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Lo sblocco dei licenziamenti è un grave danno per il Paese

Aggiornamento: 12 gen 2023

di Alessio Ferraris

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Il recente articolo del professor Pietro Terna mi offre l’opportunità di ritornare su uno dei punti più dolenti di questo particolare momento storico per il nostro Paese: la decisione di sbloccare i licenziamenti. Un provvedimento che ha visto oggi i sindacati manifestare oggi davanti a Montecitorio. Il perché è semplice: il mondo del lavoro non si arrende e proseguirà la mobilitazione per chiedere al presidente del Consiglio Mario Draghi di prorogare al 31 di ottobre, anziché sospendere al 30 giugno, il divieto di licenziare nelle imprese medio e grandi. Nelle altre realtà più piccole, in modo particolare del Commercio, del Turismo e dell’Artigianato, che utilizzano solo ammortizzatori in deroga, il divieto cessa invece il 31 ottobre. Il motivo della richiesta è chiaro: dare la possibilità di licenziare prima di avere riformato gli ammortizzatori sociali è sbagliato e controproducente perché creerebbe una vera bomba sociale. Ci troveremo con quasi 600mila i lavoratori (stima purtroppo attendibile di Bankitalia) che perderanno il posto di lavoro. Queste persone avranno un sostegno al reddito? Potranno accedere alla pensione? Riforma, quella previdenziale, annunciata e necessaria, dato che il Governo Draghi ha deciso, in linea con il governo Conte, di cessare la sperimentazione di Quota 100. Noi diciamo che non può essere, per le ragioni che ho evidenziato, un sostanziale ritorno alla Legge Fornero. Per questo abbiamo avanzato proposte in merito, ritenendo che 41 anni di contributi o 62 anni di età possano essere più che sufficienti per maturare il diritto alla pensione; così come non è più rinviabile un’attenzione alle donne, alla maternità e alle giovani generazioni. Dico anche che sarà necessaria la coerenza tra le due riforme. La durata degli ammortizzatori sociali e l’accesso alla previdenza devono essere tra loro armonici. Diversamente avremo un numero elevato di lavoratori che si troveranno senza reddito e senza pensione. Il disastro provocato dalla Legge Fornero con i quasi 400 mila “esodati” e le conseguenti otto salvaguardie, pretese da Cisl, Cgil e Uil, sono costate alla collettività molto di più di ciò che sarebbe costato affrontare con gradualità l’allungamento dei tempi di accesso alla pensione. Evidentemente, la lezione non è bastata. Nonostante tutto ciò, rispetto alla nostra motivata richiesta di prorogare il divieto di licenziamento, la risposta del ministro Orlando e del presidente Draghi è stata negativa. Dal 1° luglio le aziende potranno licenziare, mentre le riforme degli ammortizzatori sociali e della previdenza si faranno in autunno, prima del varo della Legge di Bilancio. Le possibili, pesanti, conseguenze sono un’assunzione di responsabilità che il Governo si prenderà nei confronti del Paese.


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