"L’oro nero è nelle biomasse se lo trasformiamo in Biochar"
- Andrea Ferrari
- 28 set
- Tempo di lettura: 6 min
Un traguardo per ridurre l'inquinamento: intervista a Mauro Giorcelli, ricercatore al Politecnico di Torino
di Andrea Ferrari
“Fra qualche anno in ogni cortile ci potrà essere un pirolizzatore, in cui le persone svuoteranno il cesto dell’umido, e dopo un’ora avranno prodotto syngas e biochar; con il primo potranno contribuire al riscaldamento delle loro case e produrre energia, con il secondo potranno fare una miriade di cose, oppure venderlo a tutti coloro che ne avranno bisogno: e saranno in tanti”.

Questa in estrema sintesi e con tutte le limitazioni del caso il pensiero di Mauro Giorcelli, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Applicate e Tecnologia (DISAT) del Politecnico di Torino, docente di Fisica, con la preziosa collaborazione dei suoi colleghi tra cui Mattia Bartoli, chimico industriale e ricercatore presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). A loro spetta il compito di condurre le ricerche su un materiale che si configura come uno dei nodi da cui partire per riprogettare buona parte degli elementi di utilizzo quotidiano, senza dimenticare che la sua principale dote consiste nella capacità di sequestrare carbonio, contribuendo così a uno dei nostri principali obiettivi futuri.
Un sistema per eliminare le emissioni di C02
“Il Biochar in Italia è ancora poco conosciuto. Tutte le volte che ne parlo con qualcuno non del settore ricevo immediatamente stupore quando ne decanto le proprietà, a cui poi segue sempre la solita domanda: dove posso trovare qualcuno che lo produce? Oppure: ma perché non lo fanno tutti? Io devo sempre frenare gli entusiasmi: il Biochar ad oggi in Italia è prodotto da pochissime aziende e in modo assolutamente non sufficiente alla domanda di materiale che ci sta per travolgere. Ma poi arrivo con una buona notizia: finalmente qualcuno sta iniziando ad intuire le possibilità di business, e vedo segnali incoraggianti in alcuni settori dove le biomasse di scarto, che rappresentano un costo non indifferente di smaltimento per alcune aziende, iniziano ad essere valorizzate. Per citare un esempio concreto sto seguendo le sperimentazioni di una società che a breve sarà in grado di produrre biochar da lolla di riso, una biomassa che è sempre stata considerata uno scarto e che normalmente veniva incenerita producendo CO2. Dobbiamo capire che se bruciamo qualcosa, che sia lolla di riso oppure il carburante della nostra auto, produciamo gas serra, di cui il principale è la CO2”.
Apparentemente il processo tramite il quale una biomassa invece di trasformarsi in cenere diventa BIOCHAR è molto semplice. È sufficiente applicare energia sotto forma di calore, tramite una resistenza elettrica ad esempio, impedendo all’ossigeno (O2) di intervenire nel processo, ed evitando così che si possa combinare con il carbonio, per creare la famigerata molecola CO2, una delle principali fonti di incubo per chi abita questo bistrattato pianeta. Questo processo è chiamato pirolisi.
Recupero degli scarti degli alberi
Facciamo un esempio concreto di biomassa: un albero. Un albero “respira” CO2 e rilascia O2 tramite la fotosintesi. La molecola di carbonio C rimane intrappolata all’interno dell’albero trasformandosi in rami e foglie. Quando guardiamo un albero dobbiamo immaginare che esso è composto, tra le varie sostanze, anche da tutto il carbonio che ha “respirato” durante la sua vita. Ad un certo punto l’albero viene tagliato. Il tronco e i rami più grandi possono essere utili per fare ad esempio sedie e tavoli: anche questi infatti sono concentrati di carbonio che il nostro albero ha “respirato”. Ma nella lavorazione per ottenere sedie e tavoli, ci sono molti prodotti di scarto: ad esempio i rami più piccoli, le foglie, la segatura che produciamo tagliando l’albero. Anche questi prodotti di scarto sono concentrati di carbonio tanto quanto il tronco e i rami più grandi.

Se bruciamo queste biomasse di scarto il carbonio reagisce nuovamente con l’ossigeno producendo CO2. Anche le sedie e i tavoli, giunti a fine vita, se vengono bruciati producono CO2. Il messaggio, dunque, è: piantiamo senza dubbio alberi, e facciamolo consapevolmente, occupandoci anche della loro crescita e del loro benessere futuro, ma facciamo di tutto perché il regalo che quotidianamente ci propongono, in termini di ossigeno, non venga un giorno reso vano a causa di una mancata consapevolezza, ad esempio bruciando l’albero e reimmettendo CO2 in atmosfera.
L’alternativa qual è? Non bruciamo l’albero, la segatura, i prodotti della sua lavorazione ma pirolizziamo e trasformiamo le biomasse in biochar. Il biochar non è nient’altro che il concentrato di carbonio che il nostro albero ha sequestrato durante la sua vita.
E’ evidente che la biomassa di partenza determina il prodotto finale, ovvero non esiste un solo tipo di biochar. Il biochar prodotto da una foglia è diverso da quello prodotto da un ramo, ad esempio. Se vogliamo aggiungere dettagli anche le condizioni di pirolisi influiscono sul prodotto finale, ad esempio la temperatura o la durata della pirolisi stessa.
Addio al Carbon Black?
Una volta prodotto il biochar cosa possiamo farcene? Per rispondere a questa domanda bisogna studiare le caratteristiche del materiale prodotto.
Ad esempio, la prima cosa che sperimentiamo toccando un pezzo di biochar è che ci rimangono le mani sporche di polvere nerastra. Eccone, ad esempio, un’applicazione: la scrittura. Fateci caso, anche quando cambiate la cartuccia del toner della vostra stampante vi rimangono le mani sporche di nero. Quel nero è una polvere che deriva dal petrolio, si chiama Carbon Black e per ottenerlo bisogna bruciare il petrolio, che essendo un concentrato di carbonio, produce CO2. Ma allora possiamo pensare di sostituire questo materiale derivante dal petrolio con il biochar ottenuto ad esempio alla segatura di lavorazione dell’albero. In questo modo abbiamo il duplice vantaggio: non abbiamo sprecato la segatura della lavorazione del legno e soprattutto non siamo andati a estrarre petrolio, bruciandolo e producendo CO2, per produrre il toner della nostra stampante. Se ci guardiamo attorno abbiamo molte cose di colore nero: la cover del nostro telefono, i copertoni della nostra auto, l’asfalto. Sono neri perché al loro interno è sempre presente o il carbon black o comunque qualche derivato della combustione del petrolio. Il biochar, opportunamente trattato potrebbe essere una straordinaria alternativa.

Utilizzato nei terreni agricoli
Infine, se guardiamo una particella di biochar al microscopio ci accorgiamo che la sua forma ha “memoria” della biomassa da cui è stato ottenuta. Tornando al tronco del nostro albero, ad esempio, la struttura della particella non potrà che avere la forma del tronco, ovvero una forma bucherellata: i buchi erano i canali in cui scorreva la linfa. Una struttura con queste caratteristiche ci fa immediatamente pensare ad una spugna, oppure ad un filtro. Allora anche il nostro biochar, se ha questo tipo di struttura, può essere utilizzato come una spugna per assorbire dei liquidi (e magari rilasciarli poco per volta), oppure per filtrarne altri.
Ad oggi il biochar è principalmente utilizzato nei terreni agricoli. Infatti, se aggiunto ad un terreno, ha la proprietà di assorbire l’acqua del terreno e rilasciarla poco per volta, è in grado di creare un habitat adatto alla proliferazione dei microorganismi ottimi per i terreni e a regolarne il pH dei terreni stessi.
Giorcelli ed il suo team, come molti altri ricercatori in Italia, offrono consulenza ad aziende molto diverse fra loro, che stanno sperimentando la possibilità di impiego del biochar nei più svariati settori. Costruzioni, polimeri, sistemi di filtraggio e altri ancora.
Funzionale anche alle aziende per decarbonizzare
Ma c’è ancora un enorme vantaggio insito nella produzione del biochar. Come abbiamo detto all’inizio il biochar è un concentrato di carbonio: è il carbonio sequestrato dal nostro albero, dalla nostra biomassa. Se certificato opportunamente, ovvero dalla biomassa di partenza, alla sua produzione, al suo impiego finale il biochar offre un’altra risorsa estremamente importante: un credito di carbonio.
Questi crediti rappresentano qualcosa di simile a “buoni del tesoro”. Se produco un credito di carbonio posso venderlo a chi ne ha bisogno, ovvero a chi deve decarbonizzare. Ad oggi molte aziende hanno l’urgenza di decarbonizzarsi, ovvero di inquinare il meno possibile, anche per una questione di tassazione; sotto una certa soglia, anche ottimizzando i loro processi, non possono scendere. E così, acquistando crediti di carbonio certificati possono ulteriormente ridurre la loro impronta di CO2, potendo addirittura auspicare ad arrivare alla decarbonizzazione totale, il tanto desiderato “carbon neutral”.
Il biochar dunque non è solo un materiale ma un “sistema”, che permetterà di creare lavoro, business e, nello stesso tempo, contribuirà a rimuovere una delle nostre ossessioni attuali e future; almeno fino a quando non avremo imboccato davvero la strada che ci impone il rispetto per il pianeta su cui viviamo.













































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