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La guerra asimmetrica tra Hamas e Israele pagata con la vita di 13mila palestinesi

di Michele Corrado*


Le ultime cifre sono lo specchio di un dramma senza fine per il popolo palestinese: sono oltre 13.000 i morti a Gaza dall'inizio della guerra, dal 7 ottobre. Secondo il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres il numero di civili uccisi nella guerra di Israele contro Gaza è "senza precedenti" da quando è entrato in carica nel 2017. E a chi gli ha chiesto, oggi, 20 novembre, la ragione per la quale non denuncia come crimini di guerra lo Stato di Israele, ha replicato di non averne il mandato, ma ciò non toglie, ha aggiunto, che migliaia di bambini sono stati uccisi in poche settimane. Una situazione che è simile a un girono infernale. Come ha dichiarato un portavoce dell'Organizzazione mondiale della sanità all'emittente televisiva al Jazeera, tutti i bambini, stanno "combattendo gravi infezioni e continuano ad aver bisogno di assistenza sanitaria". La stessa fonte ha affermato che un gruppo di 28 bambini prematuri di Gaza è stato evacuato da un ospedale all'interno dell'enclave palestinese assediata in Egitto per ricevere cure, secondo le riprese della televisione egiziana e un medico dell'ospedale palestinese. "I bambini mi sono arrivati dall'ospedale al-Shifa. Erano in condizioni catastrofiche quando sono arrivati qui", ha detto il dottor Mohammad Salama, capo dell'unità neonatale dell'ospedale di maternità Al-Helal Al-Emirates a Rafah, nel sud di Gaza.

Intanto, la Casa Bianca, afferma che avanzano i negoziati per ottenere il rilascio dei prigionieri detenuti a Gaza.

Stamane, una soluzione sembrava quanto mai prossima, dopo le voci che indicavano la possibilità di cinque giorni di tregua in cambio del rilascio di 50 ostaggi e della contemporanea scarcerazione di altrettanti detenuti palestinesi. Ipotesi sfumata non appena la televisione egiziana ha annunciato che dalle "11 di lunedì mattina" ci sarebbe stato un periodo di "calma" per la smentita arrivata da Tel Aviv.[2]

Gli Stati Uniti insistono nel tessere la loro trama diplomatica per ridurre le distanze tra le parti e offrire una soluzione positiva. Il presidente Biden, nel giorno del suo 81° compleanno, confida di riuscire a superare lo stallo in cui si è avvitata la difficile trattativa, condizionata dal "no" del premier israeliano Netanyahu. Ma nei commentatori americani sembra prevalere la preoccupazione di un conflitto che produce odio senza limiti, ulteriormente segnato, ha scritto il New York Times "da un'incomprensione da entrambi le parti [in cui] si è persa la capacità di vedersi come esseri umani"[3].

Una disumanità proiettata dal teatro di una guerra asimmetrica tra il più potente esercito dell'area mediorientale e il braccio armato dell'organizzazione di Hamas. Dello scontro, Michele Corrado traccia un bilancio militare ad un mese e mezzo dall’incursione dei miliziani palestinesi in territorio israeliano.


Pur se con circospezione, le Forze Armate israeliane hanno prima “ripulito” e compreso nel dettaglio cosa era accaduto nei propri territori per poi passare ad effettuare operazioni all’interno della Striscia di Gaza.

Avendo necessità di adeguate forze, hanno prima costituito vaste riserve e stabilizzato la frontiera nord con il Libano al fine di evitare ulteriori sorprese; contemporaneamente hanno iniziato una pesante campagna di bombardamenti su obiettivi già noti della striscia di Gaza, a supporto di azioni offensive condotte con unità di terra per “saggiare” il livello delle unità di Hamas all’interno del loro territorio.

Il problema dei prigionieri detenuti da Hamas ha sempre accompagnato lo svolgimento di tali azioni che sono risultate essere puntuali e selettive.

Due pare siano gli aspetti caratterizzanti il modo di operare delle Forze israeliane: la sicurezza dei propri uomini (ad oggi sono dichiarati caduti 64 soldati) e lo sforzo principale dedicato all’agglomerato urbano di Gaza city con particolare attenzione alla rete sotterranea di tunnel che la caratterizza.

Non va poi dimenticata la continuità dell’azione che non consente ai miliziani di Hamas di avere pause o spazi ove sottrarsi alle azioni offensive israeliane.

Gli israeliani, non avendo forze sufficienti per investire l’intera striscia simultaneamente da nord e da sud, hanno preferito dividerla in due e concentrarsi sulla metà superiore, certi di fare risultato contro le strutture di Hamas e dei suoi componenti presenti all’interno di Gaza city.

Contemporaneamente hanno lasciato la possibilità ai suoi abitanti di abbandonare la città per dirigersi a sud verso il confine con l’Egitto.

Il piano, finalizzato alla distruzione fisica dei componenti di Hamas e delle sue infrastrutture, delinea la volontà di far sgomberare dalla popolazione residente Gaza city per poi distruggerla sistematicamente.

Le milizie di Hamas trovano il loro terreno di resistenza nel territorio urbano ed hanno realizzato una vasta rete di tunnel che decuplica l’abitato, usandolo come schermo protettivo assieme ai suoi residenti.

Obiettivo degli israeliani è la distruzione della minaccia di Hamas, affinché quello avvenuto lo scorso sette ottobre non possa ripetersi. Pertanto, è necessario che, non disponendo di profondità territoriale che consenta di gestire quel tipo di minaccia, si passi alla distruzione di chi esercita la minaccia e del contesto territoriale che lo consente.

Per ottenere tali risultati è necessario disporre di tempo e di Forze dedicate specialistiche; più passano le settimane, maggiore diventa la capacità delle unità delle Forze Armate israeliane di condurre con successo ed in tempi minori tali tipi di azione. È una sorta di training on job che, essendo condotta con minime perdite porterà all’ingaggio completo delle forze ostili ed alla loro fisica distruzione.

Le continue richieste di pause da parte di Hamas confermano questa ipotesi; loro agiscono all’interno di una “scatola” operativa dalla quale è possibile uscire, forse e con difficoltà, solo dal lato sud. Iniziano a rendersi conto che sono rimasti soli, nessuno li supporta nella pratica e sono destinati a perire definitivamente, anche se non in tempi brevissimi.

Per lo Stato israeliano è impossibile convivere con tale minaccia terroristica permanente; è quindi gioco forza, prima procedere all’eliminazione della minaccia, poi alla determinazione del futuro della Striscia di Gaza.


* Col. in Ausiliaria Esercito Italiano


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