola isola delle Pelagie e altrettante persone sono risultate disperse. Si è aperta una flebile luce sull’accaduto, per un paio di giorni si è parlato di questo ennesimo naufragio, dei morti, qualche politico ha perseverato nello spostare l’attenzione su altri colpevoli: che siano i trafficanti, le Ong, o addirittura chi incautamente metterebbe a rischio la vita dei propri figli, secondo alcuni commentatori. L’evento di agosto non è stata una sorpresa, ogni morte è stata una morte annunciata, della quale i governi europei hanno la responsabilità. Non serve spostare il discorso altrove. E per qualche giorno, a ridosso di Ferragosto, Lampedusa è tornata in scena, con i corpi, con troppi pochi nomi. Ma la strategia rimane quella di parlarne meno possibile: se non ne parli, il “problema” non esiste. Così anche quel naufragio rimane incorniciato in un istante immobile, senza un prima e un dopo. Prima c’è il non avere altra scelta, non avere sufficienti vie legali e libertà di movimento.
Come Federazione delle chiese evangeliche siamo state tra le prime realtà ad attivare corridoi umanitari, ma certo, come diciamo da sempre, non bastano e neanche possiamo testimoniare che in questi anni i governi europei si siano adoperati per ampliare vie legali di accesso, come abbiamo sempre chiesto. In quanto Chiese protestanti e società civile facciamo la nostra parte, ma quando arriverà il turno, reale ed efficace, della politica?

E poi c’è un dopo. Quando si spengono i riflettori su quel singolo naufragio, su quei morti indistinti senza storia e senza nome, altre cose accadono. Arriva qualche familiare, disperato ma ancora speranzoso, dopo giorni senza notizie dei loro cari. Rivendicano il diritto di sapere, di vedere, di identificare i corpi dei loro parenti, una sorella, un nipotino. Vogliono decidere dove seppellirli, nel rispetto della propria fede o credo religioso, sapere dove poterli piangere. Così quel dopo è fatto di dolore, di lungaggini burocratiche, di attese, di incertezze. Ma esiste. Esistono le persone con le loro storie e noi troppo abituati a non volerle vedere.
L’estate a Lampedusa, che non è ancora finita, è tutt’altro che silenziosa. Esiste chi parte ed è fortunato ad arrivare, esiste chi non arriverà mai, chi verrà ritrovata e seppellita con l’amore dei suoi cari, esiste chi non avrà mai un nome. Noi ci prendiamo la responsabilità di fare del nostro meglio per non smettere di testimoniarlo e raccontarlo, attendiamo il tempo in cui anche l’Europa e i suoi stati membri facciano lo stesso.