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La Posta della Porta di Vetro. L'IA in attesa di Marx ed Engels Un appello dalla Cisgiordania

Aggiornamento: 13 set

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Sull'articolo Corrispondenza tra due amici nel XXI secolo/4 L'impatto sul lavoro e su "cose" simili con l'applicazione dell'IA in https://www.laportadivetro.com/post/corrispondenza-tra-due-amici-nel-xxi-secolo-4

la lettrice e collaboratrice del sito Dunia Astrologo scrive: 


Cari amici, quello che è sotteso nel vostro ragionamento e che secondo me andrebbe seriamente posto in discussione, è il ruolo della politica in questa storia. E non intendo solo il compito di frenare o accelerare genericamente lo sviluppo dellIA e delle sue applicazioni potenzialmente pericolose per la società. Intendo che va fatta una riflessione profonda sul cambiamento sociale indotto dalla tecnologia “guidata dal capitalismo”. Lo stesso tipo di ragionamento (ne fossimo capaci) fatto da Marx ed Engels nell’epoca della I rivoluzione industriale, tanto da prefigurare con esattezza gli sviluppi della II rivoluzione industriale. Ragionamento proseguito con diverso vigore da molti altri studiosi. Bisogna scardinare il meccanismo che consente uno sviluppo autoreferenziale della tecnologia e comprenderne la natura profonda. Non possiamo “semplicemente” prendere atto che nel medio periodo l’IA e le sue applicazioni renderanno superfluo un enorme ammontare di forza lavoro. Dobbiamo capire dove si generano i profitti che rendono molto appetibili gli investimenti nella filiera dell’IA e quali forze antagoniste o competitive si fronteggiano in questo campo e, se la si pensa come la penso io, sfruttare quelle contraddizioni e contemporaneamente immaginare e proporre un modello alternativo di società che utilizzi il grandissimo potenziale tecnologico per far progredire l’umanità, piuttosto che distruggerla!

( dixi, et salvavi animam meam)


Le risponde Pietro Terna:


Certamente: uniamo le forze per portare l'attenzione a discutere di quello, possiamo essere una squadretta... Ci mancano Marx e Engels...



In questi giorni circola sui social un toccante appello di Giovanna della comunità della Piccola Famiglia dell'Annunziata di Ma'in, vicino al confine con la Cisgiordania, che credo sia opportuno divulgare. La Comunità è stata fondata da don Giuseppe Dossetti. Il Superiore generale è fra Paolo Barabino.


Appello al cuore di tutti i fratelli e le sorelle. Perdonatemi se vi scrivo ancora — è la terza volta. Ma lo faccio con il cuore sempre più pesante. Le notizie che arrivano sono ogni giorno più dolorose, più atroci. Ieri sera Netanyahu ha approvato un nuovo attacco su Gaza, per “distruggere tutto”. Io non ce la faccio più a restare ferma. La mia coscienza mi tormenta, perché questo restare inerti — questo non fare nulla — ci rende complici.

Complici di un genocidio.

Mi è stato detto più volte: “Tanto non serve a nulla”. Ma questa frase è intrisa di una rassegnazione che non possiamo più permetterci. È un grido disperato che paralizza ogni possibilità di agire.

E invece dobbiamo credere che ogni gesto di verità, ogni preghiera pubblica, ogni appello sincero possano rompere l’assuefazione, risvegliare le coscienze — e forse anche spingere chi ha potere a muoversi.

Non possiamo cedere alla logica dell’impotenza. Non possiamo tacere.

Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente.

Non mi do pace al pensiero che da parte delle comunità religiose non sia nata alcuna iniziativa concreta. Forse perché ci siamo abituati a pensare che la testimonianza debba essere “interiore”, “silenziosa”, “nascosta”. Ma oggi, davanti a una tragedia di queste proporzioni, non c’è nulla di più scandaloso del silenzio religioso. Forse si teme di “esporsi troppo”, di “entrare nel politico”, di “rompere gli equilibri”. Ma non può esserci neutralità davanti a un genocidio. O si è complici, o si sceglie la verità. E oggi, la verità urla dalle macerie di Gaza. Decine di migliaia di morti, bambini mutilati nel corpo e nell’anima, ospedali distrutti, famiglie cancellate.

Tutto questo accade nel silenzio — o nella complicità — di molti poteri, anche religiosi. Non basta più dirsi “in preghiera”. Non basta condannare “la violenza in generale”. Dove siamo noi, mentre un popolo viene annientato? Dove sono le nostre comunità, le nostre diocesi? Dove sono le parole profetiche? Dove sono i gesti concreti? La Chiesa non è una un’organizzazione fra le altre,, né un’istituzione neutrale: è il Corpo di Cristo. E allora, forse è arrivato il momento di mettere il nostro corpo accanto a quello crocifisso dell’umanità. Non possiamo restare lontani dal pianto degli innocenti.

Vi supplico ancora di prendere contatto con le comunità sorelle, con altre comunità religiose. E ancora vi ripropongo quello che da mesi mi sembra l’unico gesto possibile: radunare un centinaio tra religiose e religiosi, e andare a Roma, davanti al Quirinale, a pregare giorno e notte, a leggere i Salmi e il Vangelo. A chiedere con la forza mite della preghiera che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi a Israele, che si rompano i legami economici con chi porta avanti un’opera di annientamento.

E poi, andiamo anche in piazza San Pietro, con cartelli semplici, diretti, che chiedano al Papa di muoversi: di andare a Gaza, di condannare pubblicamente Israele, di lanciare appelli incessanti perché i Paesi occidentali si mobilitino per fermare il genocidio. Stiamo lì, giorno e notte, a leggere i salmi e il Vangelo. Se la nostra arma è la preghiera, allora è il momento di usarla in modo visibile. Ma se a qualcuno avesse una idea migliore ben venga, ma non possiamo rimanere tranquilli nei nostri conventi.

Forse anch’io mi sento stanca, scoraggiata, delusa. Ma la mia coscienza non mi lascia in pace. E un giorno i nostri figli — o i bambini sopravvissuti di Gaza — ci chiederanno: «E tu, dov’eri?» Vi prego: fate girare questa lettera a tutti i fratelli e le sorelle e anche alle comunità sorelle. Pregate per me.


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