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Il Peso perde peso... Futuro nero per Milei alla prova delle urne

Aggiornamento: 2 ore fa

Si profila una nuova e grave crisi finanziaria per l'Argentina al voto il 26 ottobre


di Stefano E. Rossi


Immagine generata dall'IA
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L’Argentina va al voto. Le elezioni parlamentari di metà mandato sono state indette per il 26 ottobre. Saranno il primo vero banco di prova che giudicherà sia l’efficacia economica, sia il gradimento sociale delle politiche adottate dal Presidente Javier Milei. Fra tutte, quella del rafforzamento della valuta locale, il Peso, insieme all’avvio di rigorose misure anti-inflazionistiche.

Per combattere in caro-vita il governo si era impegnato, poco dopo il proprio insediamento, al sostegno del cambio. L’intervento era stato duplice: l’offerta di tassi alti sui Titoli di Stato e la vendita di dollari per acquistare (e rivalutare) la moneta nazionale.

Così facendo l’Argentina è riuscita, da subito, a recuperare quel minimo di autorevolezza che le ha consentito di emettere sui mercati regolamentati il Bonte. È stato il primo bonos (titolo di stato) emesso dopo gli ultimi, mai dimenticati, default (fallimenti del Paese). La durata di cinque anni e il tasso del 29,5% annuo avevano garantito il pieno collocamento in borsa di un miliardo di dollari, nel corso del passato mese di maggio. Peraltro, a confermare il recupero di fiducia, non erano mancati i favori del Fondo Monetario Internazionale. A inizio anno, l’FMI aveva aggiunto i suoi 20 miliardi di dollari di finanziamento.

Nel giro di poco tempo, però, stanno già arrivando al pettine i nodi del dissesto finanziario e, con essi, il monito inesorabile delle controindicazioni del bugiardino: la cura economico-sociale era eccessiva. Infatti, stanno scarseggiando le riserve in dollari che erano state meticolosamente accumulate negli anni per pagare la restituzione dell’opprimente debito pubblico. È di sicuro per questo che un grande amico come il Presidente Usa Donald Trump ha esentato, fin dai primi annunci del Liberation Day, il Paese sudamericano dai dazi. Ma è andato anche oltre. Recentemente, ne ha favorito l’export di cereali e, solo quindici giorni fa, ha promesso anche lui i suoi ulteriori 20 miliardi di dollari di aiuti monetari... suoi, fino a un certo punto, considerando che l’America, a causa dello shutdown (blocco di cassa per dissesto), ritarda a pagare gli stipendi federali. Così, giovedì sono arrivate puntuali le rimostranze della senatrice Elisabeth Warren, democratica del Massachusetts. In un documento sottoscritto insieme ad altri 14 politici, ha richiesto formalmente di non distrarre in Argentina quelle ingenti somme, con le quali, invece, si potrebbero ripristinare i fondi tagliati alla sanità statunitense.

Però, nonostante i maxi prestiti dei fondi internazionali e le rassicurazioni delle nazioni amiche, il livello di tasso del Bonte continua a rivelarsi poco sostenibile. L’impatto sulla spesa pubblica è dirompente e i benefici per gli investitori iniziano ad andare in fumo. In meno di sei mesi, ha perso il 13,75% del suo valore. In pratica, mezza cedola annua. Inoltre, va sommata la svalutazione del dollaro sull’euro superiore al 5%. Tenendo conto dei rischi, per chi l’ha acquistato non si può dire che sia stato un grande affare.

Ma non c’è solo l’economia e la finanza. Continua anche a montare il malcontento degli argentini per i tagli alla spesa. Questi, però, potevamo immaginarceli anche prima dell’elezione di Javier Milei. Infatti, il suo emblema pre-elettorale, mantenuto anche dopo, era stato la motosega. A febbraio ne aveva addirittura regalata una a Elon Musk, a quei tempi capo del DOGE, il dipartimento Usa per l’efficienza governativa.

Quindi, in Argentina, per far tornare i conti si era andati avanti a tagli di motosega su sanità, istruzione e cultura. Ma non era stato sufficiente e, allora, si è continuato con l’eliminazione dei sussidi, il congelamento delle pensioni e quello degli stipendi pubblici. Non bastava ancora. Tant’è che è arrivato il blocco delle conversioni della moneta locale in dollari.

Per aiutarci a comprendere la loro situazione valutaria, può essere utile sapere che entro i confini dello stato sudamericano vige un cambio parallelo del dollaro, el dόlar blue, trattato dagli arbolitos (i cambisti di strada) e dai cuevas (uffici cambi non ufficiali) sul mercato informal. È ad esclusivo uso interno e, attualmente, è più caro del 6-7% rispetto alla quotazione legale. Il Clarin e le altre testate nazionali lo quotano on-line minuto per minuto, a causa dell’elevata inflazione che affligge il Paese. In più, ansiosamente, ne associavano il prezzo alle notizie sulle variazioni delle sempre più misere riserve in dollari. L'imperfetto è d'obbligo, perché le riserve sembrerebbero quasi totalmente esaurite. Infatti, con il cappello in mano e in compagnia di Santiago Bausili, capo della Banca centrale (Banco Central de la República Argentina, acronimo BCRA), il ministro delle finanze Luis Caputo è andato martedì a Washington dal suo omologo Scott Bessent per chiedergli di fare presto. I tempi per un possibile salvataggio sono sempre più stretti.

Se il fronte economico è in bilico, a un passo dall’ennesimo tracollo, sul fronte politico per il Presidente le cose non vanno meglio. Nel pre-test elettorale amministrativo, che si svolto un mese fa nella provincia di Buenos Aires, il partito La Libertad Avanza di Javier Milei ha subito una pesante sconfitta: ben 14 punti percentuali di differenza dalla formazione peronista Fuerza Patria.

Nei prossimi giorni, vedremo se un esito elettorale negativo alle politiche del 26 ottobre determinerà la perdita del sostegno parlamentare al governo. Il Presidente potrebbe non cadere per questo. Anzi, potrà continuare ad esercitare i super-poteri che la costituzione gli conferisce, come, fra tutti, la facoltà di porre il veto sulle attività legislative di entrambe le camere. Ma senza il supporto del Parlamento (El Congreso de la Nación Argentina), ultima indispensabile stampella per non far grippare definitivamente il suo programma economico, il re è nudo.

Allora, verrà naturale formulare anche una seconda ipotesi, che per molti è un auspicio. La replica di una analoga débâcle su una scadenza elettorale che, per gli effetti che può produrre sul mondo intero, sarebbe molto più pervasiva: il voto di mid-term del Congresso degli Stati Uniti, a novembre 2026.

Ma c’è di mezzo il mare. E, vista al di qua dell’Atlantico, la strada da percorrere per far rinsavire entrambi quei governi è ancora lunga e imprevedibile.

 

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